Insetti 6 / Calvino, Levi e le formiche tagliafoglie
“Noi non lo sapevamo, delle formiche, quando venimmo a stabilirci qui”. Così inizia La formica argentina racconto lungo di Italo Calvino, pubblicato per la prima volta nel 1952. Una coppia di giovani sposi con un figlio s’insedia in una località della Riviera Ligure e scopre che è invasa dalle formiche; entrano dappertutto fino a ricoprire anche il loro bambino che dorme. Così i due adulti ingaggiano una strenua lotta contro l’insetto. Si tratta della Linepithema humile, una specie originaria del Sud America, e per questa chiamata comunemente argentina (non per il suo colore). Grazie alle piante e agli oggetti trasportati in giro per il mondo nel corso del Novecento la formica argentina si è diffusa in America del Nord, nell’Europa meridionale, in Africa, in Giappone, e persino in Oceania. Una specie molto invasiva, che è classificata tra le cento più dannose esistenti sul Pianeta. Nel sito della Bayer, che produce trattamenti contro gli insetti, è specificato che la più grande colonia al mondo di Linepithema humile s’estende per 6000 chilometri lungo le coste del Mediterraneo. Una enormità. Con ogni probabilità è stato il padre di Italo, Mario Calvino, agronomo, a portare in Liguria questa formica, forse dentro le piante che faceva venire dal Sudamerica per la sua stazione agraria sperimentale insediata nella villa di famiglia, la Meridiana di San Remo. Se la Liguria è diventata la Riviera dei fiori lo si deve proprio a lui.
A parte il racconto degli anni Cinquanta, poi uscito in volume a sé, Calvino figlio non è stato un grande appassionato di insetti, tuttavia è probabile che, se fosse stato ancora vivo, nel 1997 avrebbe subito letto il volume di Bert Hölldobler e Edward O. Wilson Formiche. Storia di un’esplorazione scientifica pubblicato da Adelphi e appena ristampato (tr. it. di Donato Grasso, pp. 350), un’opera appassionante sia per quello che racconta di questi insetti, sia perché è una sorta di autobiografia dei due entomologi, un tedesco e un americano, probabilmente i più importanti studiosi di questo insetto comparso nell’era dei dinosauri, 100 milioni di anni fa, e diffusosi rapidamente in ogni parte della Terra. Oggi le specie delle formiche sono decine di migliaia, e l’insetto ha avuto una performance adattiva tra le più spettacolari. Il libro racconta la storia dello studio delle formiche a partire da quello che i due autori considerano il padre della nuova visione, William Morton Wheeler. Questi pubblicò nel 1911 The Ant Colony as an Organism, in cui mostrò come la colonia delle formiche è realmente un organismo e non solo il suo mero analogo.
Le colonie si comportano infatti come delle unità, per cui possiedono proprietà distintive che si trasmettono di generazione in generazione. Questo tipo di vita collettiva è antico, ma poi non così tanto nell’arco di milioni di anni. Nell’arco della storia evolutiva degli insetti, misurata sull’arco di 100 milioni di anni, il superorganismo è infatti una acquisizione più recente: 50 milioni di anni. In generale gli insetti sono stati tra i primi animali a colonizzare le terre emerse a partire dal periodo devoniano, circa 400 milioni di anni fa. In seguito si diversificarono nelle paludi del successivo periodo carbonifero, e così nel Permiano, circa 250 milioni di anni fa, le foreste erano piene di blatte, cimici, coleotteri e libellule abbastanza simili a quelle attuali, per quanto per quello che riguarda le libellule, notevolmente più grandi. Le termiti apparvero solo 200 milioni di anni fa nel Giurassico, o forse all’inizio del Cretaceo; le api, le vespe sociali e le formiche si sono sviluppate in questo ultimo periodo, circa 100 milioni di anni dopo. Gli insetti sociali, di cui si occupa Formiche diventarono dominanti 50-60 milioni di anni fa. La loro esistenza abbraccia un periodo cento volte più ampio di quello del genere Homo. I due autori si chiedono: perché la vita coloniale, che offre degli evidenti vantaggi, fu ritardata di 200 milioni di anni? La risposta è che per un lungo lasso di tempo misurabile con cifre per noi impensabili, la vita degli insetti solitari risultava in effetti più semplice: i solitari si riproducono più velocemente e se la cavano meglio quando le riserve alimentari diminuiscono, per cui sono i pionieri migliori, dal momento che possono raggiungere piccole risorse in luoghi più distanti (un nuovo terreno, piante, acqua, eccetera). Al contrario, la colonia di insetti è lenta, complessa e stanziale. Tuttavia le colonie di formiche, come dimostra la formica argentina, la Linepithema humile, quando partono sono dei mostri ecologici molto difficili da fermare.
L’interesse che Hölldobler e Wilson nutrono per questo insetto nasce da esperienze giovanili, come mostrano le fotografie dei due da ragazzini mentre catturano farfalle col retino, o da adulti sdraiati per terra a studiare le formiche. C’è un’altra ragione: sono stati entrambi attratti dall’altruismo delle formiche, il cui studio ha svolto un ruolo importante nella conoscenza del comportamento animale in generale, da cui deriva quel settore di studi che Wilson ha chiamato “sociobiologia”.
Già nel 1963 un entomologo e genetista inglese, William D. Hamilton aveva spiegato come gli imenotteri, l’ordine di insetti che comprende api, vespe e formiche, sia geneticamente predisposto a diventare sociale a causa delle modalità con cui eredita il sesso. Le colonie delle formiche sono composte da una regina madre e dalle sue figlie, mentre i maschi sono una piccolissima minoranza, che viene allevata solo stagionalmente, come se fossero dei frutti. Il loro unico scopo è inseminare le regine vergini durante il loro volo nunziale fuori dal nido; così i maschi delle formiche sono per lo più destinati a diventare padri anni dopo la loro morte; la loro vita media è assai breve. La regina inseminata dà vita al nuovo nido o colonia, cosa che non sempre va a buon fine, dal momento che per molte specie di formiche si è calcolato che, ad esempio, su 13.000 tentativi di creazione del nido da parte delle regine incinte solo 12 sopravvivono a distanza di tre mesi.
Il tema del sesso ha attirato l’attenzione di uno scrittore per altro assai pudico: Primo Levi. Nell’aprile del 1986, un anno prima della sua scomparsa, pubblica sulla rivista Airone, dedicata agli animali e all’ambiente, un dialogo tra una Regina delle formiche e un giornalista. Si tratta di una delle interviste impossibili che Levi aveva iniziato a scrivere in quel periodo. Il giornalista, ignorante del sistema riproduttivo delle formiche, si fa spiegare come funziona. Orgogliosamente la Regina parla della propria capacità riproduttiva: “Ma si capisce che sono una maestà. Sa quante uova ho fatto sinora? Un milione e mezzo, e ho solo quattordici anni, e ho fatto l’amore una volta sola”. L’intervistatore gli chiede del matrimonio e lei si lancia nella descrizione del loro romantico incontro in volo: il desiderio femminile, l’inseguimento, il buon odore del maschio, poi l’incontro sessuale, e il destino finale del maschio: “E lui, poverino, mi ha consegnato il pacchetto ed è subito piombato giù stecchito: neanche il tempo di dirsi addio”. Con l’abilità di chi sa raccontare i fatti dell’entomologia trasformandoli in racconto, puntando nel contempo sul paradosso, Levi spiega cosa sia questo pacchetto: “Un pacchetto come se ne vedono pochi, con più di quattro milioni di bestioline, tutte vitali. Me lo tengo nell’addome. Lavoro di rubinetto e pompa, perché noi ce li abbiamo incorporati: ogni uovo tre o quattro spermini, e quando voglio figli maschi non ho che da chiudere il condotto. Mi creda, il vostro sistema noialtre non lo abbiamo mai capito”. La Regina-Levi ironizza sulla ripetizione del rapporto sessuale tra gli umani (le chiama “repliche”) e sentenzia: “Tutte ore lavorative perdute”.
Fa anche una previsione: “Vedrà che col tempo ci arriverete anche voi, come siete arrivati alla divisione del lavoro: per il popolo la fecondità è solo spreco e demagogia”. L’ironia è il tono che lo scrittore adotta per descrivere con precisione gli aspetti anatomici e organizzativi delle formiche. La Regina vanta il funzionamento del sistema scelto dalle formiche di riprodursi: sono centocinquanta anni che va avanti così. Un regime che gli uomini dovrebbero imitare. Con un occhio allo Jonathan Swift di Una modesta proposta, in questo racconto scritto sotto forma di dialogo, mette a confronto le consuetudini sessuali, riproduttive e organizzative delle formiche con quelle degli esseri umani, in modo simile a come fanno Hölldobler e Wilson nei loro libri. L’attenzione verso il superorganismo delle formiche – Levi non usa questo termine, ma ha ben presente l’idea di fondo – è all’origine della passione di questi autori per questi insetti. Levi introduce un altro tema grazie alla libertà che gli consente il tono scherzoso e narrativo del suo testo. Dice la formica: “c’è il giorno e la notte, l’estate e l’inverno, la pace e la guerra, il lavoro e la fecondità: ma al di sopra di tutto c’è lo Stato, e niente fuori dallo Stato” (scritto con la maiuscola). Si tratta di una sottolineatura non casuale, perché nello studio delle formiche da parte degli umani vi sono anche temi politici.
L’organizzazione sociale delle formiche è un retaggio del passato o una anticipazione del nostro futuro? In Hölldobler e Wilson si sente una forte ammirazione per un sistema sociale e biologico che funziona da milioni di anni, mentre Levi, con la sua curiosità e ironia prova a ipotizzare uno scenario diverso per l’umanità futura. Hölldobler e Wilson hanno pubblicato nel 2011 un nuovo libro divulgativo: Le formiche tagliafoglie, tradotto ora da Adelphi (tr. it. di Isabella C. Blunt, pp. 191), più breve e meno complesso. Si tratta in qualche misura di una sorta di compendio del volume precedente Formiche. Racconta le loro ricerche su un tipo di formiche di cui i due autori sono grandi appassionati, così scrive nella prima pagina: “Se un’assemblea di naturalisti dovesse riunirsi per scegliere le sette meraviglie del mondo animale, i contenuti vi includerebbero necessariamente le società gigantesche e bizzarre delle formiche attine tagliafoglie”.
I due aggettivi “gigantesche” e “bizzarre” sono perfetti nel descrivere questa specie davvero singolare. Il sottotitolo del libro è impegnativo: La conquista della civiltà attraverso l’istinto. Cosa vuol dire? Forse le formiche stanno per raggiungerci come civiltà? O forse è vero il contrario: siamo noi che imitiamo loro, come suggerisce la Regina di Levi? I paralleli sono parecchi, a partire dal tema della coltivazione, o meglio: dell’“agricoltura” che ha costituito per gli umani la premessa alla creazione degli attuali sistemi sociali e delle città: i nuovi formicai, come si dice, se si guarda alla Cina. Cosa sono gli Attini? Un gruppo morfologicamente molto caratteristico circoscritto al Nuovo Mondo. La maggior parte dei suoi 13 generi, e delle sue 230 specie, scrivono i due mirmecologi, si trovano nelle regioni tropicali del Messico e dell’America centromeridionale; altre vivono nel sud degli Stati Uniti e si sono adattate agli habitat degli stati sudoccidentali.
La specialità delle formiche attine è di essere tutte delle coltivatrici di funghi, i quali appartengono a una famiglia di basiomiceti, i funghi di cui ci nutriamo volentieri anche noi. Senza entrare nel dettaglio di questi organismi viventi – chi vorrà documentarsi può farlo nel libro stesso –, è interessante notare come il tema dei funghi sia diventato di grande attualità, come documenta un libro L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi, del biologo americano Merlin Sheldrake (Marsilio). Esistono cinque tipi di attività agricole esercitate dalle attine: una detta agricoltura inferiore; una basata sui funghi corallo (Pterulaceae); una fondata sui lieviti; e una detta agricoltura superiore (“forme domesticate”). Poi c’è l’agricoltura dei tagliafoglie, di cui si occupa nello specifico il libro dei due entomologi. I funghi sono il cibo di cui si nutrono le formiche e che offrono alle loro larve. Una vera attività su cui si impernia l’intera colonia; si pensi che quando le nuove regine escono in volo per fondare nuovi nidi, portano con sé in una parte specifica del corpo una piccola porzione di micelio per iniziare la nuova coltivazione. Nelle colonie sotterranee, vero miracolo architettonico, di dimensioni spettacolari, enormi, profonde e complesse, come mostrano le immagini del volume, ci sono grotte in cui il fungo è coltivato con molta attenzione dal momento che è suscettibile d’essere attaccato da parassiti e agenti patogeni. Le formiche in migliaia di anni hanno potenziato le loro difese sanitarie, e questo non è più solo un fatto curioso, ma un elemento che giustificherebbe da solo il loro studio. Potrebbero esserci ricadute nell’ambito umano: i funghi con le loro peculiarità sono interessanti anche per noi, vista la situazione in cui ci troviamo.
La cosa su cui i due studiosi richiamano l’attenzione è la simbiosi tra le attine e i funghi. Per quanto questa non sia la sola fonte di nutrimento delle formiche, che utilizzano anche la linfa vegetale, è tuttavia fondamentale per loro sopravvivenza. Le tagliafoglie costituiscono la parte più sviluppata del sistema agricolo delle varie formiche attine. La civiltà umana, dicono gli antropologi e i paleontologi, è emersa nella forma che oggi conosciamo quando si sviluppò l’agricoltura, superando la fase della raccolta e della caccia. Lo sviluppo tecnologico e gli insediamenti urbani sono l’effetto di questa rivoluzione avvenuta diecimila anni fa. Le formiche ci hanno preceduto di 50-60 milioni di anni, compiendo, scrivono i mirmecologi, la transizione evolutiva verso l’agricoltura. Cominciarono a coltivare il fungo, ma fecero anche di più: iniziarono a portare dentro al nido foglie e frammenti vegetali freschi tagliati in pezzi sempre più piccoli, trattati con il loro liquido fecale, che usano come substrato della fungaia. Vedere le formiche che tagliano e trasportano le foglie è una scena davvero straordinaria. Nel libro ci sono le foto delle autostrade dove passano queste processioni di formiche, strade tenute sempre libere da insetti specializzati in questo. Nella colonia esistono infatti formiche di varie dimensioni. C’è, ad esempio, un tipo di piccole formiche attine, che montano sopra le foglie trasportate da altre formiche più grandi, dopo il taglio. Queste autostoppiste hanno la funzione di proteggere la formica trasportatrice dagli attacchi di ditteri parassiti molto pericolosi perché depongono le loro uova sul corpo delle formiche, che possono alterare la situazione della fungaia. Si tratta di una vera e propria catena di montaggio, che impegna milioni di formiche insieme.
Ci sono poi le caste delle formiche soldato, che difendono il nido dai predatori, dal momento che esistono colonie di formiche che rubano il micelio nei nidi altri. Il problema che i ricercatori hanno provato a risolvere è: come comunicano le formiche? Sappiamo che l’olfatto è la base della comunicazione degli insetti. Si tratta di aspetti connessi ai loro organi di senso, così sviluppati, e ai feromoni, sostanze prodotte da ghiandole usate per le comunicazioni intraspecifiche. Mentre il genere Homo s’è elevato da terra, e ha sviluppato la vista, gli insetti restano legati agli aspetti olfattivi, come molti altri animali – tra i mammiferi il cane e il gatto. Un aspetto interessante riguarda l’uso del suono che fanno le attine tagliafoglie: stridulano. Possiedono un organo stridulatore costituito da una sorta di lima cuticolare posta sul primo tergite gastrico e da un raschietto situato nel postpeziolo. Insomma, suonano uno strumento, come fanno i grilli, e sono suoni udibili. In questo modo si richiamano a vicenda, a seconda delle attività in corso. Nel loro mondo esistono caste fondate sul polimorfismo, che hanno sviluppato a partire dal polietismo: nel corso dell’evoluzione sono cambiate le dimensioni delle operaie per seguire le varie azioni in corso. Questo è solo un riassunto molto condensato di quello che si trova in questo bellissimo libro di sole 190 pagine; il libro tecnico più importante scritto da Hölldobler e Wilson si intitola The Ants ed è uscito nel 1990, e si compone di 723 pagine, ed è stato scritto per gli studiosi.
I dettagli su cui i due autori si soffermano sono tantissimi, tutti meritevoli di attenzione. Se il tema del superorganismo è stato per anni il cavallo di battaglia di Wilson, divulgato in molti suoi libri e saggi, in questa opera la cosa più interessante è il mutualismo tra formiche e funghi. Il fungo manda segnali alle formiche quando la situazione diventa pericolosa; se, ad esempio, certe foglie non sono adatte a lui, o se si sono introdotti nella grotta gruppi fungini in competizione con la coltivazione in corso. Una serie di interazioni reciproche molto importanti per la sopravvivenza della colonia, così che gli autori ritengono che nel superorganismo costituito dalle formiche del nido il fungo sia una parte sostanziale: nessuno dei due partner può sopravvivere senza l’altro. Come le formiche accudiscono la regina, che produce nuove formiche, così il fungo dice alle medesime formiche cosa devono o non devono fare, perché non debba ammalarsi o peggio morire. La mutualità sembra un problema davvero importante, una questione che può riguardare anche i bilanci che occorrerà fare alla fine della vicenda del Covid 19. Si pensi al fatto che questo virus, che vive probabilmente da migliaia di anni su organismi che non ne risentono gli effetti, si è sviluppato in forma mortale per gli esseri umani, dopo essere stato tolto dal suo habitat naturale, a causa dell’uomo stesso. Nel nido delle tagliafoglie ci sono ben quattro organismi viventi coinvolti in simbiosi; uno di questi è l’attinomicete filamentoso Pseudonocardia, che cresce sulla cuticola delle formiche: produce antibiotici che inibiscono la crescita del fungo parassita Escovopsis, nocivo per il fungo. Ci sono altri segreti nella colonia che i due entomologi spiegano in modo dettagliato e chiaro; riguardano, ad esempio, la trasformazione dell’azoto atmosferico in ammoniaca, e dettagli sorprendenti. La chimica delle formiche attine avrebbe probabilmente attirato l’attenzione di Primo Levi e chissà quante osservazioni acute avrebbe ricavato da questo nuovo libro dei due mirmecologi.
Quale interazione c’è tra noi e le formiche? Di sicuro le tagliafoglie, come la formica argentina di Calvino, sono pericolose per le piante, le quali per altro reagiscono producendo antiparassitari naturali per difendersi dall’assalto degli insetti in genere, senza alterare l’ambiente circostante; al tempo stesso le formiche svolgono un lavoro di movimento della terra, rigenerandola probabilmente più ancora degli stessi lombrichi studiati da Charles Darwin, dando così un contributo fondamentale alla fertilità del suolo. Come dobbiamo considerarle? Alla fine di Formiche i due autori sottolineano come questi insetti ignorino totalmente l’esistenza dell’uomo e vivano chiusi nel loro universo chemiosensoriale e fanno esperienza della realtà attraverso organi di senso che sporgono dal loro rigido esoscheletro: peli, protuberanze e piastre. Possiedono anche uno strano cervello tripartito, di cui i due autori parlano in un capitolo. Il loro mondo è senza dubbio frattale: si misura in centimetri, mentre il nostro in metri, chilometri e ora, grazie agli aerei e alle navicelle spazili, in estensioni ancora più vaste. Le formiche ci sono sulla Terra da più di dieci milioni delle loro generazioni, noi da non più di centomila generazioni. Nel corso degli ultimi due milioni di anni non si sono evolute quasi per nulla, mentre noi abbiamo subito una evoluzione culturale straordinaria; siamo diventati la prima specie che è anche una forza geofisica: altera e distrugge il Pianeta stesso, perturbandone persino il clima.
La vita sulla Terra non scomparirebbe certo per l’azione delle formiche, mentre noi umani stiamo attaccando pesantemente la loro biomassa con le nostre forme di dominio biologico. Se le formiche scomparissero dal Pianeta azzurro, per qualche ragione collegata a noi, o ad altro, sarebbe una catastrofe. L’estinzione delle specie viventi crescerebbe a un tasso superiore a quello attuale, e gli ecosistemi terrestri si inaridirebbero più in fretta, mancando il contributo essenziale di questi insetti. Bisogna averne rispetto, dunque, scrivono gli autori al termine di Formiche, per mantenere il mondo, e noi stessi, in equilibrio. Del resto, non è così che fanno anche i due protagonisti del racconto di Calvino? Estenuati dalla lotta contro la formica argentina, finiscono per andare al mare, là dove non ci sono le loro acerrime nemiche, per godersi l’acqua e il sole di una bellissima giornata.
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Questo articolo è stato pubblicato in forma più breve da “La Repubblica” che ringraziamo.