Il Web non-lineare. Otto mesi di Web Analysis
Dalla primavera del 2011, quando abbiamo inaugurato lo spazio di Web Analysis, sono cambiate molte cose. Il panorama mediatico italiano sembra aver iniziato a scongelarsi, e molti si sono improvvisamente resi conto che sono passati quasi vent’anni da quel gennaio del 1994 in cui le televisioni hanno trasmesso per la prima volta l’inno di Forza Italia – consegnando il paese ad un lungo sonno a reti unificate.
Molti hanno visto un’assonanza tra le rivoluzioni della primavera araba, gli indignados spagnoli, il movimento Occupy, e quello che è accaduto in Italia con l’arrivo del “vento arancione” delle elezioni di Milano e Napoli e dei referendum. Tutti fenomeni apparentemente poco prevedibili, caratterizzati dalla spontaneità e dalla partecipazione civica. Nuove forme di mobilitazione, succedutesi nel giro di pochi mesi e che hanno avuto i nuovi media come strumento privilegiato, hanno colto di sorpresa tutti gli osservatori che guardavano esclusivamente al gioco che stavano giocando i “grandi” attori.
La verità è che negli anni del berlusconismo, al di là del sogno provinciale ad occhi aperti fatto di bipolarismo e rituali usurati, il mondo è diventato molto più complesso. Ondate di innovazione tecnologica, sociale e culturale si sono susseguite con ritmo frenetico, lasciandosi dietro un denso pulviscolo trasformativo che ha messo in discussione modi, tempi e significati della vita individuale e collettiva. È il tramonto di una mediasfera nella quale gli attori che giocano un ruolo significativo non sono più riconducibili ai Millecinquecento Lettori di cui scriveva Enzo Forcella nel ‘59 – i soli 1500 lettori “che contano” ai quali si riferiva implicitamente il giornalismo dell’epoca.
Forse solo dall’anno passato la mediasfera italiana ha preso coscienza di non essere più un mondo chiuso nel quale gli attori in gioco sono chiari, certi e prevedibili. Non c’è più solo la RAI contro Mediaset – o il Gruppo Espresso contro quello Mondadori – con poche altre voci a fare da contorno. La tassonomia dei nuovi centri di influenza mediatica è troppo articolata per riassumerla in un singolo articolo. Il mondo dei blog interagisce con quello dei social network, con i media tradizionali e con svariate lobby, centri d’interesse, forum, gruppi di aggregazione e situazioni difficilmente classificabili.
Ci sono i casi celebri di politici che cercano di comunicare con i nuovi linguaggi prendendo cantonate, come Letizia Moratti, il Trota e Roberto Formigoni. Ma ci sono anche politici che sanno come usare il mezzo e cambiano il modo di guardare all’attività parlamentare, come Andrea Sarubbi con l’hashtag #opencamera.
Accanto a giornalisti tradizionali che usano i social network in modi a volte incomprensibili, ne sono emersi altri che utilizzano i social network come complementi innovativi alla professione. Spesso si tratta di firme che scrivono per blog d’informazione di rilevanza nazionale come Il Post o Linkiesta – un fenomeno sconosciuto fino a pochi anni fa.
Nel giro di pochi mesi alcuni curator (è il caso di @Tigella) si sono imposti come fonti autorevoli, aggregando notizie dai canali più diversi in streaming d’informazioni selezionate. Allo stesso tempo, le celebrities sono entrate a gamba tesa sulla scena, trascinandosi dietro grandi numeri di fan con logiche più vicine a quelle del Grande Fratello che a quelle di Occupy.
E mentre i movimenti dal basso usano i social network come strumento di organizzazione aggregazione e propaganda, le nuove generazioni di hacker di Anonymous hanno iniziato a costituirsi come una sorta di attore politico indipendente, muovendosi in modi più misteriosi ed imprevedibili delle community di movimento come Autistici. In Ottobre, anche una community eterogenea e tradizionalmente non politica come quella dei wikipediani si è mossa contro il DDL intercettazioni, oscurando l’enciclopedia partecipativa con un’iniziativa senza precedenti.
Ma, cosa forse ancora più importante, ogni singolo utente agisce come un media center che si rivolge a pubblici più o meno estesi, agendo l’imperativo “Be The Media” dei movimenti di dieci anni fa nel modo meno prevedibile.
In questo scenario in continua trasformazione valgono molte monete diverse. Il capitale economico rimane fondamentale, perché banda e server continuano ad essere costosi, ma soprattutto perché essere costantemente presenti sulla rete richiede grandi risorse di tempo – e quindi denaro. Ma il peso del capitale reputazionale è sempre maggiore, così come accade da sempre nella comunità del free software. Ogni nuovo gruppo d’interesse che si attiva sul web porta con sé nuove forme di reputazione che corrispondono a diversi valori e visioni del mondo.
Per i blogger e i curator la reputazione si conquista con la devozione “alla comunità”, con l’essere sempre presenti e vigili, con la cura dello streaming di informazioni giocata alternando novità, conferme, analisi, opinioni, facezie, citazioni incrociate.
Certo, l’ingresso delle celebrities nell’arena ha creato una vera e propria “bolla speculativa”: orde di fan di Fiorello e Fabio Volo hanno iniziato a gettarsi a casaccio nella mischia, ribaltando le proporzioni numeriche tra i networker “consapevoli” e gli spammer, i lurker, i troller. Ma centinaia di spammer imploranti un saluto alla mamma a casa non hanno lo stesso peso, autorevolezza e influenza di molti singoli attivisti digitali. E in fondo, qual è la novità? Chi frequenta gli spazi sociali on-line da prima dei social network sa che questi fenomeni sono sempre esistiti, e che le community riescono sempre a mettere in gioco degli anticorpi. O che, più propriamente, ogni community usa il metro di reputazione e di attivismo che preferisce, e che ogni forma di comunicazione non è buona o cattiva di per sé, ma dipende dall’uso che se ne fa.
Nel 2011 molti si sono convinti che il web fosse un’arena più democratica, un nuovo spazio pubblico più trasparente nel quale la “vera natura” di persone e fatti potesse finalmente emergere. Uno spazio di condivisione e collaborazione che garantisse anche a chi è lontano dai processi di produzione dell’informazione ufficiale di farsi sentire.
Altri si sono sforzati di ricordare che il web non è solo democrazia e partecipazione, ma anche uno spazio nel quale attori monopolistici traggono profitti spaventosi dalla profilazione degli utenti. Un luogo meno trasparente di quel che sembra, nel quale le libertà digitali vengono costantemente insidiate dal restringimento delle possibilità di definizione del mondo connesse alla Filter Bubble.
Forse il modo più utile – e più umile - per affrontare i tempi che verranno è tenere presente che il Web è sempre più un luogo non-lineare, nel quale miriadi di attori di dimensioni e natura diverse interagiscono tra loro. Un luogo nel quale si generano influenze discontinue, feedback, distorsioni ed amplificazioni, passando dall’on-line all’off-line: relazioni indirette che hanno poco a che fare con la mediasfera tradizionale. Nuovi e strani territori ci si dispiegano davanti. Per viverli è necessaria consapevolezza. Non solo riguardo alle informazioni, ma anche riguardo alla natura dei network di relazioni e fiducia dei quali - volenti o nolenti - facciamo parte.