Napoli a piena voce
“Napoli vuol farti sapere che sei uno dei suoi figli migliori”: difficile non commuoversi ogni volta che si riascolta il discorso funebre che Nino Taranto pronunciò in occasione dei funerali di Totò. Napoli è infatti una città madre e questo è soltanto uno dei molti archetipi che concorrono a fissarne l’identità. Da La Capria in giù esiste un fiorente e dannoso filone editoriale che conferma gli stereotipi napoletani su una città sulla quale ognuno sembra avere un’opinione, una ricetta salvifica o, semplicemente, vuole trovare la conferma dei propri pregiudizi.
Per questo è particolarmente benvenuto Napoli a piena voce. Autoritratti metropolitani (Bruno Mondadori), opera collettiva a cura di Luca Rossomando, un libro che prosegue il lavoro del mensile “Napoli Monitor” che da oltre mezzo lustro offre un’informazione critica su quello che avviene in città e nel suo territorio metropolitano. Marco Borrone, Andrea Bottalico, Alessandra Cutolo, Salvatore De Rosa, Carola Pagani, Salvatore Porcaro, lo stesso Rossomando, Riccardo Rosa, Viola Sarnelli e Davide Schiavon hanno scelto di raccogliere le storie di vita dei napoletani di tutte le estrazioni sociali e di ogni provenienza, soffermandosi, ad esempio, su alcune battaglie civili, politiche e sociali come l’inceneritore di Acerra, i cantieri navali di Castellamare di Stabia, gli effetti sulla cittadina della fabbrica di Pomigliano d’Arco attraverso le voci di chi ha vissuto queste storie. Poi ci sono, senza alcuna concessione al folclore, storie, tradizioni e professioni solo napoletane come i custodi delle grotte virgiliane dei Campi Flegrei o quelli del sangue di San Gennaro. Oppure disagi che interessano tutta l’Italia ma nella declinazione napoletana, come le carcerate di Pozzuoli, i pastori delle religioni pentecostali sulla Domitiana (ma questo è uno spaccato di Africa in Italia su cui varrebbe la pena di insistere nell’indagine) oppure gli ultimi contadini della Terra di Lavoro. Ci sono anche vicende più lievi come quelle del calcio minore o dei cantanti neomelodici. Il volume, frutto di un accurato lavoro di montaggio, si apre col racconto della vita di una puerpera e si chiude con la testimonianza di un seppellitore in pensione.
Ogni intervista è preceduta da un “corsivo” che contestualizza la persona o la situazione e vi è una sicura consapevolezza teorica e metodologica (la oral history di Studs Terkel e, da noi, di Montaldi, Fofi e, più tardi, di Portelli) nel trasferire dal racconto orale alla parola scritta la testimonianza raccolta. Soprattutto si apprezza la giusta distanza che ogni intervistatore ha saputo tenere con chi aveva davanti a sé. Nella trascrizione a volte compaiono parole dialettali, ma solo se non ci sono equivalenti espressivi in lingua. È solo un esempio dello scrupolo con cui è stato condotto il lavoro per trasformare i materiali originali senza tradirne l’origine.
Il risultato non è un prodotto di laboratorio o una esercitazione di ricerca sociale, ma un libro bellissimo, appassionante (e appassionato) che ti mette davanti i problemi dell’Italia e di Napoli, dove forse la vita quotidiana è più difficile che altrove, in forma di racconto individuale, con alcune ricorrenze come il terremoto dell’80, data periodizzante per comprendere la città partenopea di oggi.
Un’opera del genere la si vorrebbe, ad esempio, sull’emigrazione meridionale al Nord mezzo secolo dopo oppure su alcune comunità straniere (filippini, eritrei) che vivono in Italia da oltre venti anni.
Intanto davvero grazie al gruppo di “Napoli Monitor” che ha raccolto con estrema serietà, coerenza e anche con un certo divertimento che contagia il lettore, le quaranta storie racchiuse in Napoli a piena voce.
Il libro sarà presentato oggi alle 14.00 allo Spazio Ex Neon con Stefano Laffi, i curatori e i redattori di Napoli Monitor a Milano durante il FilmMaker Fest