Nell'anima di Andreas Lubitz

1 Aprile 2015

Cosa nascondeva nell'anima Andreas Lubitz? Perché ha commesso quel gesto? Non lo sapremo mai. Ciò che possiamo conoscere è la storia dei discorsi che il gesto di Lubitz ha suscitato. Molte ripetizioni, poche differenze. La storia del pilota suicida/omicida ha fatto il giro delle opinioni, delle valutazioni, dei confronti. La maggioranza ha decretato che era matto, nel senso delle categorie diagnostiche. Ha vinto la “depressione”, soprattutto qui da noi, poi il “burn-out”, che è prevalso presso l'opinione pubblica tedesca. Germania, paese così arretrato da non avere ancora digitalizzato il sistema sanitario nazionale, per cui, cosa che in un paese moderno non potrebbe accadere, a uno basta stracciare una diagnosi per far sparire la malattia. L'episodio clinico di Lubitz getta una luce sinistra sul paese che ha fatto, dal 1875 in poi, dell'efficienza il proprio vanto.

 

Lubitz era consapevole che il suo gesto avrebbe soppresso le vite umane che viaggiavano da Barcellona a Düsseldorf? Se si risponde positivamente, allora dobbiamo spezzare una lancia contro la consapevolezza, contro il mito cognitivista che la consapevolezza è sempre positiva. Se invece non era consapevole, se si è trattato di un raptus, di un uscir fuori di sé, allora non serve andare a cercare le patologie pregresse del giovane pilota. Un tempo si chiamava nichilismo, gesto politico indecente. I nichilisti lo facevano per convinzione, oggi accade più spesso al loro contrario, i fondamentalisti. Altrimenti si parlava di gesto inusitato. Oggi invece la maggioranza risolve tutto a suon di categorie diagnostiche. La politica, la società, la cultura non c'entrano più.

 

Il nichilismo contemporaneo potrebbe essere descritto con una formula: occupare tutto il tempo per il nulla. Questa saturazione – tutto per nulla – somiglia al delirio del Principe di Danimarca: “morire – dormire”. Lo dice due volte. La prima per metter fine ai cordogli e alle mille miserie naturali della carne, morire appunto; la seconda per introdurre il sogno, che tanto prolunga la vita alla tribolazione. Il sogno permette di sopportare le frustrazioni e le umiliazioni del mondo, le angherie degli oppressori. Permette anche d'immaginare forme di insubordinazione. Solo, se il sogno scompare dall'orizzonte delle possibilità umane, allora è catastrofe. Il sonno senza sogni genera mostri. Gregory Bateson sosteneva che la finalità cosciente è antiecologica. Se Lubitz aveva un progetto suicidario, che ha messo in azione con consapevolezza, ha mostrato al mondo quanto Bateson sosteneva. Un crescendo continuo di umiliazione, giorno dopo giorno, porta a pensare a una vendetta che lentamente si costruisce, fino alla sua realizzazione consapevole, che porta catastrofe, discontinuità, come nei modelli topologici di René Thom. L'altra ipotesi, quella del gesto inusitato, mostra altri tipi d'inquietudine. Inquietudini rapsodiche, incalcolabili, prive di fondamento. Il soggetto umano è una macchina non banale, imprevedibile. Allora Lubitz è potenzialmente ognuno di noi.

 

Alphonse Mucha, Rêverie, 1898

 

Nel primo caso si tratta di un pensiero orribile, coltivato in anni di sofferenza trasformata in rabbia, di delirio lucido, o, meglio, di mania senza delirio, come sosteneva Esquirol. Nel secondo caso invece si tratta di un imprevisto tecnologico, di un buco nel linguaggio tecnico: dobbiamo considerare che il soggetto umano è irriducibile al controllo, che ciò, lungi dall'essere unicamente liberatorio, come si è pensato per molto tempo, può avere anche un effetto devastante. La prima è un'ipotesi soggettiva: cosa passa per la mente a un Lubitz per arrivare, dopo mesi, anni di umiliazioni, repressioni, mancati riconoscimenti, lucidi deliri a produrre una catastrofe di queste proporzioni? La seconda è un'ipotesi collettiva: com'è possibile che, in una società ipercontrollata, ipertecnologica, accadano questi eventi inusitati? Alla prima domanda possiamo rispondere che questo avviene in una cultura dove il sistema degli affetti sta perdendo il senso, dove la rêverie materna, come la chiama Bion, è schiacciata dal marmoreo peso della tecnica. Alla seconda rispondiamo: maggiore il peso della tecnica, maggiori sono le possibilità di un mancato funzionamento delle macchine, in particolare degli uomini macchina, che possono, senza alcun preavviso, impazzire.

 

Allora, perché si dorme se non c'è più tempo per sognare? Si dorme per fisiologia, si dorme sempre meno e, come in uno degli episodi di Twilight Zone (Ai confini della realtà), quando si arriva allo studio dello psicoterapeuta è troppo tardi, si è già morti. Arriveremo a vivere senza più dormire? Questo il sogno perverso. Ma queste considerazioni lasciano il tempo che trovano, ognuno ormai è andato dietro al pifferaio magico della diagnosi, così rassicurante. Se il pilota ha commesso questo gesto, era depresso, al benpensante, al non-depresso, non accade. Se è depresso, perde la responsabilità di avere commesso un gesto terribile, ha commesso un gesto che non ci riguarda sul piano morale. Era depresso, noi no. Aveva poca serotonina, oppure ha subito maltrattamenti durante l'infanzia. Questi i risultati certi di una tecnica che serve a controllare le nostre condotte, la stessa che produce le condotte di Lubitz.

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