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Elon Musk: imperium sine fine
Nella stagione 5, episodio 6 di Breaking Bad, Jesse, l’apprendista che ha imparato a confezionare metanfetamina purissima, chiede al suo “maestro” Walter White, suo ex professore di chimica, se non è arrivato il momento di uscire da quel pericoloso mestiere e godersi i non pochi soldi che hanno messo da parte. “Tu mi hai chiesto se il mio business è il business dell’anfetamina o il business dei soldi” gli risponde White. “Nessuno dei due. Il mio business è l’impero” (“I’m in the empire business”). Walter White non vuole fare altri soldi, ne ha già così tanti che non sa nemmeno come riciclarli. Vuole vendicarsi dei soci di una start-up che aveva fondato molti anni prima e della quale aveva dovuto vendere le quote per una miseria, salvo poi scoprire che qualche anno dopo quella piccola start-up sarebbe stata valutata miliardi di dollari. Se ora il suo campo d’azione è la metanfetamina, tanto peggio, Walter White sarà l’imperatore della metanfetamina.
Qual è la differenza tra l’impero e gli altri business? Cominciamo da ciò che distingue un impero da una nazione. Una nazione può anche essere (relativamente) contenta di stare nei suoi confini, dove, per limiti geografici, storici, di appartenenza etnica e culturale, il popolo e i suoi regnanti si sentono (relativamente) soddisfatti di essere chi sono. Ma quando la nazione comincia a guardare al di là dei propri confini e inizia a pensarsi come impero entra in un business potenzialmente infinito. L’impero non ha confini, può sempre estendersi alla prossima striscia di terra, al prossimo porto, alla prossima nazione da incorporare. Roma, per citare l’esempio più illustre, non è mai stata una nazione. In ragione della sua origine come città di rifugiati da altre popolazioni si pensava come impero ancora prima di diventarlo. Era per definizione augescens, sempre in crescita, finché con Augusto, e con le parole di Virgilio, definì la sua essenza come imperium sine fine.
Se si vuole capire il percorso che ha portato Elon Musk nell’orbita di Donald Trump bisogna ragionare in termini di impero e non di nazione, dove per nazione possiamo intendere, metaforicamente, anche l’impresa-nazione, la ditta o le ditte di cui l’imprenditore e/o l’amministratore delegato si considera un re. Ma la logica dell’imprenditore-imperatore è diversa, e non obbedisce nemmeno al principio del profitto. Lo si vede osservando lo sviluppo di molte imprese recenti la cui area è il tecnoservizio. Non incamerano un gran che di profitti, spesso rimangono in perdita per anni, ma prosperano sulle quotazioni in borsa e su un’economia che si è creata un mondo a parte, fondato più sulla rendita fondiaria che sul profitto (che siano Office 365, McAfee, Netflix, Spotify o altro, ai servizi che offrono ci si può solo abbonare mensilmente o annualmente, garantendo la rendita a chi detiene la proprietà del prodotto).
Elon Musk però è sia un imprenditore in senso tradizionale (le automobili e gli altri prodotti acquistabili) sia parte integrante dell’economia di rendita, costituita dei dati dei fruitori che raccoglie attraverso “X” nonché dai computer installati nelle sue Tesla. Partecipa di due mondi e intende dominarli entrambi.
Ma è già l’uomo più ricco del mondo, può chiedersi qualcuno. Il suo patrimonio personale ammonta a 270 miliardi di dollari; che cosa può volere ancora? Chi si pone una simile domanda non ha riflettuto su cosa significa essere nel business dell’impero.
Nel 1930, John Maynard Keynes tenne una famosa conferenza a Madrid (Economic Possibilities for Our Grandchildren) nella quale si azzardò a prevedere che nel secolo futuro la giornata lavorativa sarebbe stata di tre ore, avremmo avuto tempo libero a non finire e saremmo stati infine liberi da quella “disgustosa morbosità”, da quella tendenza “semicriminale, semipatologica” di far soldi per puro amore dei soldi, che dovrebbe essere lasciata di competenza agli esperti di malattie mentali,
Mi dispiace contraddire Keynes, ma non pensava in termini imperiali. O, per meglio dire, non pensava che nell’impero i soldi sono il mezzo per un fine, ma il fine non è quello di permettersi una vita lussuosa, bensì di acquisire ancora più potere, senza che un giorno si possa dire basta, di quello che ho ne ho abbastanza. L’imperium è sine fine.
Oppure perché si coltivano strane idee su come salvare l’umanità. Nel caso di Elon Musk e di altri superimprenditori della sua generazione il problema, stranamente, è proprio questo: che non intendono creare un impero qualunque, bensì l’Impero del Bene. I romani volevano la pax; la loro pax, s’intende. E in nome della pax romana qualunque massacro era giustificato. Elon Musk vuole essere colui che salverà l’umanità dalla dipendenza dai combustibili fossili, e in nome di tale missione, che lui stesso si è assegnato, tutto gli deve essere lecito.
“Io vendo automobili elettriche. Non è precisamente una cosa di estrema destra”, ha detto in un’intervista televisiva (in cui l’intervistatore, di solito più contenuto, sbavava davanti a lui). Ma allora perché schierarsi con Trump, che ad ogni comizio ripete drill, baby, drill (“Perfora, tesoro mio, perfora!”), e che ha apertamente invitato le compagnie petrolifere a compragli le elezioni?
La svolta è avvenuta all’epoca del lockdown, quando Gavin Newson, governatore della California, ordinò la temporanea chiusura di tutte le fabbriche, incluse le Tesla, per evitare il diffondersi del Covid. Questo, per Musk, era inaccettabile. Non solo perché alcune settimane di produzione interrotta avrebbero ridotto i profitti. Il profitto non era l’unico motivo e nemmeno il più importante. Davanti al progetto di salvare l’umanità futura dalla dipendenza dal petrolio, che qualche centinaio di operai si ammalino o muoiano di Covid è irrilevante. Il fine è talmente nobile da giustificare qualunque crudeltà contingente. È il modo di procedere di uno stratega militare, che può decidere di sacrificare un certo numero di soldati pur di mettere in atto un piano che gli assicurerà la vittoria. O di uno stratega politico. Nel 1855, quando qualcuno chiese al Conte di Cavour perché intendeva mandare un contingente di soldati sardi, piemontesi e lombardi in Crimea, in una guerra in cui l’Italia non aveva niente in gioco, sembra che Cavour abbia risposto: “Ho bisogno di duemila morti da mettere sul tavolo delle trattative”. Se il Regno di Sardegna si schierava al fianco della Francia e dell’Inghilterra, forse quelle stesse nazioni, e in particolare la Francia, avrebbero chiuso un occhio sulle mire espansionistiche del Piemonte. Ma ci volevano un po’ di cadaveri per far guadagnare alla nuova nazione un po’ di rispetto.
Ora, l’ascesa di Elon Musk è contemporanea a quella del cosiddetto “altruismo efficace” (effective altruism), una scuola di etica neo-utilitarista nata nei primi anni duemila e che ha come figure di riferimento i filosofi William MacAskill e Peter Singer (per quanto quest’ultimo sia più orientato verso una visione animalista). L’altruismo efficace ha come imperativo quello di fare del bene al maggior numero di persone, ma non qui ed ora, bensì in un lasso di tempo indeterminato. Salvando l’umanità del futuro, certamente si farà del bene a un maggior numero di persone di quello che si potrebbe fare salvando l’umanità del presente. Da cui ne deriva che l’umanità del presente va usata come un fine per fare del bene a quella del futuro e che, se necessario, l’umanità del presente è sacrificabile, operai della Tesla compresi.
Ho riassunto tesi complesse in maniera sbrigativa, ma in molti casi l’altruismo efficace si riduce all’ennesima variazione dell’esperimento mentale del tram in corsa. In una delle sue numerose versioni, si tratta di questo: se io sono insieme a una persona di grossa corporatura, ed entrambi vediamo che un tram sta per travolgere sei persone, e l’unico modo di rallentarlo è quello di buttare sulle rotaie la persona di grossa corporatura, io lo devo fare, anche se è mio padre, mio fratello o mio figlio, perché sacrificare una persona sola è meglio che sacrificarne sei, e perché i legami familiari ed affettivi non hanno posto quando si tratta di fare del bene al maggior numero di persone.
Elon Musk non è solo un imprenditore, è un imperatore-messia, è il Paul Atreides di Dune (leggete i primi tre libri dell’esalogia, non solo il primo, o aspettate il seguito dei film di Villeneuve). La sua guerra santa porterà la pax muskiana nell’universo, ma nel frattempo è una guerra santa, e va condotta comme à la guerre.
Dunque, che cosa vuole Elon Musk da Trump? Soltanto una riduzione delle tasse, cosa che Trump peraltro ha già concesso a lui e ad altri plurimiliardari durante la sua presidenza? No, vuole molto di più. Vuole l’assoluta libertà d’impresa, la stessa di cui godevano i cosiddetti robber barons di fine Ottocento (quelli che avevano milizie armate personali per distruggere i laboratori dei concorrenti, come Thomas Edison), quando in America non esisteva nulla che potesse vagamente assomigliare a uno stato sociale. Vuole che il controllo esercitato dall’imprenditore sulla sua forza lavoro (inclusi coloro che ogni giorno gli forniscono informazioni su loro stessi attraverso i computer delle Tesla o attraverso “X”) sia totale. Vuole che Trump, come gli ha promesso, lo metta a capo di un inedito “Comitato per l’efficienza governativa” (Government Efficiency Commission), così che potrà tagliare drasticamente il budget dello Stato Federale, le pensioni sociali, l’assistenza sanitaria, nonché ridurre o eliminare il potere delle varie agenzie di controllo sul cibo e i medicinali, dalla protezione civile fino al servizio meteorologico, che diventerà a pagamento – come sostiene anche il “Project 2025”, un documento di 922 pagine elaborato dalla Heritage Foundation, il think tank di destra che spera di poter manovrare Trump dietro le quinte. Probabilmente invano, perché se Elon Musk avrà quello che vuole sarà lui a manovrare Trump e loro insieme.
Parole di Elon Musk, venerdì 25 ottobre: “Dobbiamo ridurre le spese per poter vivere secondo i nostri mezzi. Questo comporterà alcune difficoltà temporanee, ma garantirà una prosperità di lungo termine” (“We have to reduce spending to live within our means. That will involve some temporary hardship, but it will ensure long-term prosperity").
Siccome è un po’ strano sentire l’uomo più ricco del mondo dire che io, tu e chiunque altro dobbiamo smetterla di fare gli spendaccioni e pensare di più al futuro, è legittimo chiedersi quanto dure saranno le difficoltà che questo inedito ministero per la riduzione delle spese ci farà affrontare. Ci ha pensato tale @FischerKing64 su “X”: “Se Trump ha successo nel suo progetto di deportazioni di massa, insieme a Elon che prende possesso del governo, licenziando gente e riducendo il deficit, ci sarà all’inizio una grave reazione dell’economia. La borsa crollerà. Ma non appena la tempesta sarà passata e ci renderemo conto di stare su un terreno più solido, l’economia si rimetterà in sesto rapidamente e sarà più sana e sostenibile”. “Proprio così” (“Sounds about right”) ha commentato Elon Musk, che era lui stesso un Twitter-dipendente, twittawa giorno e notte, e ha comprato Twitter a costo di perderci miliardi perché era il suo giocattolo preferito.
Nessuno dei due, né FischerKing né Emperor Elon, sembra porre mente al fatto che il crollo c’è già stato – quello degli anni del Covid – e che l’economia americana si è già ripresa, dal 2022 al 2024, anche grazie a un massiccio programma di assistenza sociale iniziato nientemeno che dalla stessa amministrazione Trump, e poi continuato da Biden. Trump sembra essersi dimenticato di essere stato anche lui, a suo tempo, un socialista. È anche probabile che non l’abbia mai saputo. Ma di un altro crollo non si sente il bisogno, e non è affatto scontato che l’economia americana senza milioni di immigrati ora operanti nella forza lavoro possa risollevarsi altrettanto in fretta. E poi, il costo enorme dei rimpatri chi lo copre, se non quello stesso stato federale che Trump, Musk e il Project 2025 vogliono dissanguare?
Ma Elon Musk di questo non si preoccupa; ha già Optimus, il robot umanoide che può svolgere compiti manuali, e anzi progetta di metterne in circolazione dieci miliardi entro il 2040 (e non si capisce allora perché si preoccupi del fatto che la gente fa meno figli). Già controlla il mondo intero dall’alto dei suoi 7.000 satelliti Starlink (si prevede che il numero salirà a 34.000); già il Pentagono in varie occasioni ha dovuto dipendere da una sua parola; già la NASA ha dovuto servirsi delle sue navicelle SpaceX per riportare a terra gli astronauti bloccati sulla stazione spaziale internazionale da un malfunzionamento della Boeing; da sudafricano qual è, e dunque anche parte della coalizione BRICS, nella quale il Sudafrica è stato immesso di recente, già si permette di trattare direttamente con Putin e l’Arabia Saudita. Che si fonda sul petrolio, ma lui ha qualcosa anche per loro, e loro hanno qualcosa per lui. Come il Catilina del Megalopolis di Coppola (film tremendo, ma da vedere comunque), quando vuole può fermare il mondo. Quale lealtà alla Costituzione americana, o a qualunque costituzione, possa mai giurare uno che è al di sopra di ogni nazione, non è dato sapere.
Però, anche se lui è Paul Atreides, le altre Houses della galassia, come nel secondo libro di Dune, non saranno entusiaste di vederlo ascendere al trono imperiale. È difficile immaginare che Jeff Bezos, Tim Cook, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Peter Thiel, per non dire il più defilato Bill Gates, siano poi così contenti di vedere che uno dei loro, che già vanta contratti militari per miliardi e miliardi di dollari, avrà in mano i cordoni della borsa federale. Chi li può assicurare che Musk, da imperatore qual è, non li tratterà da vassalli? E chi ci può assicurare che l’impero di Elon Musk non si trasformi in una lotta tra feudatari, nella quale noi saremo solo i servi della gleba che li vedranno passare nelle loro scintilanti armature robotiche dopo che ci avranno depredato le nostre povere case e poverissimi orti, trasformandoli, come già fanno, in banche dati?