Luca Locatelli: fotografare il futuro
Trovare soluzioni realistiche in risposta all’enunciazione continua di prospettive catastrofiche. Lo stato attuale del problema ecologico è una massiccia affermazione con la quale si è e si sarà presumibilmente sempre più costretti a fare i conti. In tutta la narrazione che si è articolata in questi ultimi anni attorno alla questione ambientale, sull’esaurimento ormai prossimo delle risorse energetiche per il sostentamento della vita sul pianeta, sull’inquinamento ormai degenerato nella nostra atmosfera e la crescente insalubrità della nostra aria, si è soliti subire il disegno dettagliato di un futuro drammatico – certamente verosimile – sempre più inospitale per l’uomo, gli animali e la vegetazione; una prospettiva irreversibile e con pochissime speranze di salvezza. “Salvezza” che coinciderebbe, in questo caso, col recupero di una situazione precedente, ovvero antecedente alla progressiva distruzione dell’ecosistema e dei meccanismi naturali con cui la Terra produce le proprie risorse. Salvarsi, allo stato attuale, vorrebbe dunque dire tornare indietro: ritrovarsi ad alimentare una civiltà in sintonia coi tempi che il mondo naturale impone, associare questo modo di intendere al concetto di progresso ed evoluzione, e non al suo contrario come è avvenuto finora. E se tornare indietro non è una scelta fisicamente possibile, trovare soluzioni che guardino al futuro rappresenta una sfida, perché vorrebbe dire sganciarsi per un momento dalle proiezioni apocalittiche da cui si è attualmente travolti per far diventare il piccolo foro nel muro che chiude il tunnel un varco da cui far fuggire ogni forma di vita ora esistente, o rimasta.
Luca Locatelli, primo premio nel 2020 del World Press Photo nella sezione “Environment Stories” e interessato da molti anni alla ricerca delle risposte possibili in grado di ribaltare lo stato di crisi in cui verte il nostro ecosistema, è stato l’autore incaricato da Intesa San Paolo per rintracciare nel mondo alcune delle soluzioni più efficaci a uno dei più gravi problemi dell’umanità di oggi portandole in veste fotografica alle Gallerie d’Italia di Torino. Dal 21 settembre al 18 febbraio 2024, a cura di Elisa Medde e col supporto specialistico di Ellen MacArthur Foundation, il risultato dell’ispezione di Locatelli prende forma nella mostra “The Circle. Soluzioni per un futuro possibile”, accompagnata da un catalogo edito da Skira. È infatti il cerchio il simbolo che racchiude le possibili vie evidenziate da Locatelli, evocato nella fattispecie attraverso il tema dell’economia circolare (Circular Economy), che vede al centro del proprio funzionamento, come è facile intuire, il riciclo, quel recupero di tutto ciò che oggi chiamiamo scarto e che un domani può invece essere concepito come nuova fonte di energia e nuovo materiale utilizzabili.
Seguendo il filone che la sede torinese di Gallerie d’Italia ha iniziato a tracciare fin dalla sua mostra inaugurale, dedicata all’ampio reportage affidato al reporter dell’agenzia Magnum Paolo Pellegrin per evidenziare il valore estetico, la “fragile meraviglia” del nostro pianeta, lanciando un messaggio simile a “ecco cosa ci stiamo perdendo e condannando”, con il lavoro di Locatelli il messaggio assume ora la conformazione della formula propositiva: “rimedi possibili”.
Questi rimedi possibili sono stati individuati dal fotografo nelle più svariate località del mondo, a partire dall’Islanda, notoriamente terra in grado di produrre autonomamente energia geotermica e come, si scoprirà in mostra, il comune italiano di Larderello – o in Germania, per quanto riguarda la rimessa in uso di complessi edilizi abbandonati, riportando l’esempio dell’ex miniera di carbone “Ferropolis”, oggi museo, monumento industriale e “amusement park”, attiva sede nell’organizzazione di concerti ed eventi culturali.
La fotografia, in questo caso, e come sempre più frequentemente avviene, è così intesa come mezzo educativo ad ampio raggio, finalità intrinseca al suo potere comunicativo: insieme alle grandi stampe, ai video, ai pannelli didascalici fondamentali per contestualizzare ciò che negli scatti produce un immediato effetto prevalentemente di natura estetica, infatti, sono stati allestiti numerosi schermi con cui il pubblico può interagire toccandoli, in cui compaiono suggestive infografiche che sintetizzano ciò che viene evocato dalle immagini e raccontato nei pannelli. Autrice del design grafico è Federica Fragapane, di cui recentemente il MoMa ha acquisito nella sua collezione permanente alcuni progetti.
Le immagini di Locatelli trascinano con sé la spettacolarità intrinseca ai luoghi che fotografa, alle realtà che incentivano l’ampliarsi e il progredire del “cerchio”; che riescono, ovvero, a intravedere la possibilità di costruire un nuovo paradigma produttivo che possa permettere alla nostra linea temporale di continuare. Questo tipo di circolarità pare prima di tutto un modo in cui si estende un pensiero, una visione sulle cose che appartengono al mondo. Per “Land Reuse” si intende infatti ciò che è avvenuto nell’esempio già citato della Germania: l’attenzione di un Paese nel ri-utilizzare, dandole nuova forma e nuovi scopi, l’edilizia esistente, specialmente industriale, abbandonata o caduta in disuso per metterla a disposizione dei cittadini. Approccio, questo, che pare derivare soprattutto dalla possibilità di vedere in qualsiasi bene materiale un destino in più oltre alla sua vita di partenza. Poter concepire non la fine di tutte le cose, ma la messa a frutto di uno del principio fisico della legge della conservazione della massa, che prevede che nulla si crei e nulla si distrugga, ma che tutto possa solo mutare in altre forme. Una circonferenza, che è il perimetro geometrico del cerchio, è l’infinita somma dei punti che la compongono equidistanti da un unico centro: una volta tracciata risulta impossibile risalire alla sua origine, a una partenza e a un arrivo, termini invece propri del segmento. Ogni unità, in una circonferenza, concorre per dare forma al tutto che le contiene. Allo stesso modo, nel paradigma della “Circular Economy” che Locatelli ci mostra, il ragionamento produttivo deve essere rivolto all’annullamento del concetto di fine della materia, ma, al contrario, portato a non percepire più il punto della catena che la precede e quello che le segue. Così il riciclo tessile, in Germania, o aeronautico, in Francia, o ancora l’ex miniera di sale in Romania trasformata in attrazione turistica visitabile in piccole barche a remi – di cui lo spettatore può far esperienza attraverso un’ampia documentazione video proiettata a parete – sono solo alcuni delle decine di esempi, tra paesi e settori di produzione, che Locatelli porta a testimonianza.
Durante un intervento sulla piattaforma TedX, a Milano, un anno fa Locatelli spiegava in parole essenziali il suo intento come autore fotografico, affermando che il proprio obiettivo principale è quello di tradurre in immagini “sexy, chiare e potenti” report e dati scientifici altrimenti di non facile comprensione per un pubblico non esperto. Il fine dell’umanità del futuro, dice sempre Locatelli, dovrebbe essere sempre di più un equilibrio, “una simbiosi tra uomo, natura e tecnologia”. La commistione di elementi distinti trova dunque un punto di convergenza nelle immagini del fotografo, che funzionano come una sorta di guida illustrata certamente carica di quel ricercato appagamento visivo. Una “sensualità” che porta l’occhio a soffermarsi per capire se davvero al mondo esista quanto vede, come la centrale accesa costruita immediatamente sotto un vulcano attivo, per riportare l’esempio islandese. Si è dunque portati a capire dove si è stati trasportati di volta in volta nelle immense stampe di Locatelli, in certi casi retroilluminate e posate a terra, e se quello che lì si vede sia pure il mondo a cui ognuno senza saperlo appartiene. Proprio da questo primo e istintivo senso di estraneità nasce la spinta altrettanto impulsiva di comprendere, di decifrare, di attribuire al luogo corretto e alla storia corretta le decine di realtà diverse esposte in mostra, domandandosi invece dove ognuno è posto in relazione a quanto vede, e quanto distanti esse siano dalla piena realizzazione del nuovo paradigma, del cerchio.
La fotografia può dunque illustrare i fenomeni su cui intende puntare il riflettore: “Io cerco di tradurli in un modo comprensibile per coinvolgere più persone nel cambiamento, per agire come un’unica forza. Usando mostre, instagram, tutto ciò che può essere utile per diffondere questo messaggio.”
Per quanto non tutto possa risultare pienamente chiarificato – è naturale che si sollevino nello spettatore tante domande quante sono almeno le scoperte in cui può imbattersi durante la visita – e volendo finalmente staccarsi dalla narrazione imperante di natura catastrofista sul destino dell’uomo, il varco di cui si diceva pare forse aprirsi. Prendere coscienza di quanti meccanismi sono attualmente in moto fa già iniziare a piegare la linea retta su cui sembriamo posti alle fattezze della curva, facendole unire in un sol punto inizio e fine fino a confonderli e dimenticarli – dando vita, così, alla regolarità autosufficiente della circonferenza. Citando l’esempio di Prato, eccellenza nella rigenerazione di lana dalla spazzatura tessile di cui si possono vedere alcune immagini in mostra, Locatelli la definisce, infatti, “una storia dove il futuro assomiglia al passato”.
E se il futuro è fotografabile, come pare dimostrare la mostra a Gallerie d’Italia, allora il futuro è già memoria, un bacino potenzialmente inesauribile da cui attingere per scrivere con mano più ferma e sicura le pagine ancora vuote che ci attendono.
In copertina, Circular fashion recycle #3, Germania, 2022 © Luca Locatelli.