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Trump: il risultato della biopsia
È come aspettare il risultato di una biopsia, aveva scritto Michelle Goldberg sul “New York Times” il 2 novembre. Il risultato è arrivato, e se il paziente non è morto, certo manda uno strano odore. Proprio il giorno delle elezioni, un amico dall’Italia mi ha chiesto se gli potevo riassumere la situazione. All’incirca, questo è quello che gli ho scritto (senza nessun senno di poi):
“Kamala Harris ha condotto una campagna con contenuti abbastanza blandi ma, data la polarizzazione già presente e la sua entrata tardiva, non poteva permettersi di essere troppo esplicita. In una situazione del genere, qualunque proposta fai, ci sarà sempre qualcuno che ti trova troppo a sinistra o troppo a destra. Qualunque cosa dici, sbagli.
Trump ha di fatto delegato la politica al suo vice, J.D. Vance, il quale è abbastanza furbo da apparire di volta in volta feroce o conciliante. Dietro Vance sta Peter Thiel (fondatore di PayPal, a sua volta consigliato dai libertari più radicali di Silicon Valley). L'altro gruppo che preme per avere voce in capitolo nell'amministrazione Trump, oltre a Elon Musk, è quello che fa capo alla Heritage Foundation, la quale ha rilasciato un documento di 922 pagine sulla totale ristrutturazione o meglio destrutturazione dello stato federale, di cui si salveranno solo polizia ed esercito. La prima pagina del documento inizia dicendo che bisogna liberare gli Stati Uniti dall'egemonia marxista (ma l’America è già libera: Fredric Jameson, ultimo marxista rimasto in America, è morto il 22 settembre, e di Noam Chomsky emergono interviste su YouTube che di sicuro vengono dall’oltretomba). Trump, a suo dire, in quelle 922 pagine non sa nemmeno cosa ci sia scritto, e per una volta gli credo sulla parola.
Kamala Harris ha rilasciato invece un documento di 82 pagine che sono essenzialmente una difesa della classe media e medio-bassa: assistenza alle famiglie con figli, aiuti alle piccole imprese, più tasse per gli ultraricchi (che Trump ha abbassato durante la sua presidenza e sono rimaste così), difesa delle donne minacciate dalla possibilità dell’abolizione del diritto all'aborto a livello federale, più una riforma dell'immigrazione che sarà possibile solo se i democratici vincessero sia la camera sia il senato, e quindi da dimenticare. Nessuna proposta rivoluzionaria e nemmeno troppo coraggiosa. L'essenziale è fermare Trump e i progetti di destabilizzazione che stanno dietro a lui, e che sono effettivamente spaventevoli. Impossibili da realizzare nella misura in cui lo vorrebbe la verbosissima Heritage Foundation, ma anche se realizzati solo in parte costituirebbero l'atto di cessazione dell'impero americano, che si ritroverebbe ad essere una costellazione di stati in cui ognuno è per sé e Dio per nessuno.
L'impero però risorgerebbe in altro modo, né territoriale né puramente commerciale. Sarebbe l'impero delle corporations, svincolate da ogni controllo e di fatto con potere di vita e di morte sui propri dipendenti (in caso di future pandemie, non ci sarebbe nessun lockdown). Elon Musk progetta di entrare nell'amministrazione Trump a capo di una commissione per la riduzione delle spese. Ha detto che gli americani devono stringere la cinghia e il suo obiettivo è di ridurre il debito federale di due trilioni di dollari, tagliando tutto quello che può: sanità, pensioni, protezione civile, agenzie per la protezione del territorio, ecc. Vari ministeri cesserebbero di esistere, primo fra tutti quello dell'istruzione.
Davanti a questi progetti di impero tecnocratico, Kamala Harris non ha avuto niente da dire. La sua difesa delle piccole imprese è un’involontaria ironia, visto che la maggior parte dei plurimiliardari di Silicon Valley sono partiti come piccole o piccolissime imprese, all'inizio molto "democratiche". Non appena hanno visto le loro quotazioni in borsa salire alle stelle hanno subito abbracciato il libertarismo e l’antistatalismo più estremi. Non credo che lei lo ignori. Credo però che un discorso chiaro su questi temi l'avrebbe fatta passare proprio per quella "comunista" che Trump dice che lei è. Non se lo poteva permettere. I repubblicani possono dire a chi li vota: ‘Vi toglieremo anche quel poco che avete’, e vengono applauditi. I democratici, nel momento in cui fanno anche la minima proposta, sentono subito le proteste dell’elettorato. Del loro elettorato.
Ma una ragione c'è, ed è che dalla svolta neoliberista dagli anni Novanta in poi (Clinton e Blair, ma in fondo anche Obama) i democratici hanno occupato il terreno dei repubblicani moderati, così che i repubblicani si sono trovati spinti sempre più a destra, fino ad abbracciare scelte aberranti in politica estera (seconda guerra in Iraq) come in politica interna (censure nelle scuole, isterizzazione della società, restrizioni alla libertà di voto, abolizione delll'aborto come diritto federale ecc.) per recuperare un'identità che la post-sinistra (altro che marxismo!) gli ha soffiato sotto il naso.
Il Partito Democratico non è più il partito della classe operaia o della piccola borghesia impiegatizia. La può proteggere dai lupi più rapaci, ma non è in grado di darle un'identità che solo i laureati progressisti possono capire e abbracciare. E un americano non vuole solo essere protetto, vuole soprattutto sentirsi qualcuno. È così che il Partito Repubblicano, al quale della classe operaia non potrebbe importare di meno, diventa il partito che alla classe operaia non dà niente tranne l'identità. Che è puramente regressiva, fondata sul no all’immigrazione e no ai transgender, ma per il momento sembra bastare. Almeno finché c’è Trump, che il politologo-psicologo Stephen Reicher, dall’Università di Edimburgo, ha definito appunto “un imprenditore dell’identità.”
Ecco, adesso che avete letto la spiegazione razionale dei fatti, dimenticatela. Non dico che sia sbagliata. Dico che serve a poco, si ferma al livello della sociologia spicciola. Fin lì ci arrivano tutti. Con terminologia più precisa: quello che avete appena letto è la realtà, ma non è il Reale. Il Reale è Trump che in uno dei suoi ultimi comizi mima un rapporto manuale-orale con un microfono che non funziona (ci sono i video) e che per questo viene votato. Il Reale è Kamala Harris che ride troppo forte e con la bocca troppo aperta, come una vagina dentata, e che per questo non viene votata (ho sentito dei democratici dire: “Però, anche lei che ride in quel modo... Perché non si trattiene? Mi fa senso!”).
Con Donald Trump gli americani, così rigidi e sessuofobi, hanno scoperto il piacere della trasgressione pura, la stessa mancanza di inibizioni di cui godono un neonato o un vecchio malandato in una casa di cura. E non lo dico solo io. L’ha scritto con molto vigore e prosa perfetta Ezra Kein sul “New York Times” del 22 ottobre, senza nemmeno dover ricorrere al gergo psicanalitico. Un amico con il quale condivido lo stesso linguaggio invece mi ha scritto: “Trump non saprà niente di psicanalisi (come non sa niente di niente), ma che cos'è la jouissance lo sa benissimo... Anzi, si può immaginarlo allo specchio che grida: ‘La jouissance, c'est moi!’ La verità è che i dems non sono che repubblicani lite, servono lo stesso padrone, il capitale, sottraendogli però il godimento spettrale (razzismo, fascismo, etc.) che l'accompagna, e non vedo allora cosa possano offrire che mobiliti la jouissance. L'invito a ‘salvare la democrazia’ si è visto come ha infuocato le masse...”.
Con Kamala Harris, infatti, gli americani sono tornati alla paura della madre castratrice; che, viste le percentuali di voto, è stata ancora più forte di quella che avevano nei confronti di Hillary Clinton. Anche lei rideva a bocca aperta, e mi ricordo benissimo di donne e uomini che per questo motivo non la sopportavano. Se non mi credete o pensate che io stia esagerando, datemi retta ancora per qualche minuto.
La settimana scorsa sono venuti da me due studenti per lamentarsi di una loro insegnante (come neodirettore del Dipartimento, me li becco tutti io). A dire il vero, uno solo voleva lagnarsi. La ragazza che lo accompagnava per fare da testimone dopo dieci minuti si è addormentata sul divano del mio ufficio. Non avebbe testimoniato un gran che, ma almeno posso dire che si fidava. Il ragazzo era furibondo perché l’insegnante aveva dato un brutto voto a quasi tutta la classe per aver espresso opinioni unicamente personali invece di stare alle letture assegnate, accusandoli anche di aver usato illecitamente l’intelligenza artificiale. Contro l’insegnante, il ragazzo aveva scritto una lettera di cinque pagine a spazio uno, con una conclusione piuttosto insultante, e che sicuramente gli era costata più tempo e fatica del tema che lei gli aveva assegnato. Siccome continuava a ripetere che tutti erano furiosi, gli ho chiesto se veniva da me a titolo personale o a nome dell’intera classe. Ha detto che veniva solo lui perché erano tutti terrorizzati (terrified) dall’insegnante. Anche lui era terrified, ma si era fatto forza. E poi aveva la bella addormentata sul divano, ma lui era seduto su una sedia, voltato verso di me, e non si era accorto che la sua dama invece di infondergli coraggio dormiva.
Io lo guardavo. Alto uno e ottanta, fisico da sportivo, maglietta, muscoli. Terrified? Terrorizzato da una professoressa giovane e minuta, madre di un bambino piccolo, che lui vedeva solo pochi minuti per volta perché il corso era asynchronous online, cioè senza la presenza fisica dell’insegnante ma con gli studenti a casa a guardarsi i video e leggere i testi quando a loro aggrada? Un’insegnante, peraltro, di origine indiana, come Kamala Harris. Io non so cos’abbia votato lo studente, né se ha votato. Ma se lo terrorizza una professoressina indiana che vede in video una volta la settimana, come può votare per una donna presidente?
La verità è che purtroppo Kamala Harris ha terrorizzato gli americani a livello inconscio, ma non ha impressionato chi doveva impressionare a livello cosciente. Perché un errore l’ha fatto, ed è stato grave. Non era la vaghezza delle sue promesse il problema (anche quelle di Obama erano vaghe), bensì un momento cruciale della sua intervista al programma mattutino “The View” dell’8 ottobre. Quando l’intervistatrice Sunny Hostin le ha chiesto se c’erano state occasioni in cui avrebbe preso decisioni diverse da quelle di Biden, lei ha risposto: “Non me ne viene in mente nessuna” (“There is not a thing that comes to mind”).
Ecco, quello era invece il momento di dire: “Ah, ci sono stati tanti momenti in cui io avrei fatto in ben altro modo!”. Oppure: “Oh no, la mia presidenza sarà ben diversa da quella di Biden!”. Se in quell’istante Kamala Harris avesse buttato Joe Biden sotto l’autobus, come si dice in America, come sarebbero andate le cose? Non lo sapremo mai, ma quella era l’occasione del grande parricidio. Che è necessario a ogni figlio come a ogni allievo, nella famiglia come nell’arte, in filosofia come in politica. Prima o poi bisogna uccidere il padre, o almeno abbandonarlo per strada. Se non lo fai, resti per sempre un figlio. O una figlia. Ma i maschi in genere sono più spicci nell’uccidere il padre. Poi ci restano male, ma quello che è fatto è fatto. Le femmine no, preferiscono dedicarsi a tormentose torture reciproche con la madre. E se anche la vogliono uccidere, come Elettra con Clitemnestra, demandano il compito al fratello.
Non lo so, quello che dico non sarà accettabile a molti come non lo è nemmeno a me, ma se in quel momento davanti al gruppo di donne che popolano “The View” ci fosse stato un uomo, forse avrebbe risposto in modo diverso. Magari solo per vanità, solo per farsi bello con loro, ma l’avrebbe fatto. E non è che io non voglia vedere una donna presidente. Certo che lo vorrei. Sono gli americani che non la vogliono, ormai mi sembra che si sia capito. Che cosa posso dire ancora? Lunga vita al compagno Donald Trump, difensore della classe operaia-miliardaria contro l’insidia delle donne che non tengono la bocca chiusa.
Nota personale. È dal 2005 che scrivo regolarmente di politica americana. Ci ho pubblicato tre libri. Ora chiudo bottega, e l’avrei fatto anche se avesse vinto Kamala Harris. Non passerò i prossimi quattro anni della mia vita a commentare quello che fa Trump. Ci sono altre cose di cui parlare e scrivere. Oggi a Houston era una bellissima giornata.