Che sia la volta buona per il capolavoro dell’America alternativa? / Richard Brautigan. Pesca alla trota
Richard Brautigan è tornato. È la quarta volta che accade dal 1989, quando Riccardo Duranti tradusse il suo romanzo più importante, Pesca alla trota in America. Erano allora trascorsi solo cinque anni da quando il suo autore si era suicidato sparandosi con una pistola presa in prestito, chiudendo così anzitempo a quarantanove anni una carriera di successo e insieme d’incomparabili fallimenti. Periodicamente il suo caleidoscopico romanzo viene ristampato alla ricerca del suo pubblico di lettori: Serra e Riva editori, Marcos y Marcos, Isbn Edizioni e ora Einaudi Stile Libero (pp. 140, €12,50). Riuscirà finalmente il più formidabile scrittore del movimento hippy a farsi leggere anche presso di noi? Le premesse perché diventi un autore di culto ci sono tutte.
Brautigan è stato lo scrittore che ha unito la beat generation e il romanzo postmoderno,che ha incarnato al meglio la stagione psichedelica pur restando nel solco della narrazione alla Melville, che ha bordeggiato Carlos Castaneda e nel contempo continuato lo stile comico di Mark Twain. Ma non è detto che ci riesca, non è infatti certo che trovi quei lettori che meriterebbe d’avere e che in passato ha invece avuto. Pesca alla trota, pubblicato in originale nel 1967, vendette dieci milioni di copie negli USA, dando a Brautigan una fama tale da impedirgli di passeggiare liberamente per le vie San Francisco senza essere inseguito da torme di ammiratori. Il mancato successo italiano non dipende però da una qualche mancanza di Brautigan. Era e resta uno scrittore affascinante, e possiede pure il tocco magico del narratore di storie di vita vissuta come, o forse più, di Raymond Carver. E tuttavia, pur essendo oramai un classico, è rimasto sospeso nel limbo delle creature non-nate, come se gli mancasse qualcosa per diventare quel grande narratore americano che è già.
Richard Brautigan, come avevano visto decenni fa i suoi più acuti lettori, è uno specialista di luoghi della mente, di utopie e d’immaginari così potenti che non è facile rapportarsi con lui, e nel contempo pratica uno stile apparentemente lineare, dimesso, ironico, volto alla comicità e alla malinconia. La cosa più facile è perciò prenderlo sottogamba, senza capire che Brautigan ha fatto con il racconto breve quello che Melville ha realizzato con Moby Dick: ha porto all’America uno specchio in cui conoscere se stessa e contemplarsi, con la trota al posto della balena. Non una diminuzione, bensì un suo agevole e conseguente ampliamento. Pesca alla trota in America è un libro etico e svagato, serio e malinconico, comico e surreale. Un capolavoro, per farla breve. Unione di realismo e nonsense sublime, lo stesso che circola nei cortometraggi di Stanlio & Ollio, nel teatro di Beckett, nei romanzi di Breton e nelle pagine del primo Wittgenstein. Pesca alla trota in America, ha scritto anni fa Franco La Polla, è un libro unico, irrepetibile, un’opera chiave della letteratura americana. Cosa racconta? Tante piccole storie quotidiane che ruotano intorno a quel luogo immaginario che è un ruscello in cui guizzano, o almeno dovrebbero, le trote, e che a volte è una pozza d’acqua rafferma, una discarica o una casupola di legno. Tutto e il contrario di tutto, come l’America di cui Brautigan narra la storia fallimentare. Gli States che ci descrive questo poeta beat, nato a Tacoma nello stato di Washington nel 1935 da una famiglia di proletari, sono gli stessi ritratti dall’obiettivo di Walker Evans: villaggi polverosi dell’Ovest, insegne di negozi, gente per strade e boschi, uomini con jeans rattoppati, ragazze e i ragazzi con le efelidi, bambini, angeli caduti in terra e demoni meridiani.
Negli undici romanzi e libri di racconti che ha scritto, e nelle innumerevoli opere di poesia date alle stampa, c’è non solo l’autobiografia di un fallito di successo, ma anche quella di una intera nazione, che dagli anni Sessanta è arrivata sino a noi fedele a se stessa,e che ancora ci stupisce, ci fa arrabbiare e ci commuove. Brautigan è un vero dropout della letteratura. Giunto dalla provincia a San Francisco ha vissuto di espedienti, scrivendo poesie e vendendole in giro insieme ai semi di fiori, bazzicando bar e locali per chiacchierare, fino a che il romanzo ne ha fatto il profeta della “generazione Woodstock”. Stampato da Four Season Fondation, piccola casa editrice californiana, dopo innumerevoli rifiuti, Pesca alla trota era diventato il manifesto dei giovani che ascoltavano Bob Dylan e Janis Joplin, che si scatenavano con Jimi Hendrix e cantavano le canzoni di Mamas and Papas. Le sue sono storie stralunate di amori finiti male, di amari incontri, d’improvvise allegrie e malinconici congedi. Storie minori eppure uniche, che gettano una luce inattesa sul mondo degli emarginati, il rovescio della American way of life lastricata di dollari e successi facili.
Adesso che l’America è il paese guidato da un miliardario bizzarro, votato da milioni di persone che vivono nelle periferie di quel paese, in minuscole cittadine come quelle descritte da Brautigan, è davvero necessario prendere in mano e leggere Pesca alla trota in America. Per capire le origini di quel mito che Achab, al culmine dell’epica del XIX secolo inseguiva lungo i mari procellosi del globo, e che con la Trota si deposita invece in un torrente montano smontato a pezzi, venduto nel Deposito Demolizioni di Cleveland. Per capire come e perché l’America duri ancora nonostante tutto, bisogna leggere l’ultimo dei beat e il suo guizzante pesce, oltre Zucchero di cocomero, il romanzo successivo, uscito nel 1968, dove si narra dell’utopia negativa di una comunità che ha abolito conflitti sociali, gerarchie e tecnologie per vivere nell’attimo fuggente, premonizione della futura Silicon Valley. Speriamo Einaudi lo ristampi al più presto. Solo così il poeta bohémien, che si raffigurava sulle copertine dei suoi libri in immagine senza menzionare titolo o nome, potrà uscire dal limbo in cui è stato relegato ingiustamente, e diventare il più classico dei nostri narratori contemporanei.
Questo articolo è stato pubblicato su "La Repubblica" che ringraziamo.