Donne, acido muriatico e altre cose pericolose
Sbatti il mostro in prima pagina è un film di Bellocchio del 1972, grande regista, anche se questa non è tra le sue opere migliori. Il giornalismo, certo giornalismo, ha bisogno di stimolare l'immaginario collettivo, poco si preoccupa degli effetti pragmatici, dell'impatto che la comunicazione ha, di quanto la comunicazione contribuisca alla formazione di mentalità collettive, esasperazioni e proteste fanatiche. Quando il privato diventa pubblico, effetto paradossale delle leggi sulla privacy, si trasforma, assume la forma di pretesto per parlar male del governo, del paese, della morale buonista, ecc. ecc., cose che conosciamo fino alla noia, ripetizioni infinite del medesimo. Lo spazio di comprensione/riflessione viene saturato, si trasforma in “buonismo” o in collusione. In realtà va di moda il cattivismo, e il “buonismo” è diventata parola chiave per mostrare quanto cattivi bisogna essere con gli altri. Quanto vanno educati a suon di bastonate, identificandosi paradossalmente con loro.
Ovvio, così come la leggiamo, la notizia non dà modo di essere neppure messa in discussione: si tratta di due mostri. Non mi riferisco al legittimo giudizio della giudice, che ha valutato gli atti, che si è consultata con consulenti, che ha formulato un giudizio corretto, su ciò non si può, non si deve, discutere. Del resto, il giudizio legale non esclude possibilità di recupero, a breve o a lungo termine. Né si possono discutere gli atti perpetrati di cui questa donna è colpevole, se la sentenza è passata in giudicato.
Quel che mi sorprende non è né il giudizio, né la pena. Quel che mi sorprende non è l'allontanamento, temporaneo o definitivo, del bambino. Quel che mi sorprende è come la notizia sia diventata glamour, oggetto di dibattito per mediologi pettegoli, che già fanno analisi, che danno per scontato che la notizia sia la realtà, che sia il referente. Eppure non sono passati molti anni da quando Marshall McLuhan disse “il medium è il messaggio”, dunque la notizia sono loro stessi, le parole che hanno usato per confezionarla, gli errori, i refusi, le omissioni, i tagli, le aggiunte. Tutto ciò, per me, è immorale.
Vero, la libertà di stampa non si tocca. Infatti questa non è una questione giuridica, è una questione etica. Ci sono sempre stati giornaletti di gossip, in tutto il mondo. In Italia ne abbiamo moltissimi da quando esiste la pratica del giornalismo. La questione qui è un'altra: come mai oggi i giornali che hanno il compito di creare l'opinione pubblica generale, come mai le notizie televisive si comportano e pubblicano cose che un tempo incuriosivano solo “Gente” e “Novella duemila”? Esistono anche i rotocalchi porno, quelli satanisti; poi, sul lato opposto, ci sono i bollettini parrocchiali, le newsletter delle proloco: a quando le grandi testate si adegueranno a quel modello solo perché fa notizia?
Vorrei scrivere anche dei fatti, ma ritengo che sia sbagliato farlo, li conosco per quanto ho letto, ripetizioni degli stessi argomenti, aggiunte ritenute nuovi scoop che non hanno aggiunto nulla agli stessi argomenti, se non materiali per continuare il pettegolezzo. E quando scrivo “gli stessi argomenti” penso a Cogne, a Ilaria, alla mamma che mette la bimba in lavatrice, al babbo che dimentica il figlio in auto, ecc., ecc., ecc. È accaduto un fenomeno strano all'opinione pubblica italiana, una sorta di pietismo strapaesano iniziato negli anni Ottanta: c'è stata una interpretazione della frase “il personale è il politico” nella direzione di usare i fatti personali per dimostrare le proprie convinzioni ideologiche e politiche, non credo che queste fossero le intenzioni del movimento femminista.
Norbert Elias ci ha insegnato che – a partire dal De civilitate morum puerilium di Erasmo da Rotterdam – il processo di civilizzazione è passato anche attraverso l'inopportunità di descrivere nel dettaglio certe azioni disgustose o riprovevoli, certe circostanze moleste, che potevano essere deprecate anche senza descriverle nel dettaglio. Ciò non aveva solo lo scopo di evitare il disgusto. L'intenzione era anche di evitare l'indignazione mal posta e di sottoporre i bambini a emozioni devastanti. La verità si manipola facilmente, questo allora si sapeva.
Questo processo, durato alcuni secoli, non va confuso con la censura. La censura ha una finalità consapevole, impedire di esprimersi a un oppositore politico, a uno scrittore scandaloso. Le vittime della censura – da Giordano Bruno a Pier Paolo Pasolini – sono state oppresse, processate, spesso colpevolizzate e derise dalla pubblica opinione. Il processo di civilizzazione è altra cosa, non dipende da una finalità cosciente ma da uno Zeitgeist, da una decisione di opportunità che si diffonde grazie a una crescita culturale promossa da menti illuminate. L'osceno non sta nella fiction, quando un autore scrive qualcosa che sembra osceno in letteratura può accadere che la sua opera venga messa sotto processo, come accadde a Joyce per Ulisse, a Pasolini per Ragazzi di vita, a Ginsberg per l'Urlo.
Lo Zeitgeist invece non funziona nei termini di una censura legale ma di una decisione di opportunità morale. La vita di una persona – o come preferiscono dire alcuni patiti per la terminologia di moda, del soggetto – va rispettata nella sua singolarità, siamo al punto che l'opinione pubblica italiana è diventata la decalcomania di un paesotto di tremila abitanti, dove tutti si conoscono e lo sport preferito è “male dire”.
Poi ci sono gli esperti, che non perdono occasione per piazzare le loro categorie teoriche, per confermarle, per dire che dicono la verità: “Vedete? È proprio così, come ho scritto nel mio ultimo, penultimo, terzultimo libro la settimana scorsa!”, i fatti lo confermano, perché i fatti esistono, hanno vita propria, non sono costruzioni linguistiche. Insomma esperti che scambiano i fatti per i fantasmi, i soli ad esistere davvero, ma dei quali si tratta nei minuti particolari, in ambiti di cura, in cui è bene osservare un po' di silenzio.