Lino Aldani, maestro di fantascienza
Secondo uno stereotipo diffuso la narrativa di fantascienza è associata sia allo svago, quindi refrattaria ai temi sociali o politici, sia dominata dall’influsso americano. Così è avvenuto per la fantascienza in Italia, decollata in pratica nel 1952 con “Urania” con testi tradotti di “science fiction” statunitense. Dominando il mercato, questa collana ha dettato a lungo legge diffondendo una verità unica della fantascienza, e cioè che quegli eventi fossero credibili solo se comparsi nei cieli americani. Ciononostante è esistita una produzione italiana autonoma anche in quegli anni, grazie ad autorevoli incursori quali Buzzati, Calvino, Levi e ad alcuni padri fondatori. Tra questi ha un posto di rilievo Lino Aldani, che ha saputo indicare una via sorretta da impegno e stile, come si può apprezzare in una recente selezione di 28 racconti (La casa femmina e altri racconti, Mondadori, 2024), preceduti da una breve introduzione dell’autore. L’auspicio è che continui il recupero delle sue opere, ora impolverate su bancarelle o reperibili con difficoltà nel catalogo bolognese di Elara Libri. Questo scrittore, vissuto dal 1926 al 2009 soprattutto nel territorio pavese dove era nato, attraversa la fantascienza italiana anche come critico, attivandosi con riviste quali ad esempio “Futuro”. Di questa pubblicazione usciranno solo otto numeri tra il 1963 e il 1964, sempre animati dal proposito di voler non solo intrattenere, ma anche offrire una narrativa apprezzabile a prescindere dal paradigma fantascientifico impregnato dall’imitazione americana. Ospita Giorgio Agamben con la sua opera prima “Decadenza”, inserisce traduzioni di autorevoli scrittori, dialoga con esponenti ‘alti’ della letteratura come Comisso, Vittorini, Bigiaretti e Soldati (ora in Il meglio di una mitica rivista di fantascienza, Editrice Nord 1978).

Al centro del suo mondo ha un posto dominante la persona con la sua solitudine, come teorizza nell’acuto saggio ormai quasi disperso “La fantascienza” (La Tribuna, Piacenza, 1962), spesso oppressa da incertezze, debolezze, rimpianti, vizi e virtù, stati d’animo negativi, in gran parte generati da una modernità priva di futuro. È interessato in particolare dall’effetto delle tecniche, dalle relazioni interpersonali, dall’individuazione delle angosce, dalle fratture psicologiche. Come è stato suggerito “ha trasceso i meccanismi della letteratura fantascientifica per parlare all’uomo e dell’uomo, della sua esistenza, del suo ruolo (o non ruolo) in una società che è sempre più alienante e che lo rende in qualche modo schiavo di se stesso”. L’uomo, a suo avviso, è stressato, alienato, abbandonato, ma non riesce a ribellarsi perché, se vivere nella società sembra impossibile, altrettanto impossibile è opporvisi perché mancano le speranze. Emerge così, attraverso la narrativa fantascientifica, l’impegno civico e morale di fronte agli snodi culturali, sociali e ambientali dell’Italia trionfante dell’epoca. Il suo pessimismo non punta a descrivere cosa accadrà, ma che cosa potrebbe accadere se la società non si opponesse alle conseguenze negative dello sviluppo economico. Ad esempio “Tecnocrazia integrale” (p.165) prende in considerazione un concorso cui partecipano 3000 persone per 45 posti. Il protagonista sostiene la prova scritta in clima concitato, con la ressa ovunque anche nell’assegnazione dei posti a sedere, nonostante un controllo minuzioso degli organizzatori. Anche se i quesiti sono astrusi il nostro supera la prova e gli viene assegnato il posto di spazzino di seconda classe. Così può lasciare il lavoro nelle fogne che stava svolgendo. In “Scacco doppio” (p.285) un marito gioca a scacchi con il computer mentre aspetta il rientro a casa della moglie recatasi all’”esame di sopravvivenza”, prova cui periodicamente i cittadini sono sottoposti per verificare se ancora utili alla società, pena la loro eliminazione. L’alcool ingerito rende i pensieri fluidi, slegati, mentre procede la partita con il computer tormentata da paura, tradimenti, sospetti, disequilibri.

Questo anche perché all’esterno esistono i cacciatori di donne che inviano cartoline di convocazione ad incontri in cui non si sa cosa accada. Quando la partita è finita Elena non è ancora tornata e il robot ha vinto, quindi lo scacco è doppio, suo e della moglie, e la sconfitta è totale. Il mondo è di plastica e solo nella memoria dell’infanzia vi sono tracce ristoratrici, con erbe e siepi, fienili ed orti, oggi svanite perché soffocate da un potere senza volto. “Screziato di rosso” (p.315) è ambientato in Italia, nella terra di Aldani, e vuol mostrare che ovunque può verificarsi un evento eccezionale. Due ex partigiani Vento, funzionario di banca, e Fortuna, professore di matematica, si ritrovano per pescare con vecchi amici di osteria. Improvvisamente cala una nebbia fitta ed inspiegabile creando panico nei protagonisti che tornano in paese con difficoltà e trovano l’osteria in subbuglio tanto che lo scemo del villaggio sembra addirittura rinsavito. Non solo: è entrato nel locale un negro gigantesco con i capelli rossi e il vestito screziato di rosso che dichiara di essere giunto con un congegno di acciaio da molto lontano e di essere lui il responsabile della nebbia avendola generata elettronicamente. Si presenta con intenti pacifici, con il proposito di trasferire qualcuno nel suo mondo senza però aver successo. Compaiono i temi tipici dell’autore, i luoghi, la resistenza, la simpatia per chi è diverso, il marchio dell’ambiente, l’opportunità di partire per un futuro ignoto ma non aver la forza di decidere. Il protagonista è il tempo come osserva Fortuna: “tra il prima e il dopo, come una scheggia o diaframma o sottile foglietto di carta argentata c’è l’adesso, il presente i cui problemi vanno risolti adesso. Non si fugge in un futuro di sogno”. Anche “Arie di Roma andalusa” (p.499) è ambientato in Italia, a Villa Borghese, in cui avvenivano le scorribande del protagonista con il suo amico negli anni del dopoguerra. Arrivati alla sessantina si ritrovano per cercare una parte misteriosa della Villa nella quale avevano messo piede solo una volta: un giardino al di fuori del tempo, una statua demoniaca, una grotta con un’iscrizione incompiuta, una ragazza misteriosa vestita di bianco.
Il racconto “Visita al padre” (p.303) ha invece un diverso registro. In un’Italia sempre più industriale un giovane, trasferitosi in città, incontra il padre che vive invece ancora nel suo mondo appartato, isolato, irrigidito nelle tradizioni contadine. Gli si rivolge duramente accusandolo di averlo spinto, anche indirettamente, verso una vita forse agiata ma di cui è insofferente ed in cui si trova intrappolato. Si confrontano così da un lato la modernità e la frenesia metropolitana, dall’altro la calma e la spontaneità radicate in una tradizione sempre più lontana. Con la nostalgia emergono il richiamo alle origini, l’ambientazione del mondo rurale, lo scavo dei personaggi a scapito delle trame avventurose, elementi questi che generarono perplessità per la sua scarsa “fantascientificità” o l’eccessivo “pavesismo”. In “Doppio psicosomatico” (p.83), ispirato a un racconto di Sartre, si racconta di due donne inquiete. Una, Amanda, fugge dalla realtà con la droga ipnofene che la fa sognare, mentre l’altra, Edith, è attaccata morbosamente a un robot costruito dal marito scienziato ora deceduto di cui riproduce corpo e cervello. Costei si convince che il robot sia effettivamente il marito, ma lo distrugge per sfuggire alla realtà e mantenere la sua illusione. Vari racconti sono impegnati in questa direzione. In “Nemico invisibile” (p. 217) un uomo impazzisce scivolando dal dubbio alla paura delirante temendo di aver fatto fallire le precedenti missioni su Marte. Affiorano la solitudine, la diffidenza tra i membri del gruppo che conducono alla follia, allo sdoppiamento che porta la realtà ad essere negata con una conseguente liberazione distruttrice. Il protagonista di “Una rossa autentica” (p.197), dopo aver vissuto un’esperienza meravigliosa con una donna, scopre che costei è venuta da un altro pianeta per essere fecondata da un umano e provare così la gioia della maternità. Però questo umano è sterile e tutto crolla, anche a causa della sua mente debole, schizoide, incapace di reazione. Fugge verso il mare, archetipo di fecondità, cercando quella donna, ma non la trova uscendo così sconfitto. In “Canis sapiens” (p.109) il protagonista ha un sogno drammatico: entra nel corpo di un cane con una sorta di travaso psichico per organizzare la rivolta contro gli uomini che, con perfidia, stanno distruggendo il mondo con la sovrappopolazione e il rischio della guerra totale. Il travaso psichico è però incompleto perché lascia il cervello integro e questo gli consente di passare una notte d’amore con la padrona. Il protagonista rasenta la follia pensando al cane che ha passato la notte con sua moglie, e così lo uccide.

In questa cornice si diffondono le nuove distopie e la critica sul presente. Oltre al racconto “Trentasette gradi”, non presente nella raccolta (“Di chi mi devo fidare? 37 gradi di temperatura corporea”, in questa rivista) pregnante è “Buonanotte Sofia” (p.245). La popolazione si intrattiene con gli “onirofilm”, film interattivi che preconizzano la realtà virtuale fornendo anche effetti sensoriali con una stimolazione nervosa, come la “hypnopedia” del “Mondo nuovo” di Huxley. Il tutto avviene all’interno delle abitazioni, le strade delle città si svuotano per cui l’uomo si priva dei rapporti sociali, amorosi, sessuali, rifiuta l’esperienza diretta, opera la riproduzione umana in vitro. Anche i media sono coinvolti in quanto sono fruibili passivamente, e quindi si tratta di veicoli che annichiliscono la coscienza favorendo l’evasione dalla realtà con conseguente solitudine esistenziale. “Domenica romana” (p.277) descrive, con lucida amarezza, i problemi di sovraffollamento e di traffico paralizzante causati dall’espansione urbana incontrollata. Gli spostamenti sono un’odissea che induce a abbandonare la città per riottenere il contatto con la natura, con il cibo genuino, con gli spazi liberi. Sulla stessa linea è il romanzo Quando le radici, anch’esso in attesa di una riemersione editoriale come gli altri quattro (Eclisse 2000, Segno di luna bianca, Croce di ghiaccio, Themor konick). Le campagne sono in fase di progressivo abbandono in favore di metropoli sovrappopolate, intasate di droghe e cibi sintetici. Il protagonista è insoddisfatto e decide di trasferirsi in campagna, ma dopo un periodo di tranquillità tenterà di tornare a Roma finendo, dopo alterne vicende, per aggregarsi a una compagnia di zingari.

Non mancano tuttavia incursioni nella fantascienza classica e tradizionale. “La luna delle venti braccia” (p.43) presenta un dilemma angoscioso. Nel 2025 (sic!) un’epidemia in poco tempo provoca la morte di gran parte della popolazione, ma si scopre un antidoto in una pianta che cresce in un satellite di Saturno. Si prepara così un’astronave che riesce ad atterrare, ma un guasto ne mette in crisi la ripartenza che può essere tentata una sola volta e può avvenire solo diminuendo il carico di 950 kg. Ma pur eliminando tutto il possibile rimangono 64 kg di troppo. La situazione è drammatica e si profila una sola soluzione: ciascun membro dell’equipaggio, compreso il comandante, dovrà amputarsi il braccio sinistro così l’uomo avrà occasione di rinunciare al proprio egoismo salvando l’umanità. In “Gli ordini non si discutono” (p.31) un’impiegata segnala al superiore di ritenere che due collaboratori siano marziani. Questi li convoca e li rimprovera in quanto anche egli è marziano e teme che il segreto sia svelato. Nel frattempo dal colloquio tra quell’impiegata e un’altra donna si scopre che sono agenti venusiani impegnate nel controspionaggio, e una di esse decide controvoglia di accettare la corte del marziano che agisce così per non farsi scoprire. Gradualmente gli umani scompaiono, e sono sostituiti da marziani e venusiani che ne sono repliche efficaci, contendendosi il segreto. “Korok” (p.75) è cacciatore elettronico inviato da un pianeta di Andromeda, semovente, simile ad un ragno che cerca la preda, la cattura paralizzandola, dotato anche di un misuratore di intelligenza per escludere le prede scarsamente evolute. Esploratori spaziali si trovano su un pianeta mentre lavora un korok che si scaglia contro uno di essi e sta per paralizzarlo. Lo lascia però libero perché costui era dotato di un’intelligenza troppo scarsa. “Morte di un agente segreto” (p.145) rappresenta alla soglia degli anni tremila la guerra fredda tra Terra e Marte da quando quest’ultima punta su Venere occupata da coloni terrestri. Il maggiore Barnes torna da Venere sulla Terra dopo aver installato un congegno difensivo in grado di bloccare l’invasione. Catturato da spie marziane gli viene chiesto di indicare dove si trovi il congegno per distruggerlo. Interrogato, torturato, fiaccato nel fisico e nella mente, consapevole della fine vicina, fornisce una falsa localizzazione anche perché non conosce quella effettiva. Liberato apprende dai superiori che il congegno è stato colpito e distrutto in base alla sua informazione e pertanto viene ucciso. Questo è avvenuto perché il congegno era stato trasferito senza ragione, e per puro caso era stato collocato proprio dove il maggiore lo aveva indicato.
Lino Aldani si pone lontano ‘anni luce’, per dirla con il genere, dall’Urania di Fruttero e Lucentini degli anni ‘60 e ’80, i quali non hanno mai nascosto la contrarietà a una fantascienza italiana. Lo confermano le quattro corpose raccolte di racconti Le meraviglie del possibile (Einaudi 1958,1961,1968,1991) prive di autori italiani. La battuta attribuita a Fruttero «Un disco volante sarebbe potuto atterrare dovunque sul nostro pianeta, a New York, a Londra, a Parigi, a Bombay ma… a Lucca, mai!» è causticamente lapidaria, ma smentita dallo stesso Aldani che nel racconto “Screziato di rosso” ambienta la sua storia nelle nostre campagne.
Leggi anche:
Alberto Mittone | Di chi mi devo fidare? / Lino Aldani, 37 gradi di temperatura corporea
