III puntata / Elogio del neokitsch (berlinese)

27 Aprile 2019

Denn wirklich tot ist nur, wer vergessen wird

(Davvero morto è soltanto chi è stato dimenticato)

Immanuel Kant

 

Affrontare il tema morte e kitsch è impresa non semplice. Mi addentrerò in questi meandri senza la pretesa di aggiungere chissà quali fondamentali considerazioni a quanto già sostenuto e dibattuto, ma con la semplice intenzione di verificare un’ultima realtà berlinese in cui entrambe le categorie sono presenti e verificarne lo stato di cose. Per il mio primo impatto con la possibilità di pensare a un cimitero come luogo kitsch sono debitore a Vamba e al suo Giornalino di Gian Burrasca. Era stato un regalo di prima comunione, dunque dovevo avere tra i sette e gli otto anni. Giannino Stoppani, in compagnia di genitori e sorelle, si era recato a rendere omaggio ai defunti in occasione del 2 novembre. Aveva volentieri approfittato degli ampi viali del camposanto per qualche bella corsa con gli amici, ma il perbenismo piccolo borghese della famiglia lo aveva prontamente ripreso. Quella stessa famiglia che, in compassata visita ai sorpassati, si scatenava in commenti pettegoli sull’una o sull’altra cappella tombale e sulle relative famiglie di appartenenza, valutandone aspetto, costo, posizione sociale.

 

– E a che serve questo fabbricato?

– Serve per seppellirvi via via tutta la famiglia Rossi...

– Come! Sicché anche la signorina Bice sarà sotterrata qui dentro?

– Certamente. –

Io non ne potevo più, e mi son messo a ridere come un matto.

– Che c’è da ridere?

– C’è che questa cosa di farsi fare, quando uno è vivo, la casa per quando sarà morto, mi pare dimolto buffa, ecco!...

– Eh! – ha detto il babbo – sotto un certo punto di vista, infatti, è una vanità come tante altre...

A differenza di Gian Burrasca non avevo mai ragionato in quei termini e sono tutt’ora grato a quelle pagine per aver aperto un percorso che ancora oggi non ho abbandonato. Parecchi anni più tardi, sarebbe arrivato Visconti con il suo Morte a Venezia e, già studente universitario, avrei ampiamente dibattuto con amici, colleghi e insegnanti l’afferenza al kitsch o meno della scena finale con quell’adagetto di Mahler a dialogare con lo scempio di von Aschenbach sullo sfondo di Tadzio in castigato ma seducente costume da bagno. Qualche decennio fa avevo proposto ai miei studenti di cultura russa un seminario sui grandi funerali del Novecento russo-sovietico, culminato con l’analisi delle allora (tardi anni Novanta) sensazionalmente inusitate lapidi tombali dei mafiosi caduti in regolamenti di conti. Oggi ragiono su un cimitero berlinese tra i molti degni di attenzione, e non certo l’unico in cui qualche tratto kitsch sia presente, a cui si aggiunge una categoria già emersa nelle pagine precedenti: il queer.

Moltissimi sono gli appartamenti in città che si affacciano su camposanti. Per i cittadini di Berlino una cena al lume di candela o una grigliata sul balcone con vista sulle tombe non è affatto sconvolgente né irriverente. Né per sé stessi, né per i corpi là sepolti. Moltissimi sono i caffè o i ristoranti nelle vicinanze di cimiteri; il banchetto funebre, o il ritrovo con amici e parenti dopo la sepoltura, è abitudine invalsa. Il cimitero dei non credenti di Prenzlauerberg (aderente alla Freireligiösen Gemeinde e risalente al 1847), ha riservato una considerevole parte del suo territorio ai giochi per i bambini che, spensierati e sereni, si divertono tra le antiche lapidi. Non dovrebbe stupire troppo, dunque, un invito a Kaffee und Kuchen (caffè e torta) proprio nella caffetteria di un cimitero, mentre, per molti nostri concittadini è ancora qualcosa di imbarazzante e sconveniente. Il fascino variopinto ma al contempo discreto dell’alter St.-Matthäus-Kirchhof nel quartiere di Schöneberg inizia proprio dal suo caffè, inserito all’interno delle sue mura, adiacente alla bottega di fiori Papavero rosso, all’imbocco del viale centrale del non grande sepolcreto. Esiste dal 2006, primo locale della capitale tedesca a esercitare direttamente sul territorio di un cimitero, e si chiama Finovo, dalle parole latine finis e novus, la fine e il nuovo, la morte e la vita dopo la morte. 

 

Il caffè e il negozio di fiori all’interno del vecchio cimitero di S. Matteo a Berlino.


Nella bella stagione è gradevole sedere all’esterno sotto gli alberi, talora in compagnia di minuscoli topolini di campagna che scorrazzano tra i tavolini. In inverno si gusta, oltre a torte e zuppe di produzione autoctona, l’atmosfera crepuscolare dell’interno, tra oggetti donati dai clienti (spesso appartenuti a defunti sepolti lì accanto) e fiori dipinti sulle pareti da artisti locali.

 

L’interno del caffè Finovo.


È gestito, tra gli altri, da Bernd Boβmann, attore, cabarettista e attivista gay berlinese, noto nel mondo dello spettacolo col nome d’arte di Ischgola Androgyn, noto soprattutto per aver interpretato la parte di Charlotte von Mahlsdorf nel film di Rosa von Praunheim, Ich bin meine eigene Frau (Sono la moglie di me stesso). Più recentemente (2016), per il film Garten der Sterne (Il giardino delle stelle) dedicato proprio al cimitero da lui organizzato e gestito in dipendenza dalla parrocchia evangelica dei Dodici Apostoli, ma che accoglie senza problemi defunti di altre religioni o aconfessionali. 

Assieme all’associazione Denk mal positHIV, gioco di parole che combina il “pensa positHIVo”, con l’inserimento della sigla HIV, al sostantivo tedesco Denkmal (monumento), dagli anni Novanta ha aperto lo spazio cimiteriale a molti morti di AIDS, istituendo una cappella funeraria dedicata a tutte le vittime del morbo (circa 4.600 a Berlino) e garantendo a chi lo desidera tombe che mantengano lo spirito e il carattere che la persona aveva avuto in vita. 

 

La cappella commemorativa delle vittime dell’AIDS.

 

La targa posta alla base della cappella che recita: “Questa lapide è un monumento per tutti coloro che sono morti in conseguenza dell’AIDS, un luogo di riflessione e incontro.”


Il cimitero, che ospita da secoli defunti illustri quali i Fratelli Grimm e il patologo Rudolf Virchov, a cui è dedicato uno dei maggiori ospedali berlinesi, ha poi iniziato ad accogliere figure note e meno note della scena artistica e gay tedesca. Dal cantante Rio Reiser, attivo squatter negli anni Settanta e poi militante nelle file dei verdi, alla Kabaretttunte (cabarettista Drag Queen) Ovo Maltine, impegnata politicamente e socialmente, oltre che sul fronte artistico. 

 

La tomba di Christoph Josten, aka Ovo Maltine.


Originale è quella dello scrittore Napoleon Seyfart, autore di un famoso romanzo autobiografico legato all’AIDS, accanto al quale già sono pronte le lapidi sia per il suo compagno Schlomo Schlotto che per il loro gatto Felix Felis (entrambi ancora in vita), corredata da un’eloquente iscrizione: “Sazi di vita, ubriachi di morte. La lussuria vuole l’eternità. La morte la possiede”. Mentre la pietra sepolcrale del gatto riporta una sorta di rebus per me rimasto criptico.

 

Le lapidi dei tre amici, umani e felino.


Molte altre tombe di persone meno illustri raccolgono l’invito a essere sé stessi anche da morti e raccontano storie particolari, grazie a oggetti che rimandano alle loro professioni o passioni, grazie alle visite degli amici e parenti che alimentano le narrazioni perpetuando anche con installazioni artistiche la memoria di chi è stato loro caro.

Prima di prendere in considerazione l’ultimo particolare angolo di questo sepolcreto, una riflessione su quanto di kitsch possiamo avere incontrato finora. Quanti eredi dei genitori di Gian Burrasca griderebbero allo scandalo di fronte a un cimitero gestito e vissuto in questo modo? Non pochi, sicuramente. Pronti ad accettare, in nome di una pseudo arte (ecco il vero kitsch), cappelle funebri ridondanti di materiali preziosi, dettagli architettonici eclettici, per non dire pacchiani, angeli piangenti e putti svolazzanti che si prendono molto sul serio. Tutto nel nome di una rassicurante adesione alla tradizione funeraria. Ma altrettanto pronti a scagliarsi contro ogni trasgressione alla norma, alla citazione (celebrazione) di una sessualità non conformata, a maggior ragione se “castigata” da una morte prematura. Indulgenti con barocchismi sovraccarichi di vuota retorica, ma feroci con la diversità in ogni sua accezione. Faccio l’avvocato del diavolo, e affido la confutazione a Italo Calvino che nelle sue obiezioni a Milan Kundera tocca un punto della teorizzazione kitsch che può prestarsi a muovere critiche anche al caso nostro. “L’obiezione terminologica riguarda la categoria del Kitsch, di cui Kundera prende in considerazione solo una tra le varie accezioni. Ma del cattivo gusto della cultura di massa fa parte anche il Kitsch che pretende di rappresentare la spregiudicatezza più audace e ‘maledetta’ con effetti facili e banali.”

Siamo in presenza di quegli effetti “facili e banali” che cercano di affrancare una realtà maledetta e scomoda come la morte (per AIDS) tingendola di colori e spregiudicatezza? Cerco la risposta nell’ultimo settore del cimitero voluto da Boβmann e in una serie di immagini che documentano la fruizione del territorio, come già argomentato, ago della bilancia per determinare la presenza o meno del kitsch. 

Quasi in cima al pendio che costituisce il sepolcreto, oggetti e colori tornano con prepotenza e diventano dominanti. Siamo nel Garten der Sterne (giardino delle stelle) dove sono sepolti i Sternkinder (bambini stella), quelli nati morti o vissuti soltanto poche ore. 

 

Il giardino dei bambini stella.


Giocattoli, girandole, fiori illuminano i nomi e le date di nascita-morte, unici elementi effettuali in un universo di simboli. Bimbi di etnie diverse, religioni o non-religioni diverse, posizioni politiche diverse, accomunati dal non avere visto mai la luce o di averne goduto o sofferto per pochissimi istanti e dalla volontà dei genitori di volerli sepolti in questo terreno inconsueto. Nulla di patetico o di eccessivo in tutto questo. Semplicemente la volontà di segnalare la natura infantile di chi giace sotto quella terra e di far parte di una comunità che predilige forme non convenzionali per la preservazione della memoria e per le pratiche del ricordo. Molte sono le panchine sul territorio di questo cimitero, come a ribadire per tutti l’invito alla sosta, al pensiero o al riposo. Di effetti banali e facili non c’è traccia. Il dolore, alleviato dalla condivisione e dalla serenità della situazione circostante, non è assente, anzi. Semplicemente qui le sepolture parlano della vita dei defunti e lo fanno assecondando i codici comunicativi che questi avevano scelto in vita, rifiutando omologazione e convenzionalità che sarebbero banali e scontate. 

 

Il giardino dei bambini stella.


Affido a due immagini su tante il compito di concludere questo discorso. Sufficientemente eloquenti per non richiedere particolari commenti. Due momenti di vita all’alter St.-Matthäus-Kirchhof che ne segnano la specificità e l’autenticità, non artefatte né spregiudicate ma autentiche e quotidiane.

 

Un hells angel in visita, con tanto di moto, al sepolcro di un amico.

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