Luca Pisapia, Uccidi Paul Breitner / Gioca come se stessi segnando per un gelato

15 Luglio 2018

«Ma nel calcio come nella vita non c’è nulla di romantico.»

 

Colombia – Inghilterra, ultimo ottavo di finale di questi strani Mondiali di calcio, è finita mezz’ora fa. Un’altra partita mediocre che segue una lunga serie di partite mediocri. Se pensiamo alla bellezza del gioco, ci accorgiamo che è uno dei peggiori campionati del mondo a cui abbiamo assistito; ma la bellezza e il divertimento non significano sempre la stessa cosa. Considero Russia 2018 un torneo divertente, a dispetto del gioco; forse perché l’Italia non partecipa e mi permette di guardare le partite e di immaginare gli abbinamenti successivi in maniera più rilassata, oppure perché stanno capitando un sacco di risultati a sorpresa (anche se la sorpresa quando si parla di calcio è sempre relativa) o comunque decisi all’ultimo secondo. L’Inghilterra pareva aver vinto fino a quasi al novantesimo, con un calcio di rigore realizzato da Harry Kane, unico gol di una partita brutta, bloccata, fallosa, dove il numero dei tiri in porta è stato prossimo allo zero; e invece, il difensore della Colombia, Mina ha pareggiato – realizzando il suo terzo gol in questo mondiale – con un perfetto colpo di testa su calcio d’angolo, e quindi tempi supplementari e successivi rigori. Hanno vinto gli inglesi e se per via degli incroci si dovesse arrivare a una semifinale Russia – Inghilterra, con le implicazioni politiche che porterebbe quella gara con sé, forse Luca Pisapia avrebbe voglia di aggiungere un capitolo al suo bellissimo Ho ucciso Paul Breitner (Alegre, 2018), uscito il 21 giugno.

 

Argentina ’78 (o prima)

 

«Arcadio Lopez ha paura vorrebbe svanire anche lui non sapendo di essere già scomparso, vorrebbe sentire solo le voci nella sua testa, non sapendo che le altre voci sono grida lancinanti di un’umanità devastata dall’irrefrenabile brutalità di regimi che si susseguono senza soluzione di continuità spaziotemporale.»

Chi è Arcadio Lopez? Un uomo misterioso e tormentato richiuso in un bunker che guarda la finale del Mondiale del 1978 da un televisore in miniatura, mentre voci dal passato, ricordi sfocati e grida lo tormentano. Lopez guarda l’evento che è stato creato per distogliere il mondo dal massacro che la dittatura di Videla sta compiendo nel paese. Kempes segna, l’arbitro italiano fischia a senso unico, l’Olanda fortissima del collettivo e dei fuoriclasse è destinata a perdere. Lopez guarda il piccolo schermo, il mondo assiste allo spettacolo preconfezionato dal potere, la telecamera inquadra le tribune; inquadra Videla, inquadra Licio Gelli, l’Argentina deve vincere e vincerà, tutto è già scritto da prima, dal marzo del 1976 e poi nell’ottobre dello stesso anno, al Waldorf-Astoria di New York, dove Kissinger dice a Guzzetti, ministro degli esteri argentino: «Se qualcosa va fatto, fatelo bene e presto». Il calcio c’entra con la dittatura? Sì, Pisapia ce lo racconta scrivendo di pallone e di calcio, che sono due cose differenti, viaggiando negli anni, tra fuoriclasse e schemi, tra geometrie e colpi di genio, tra esercizio di potere politico e controllo di palla; dopo la frase di Kissinger continua e scrive: «Il gol arriva due anni dopo. Lo segna Mario Kempes al trentottesimo minuto della finale della Coppa del mondo 1978. L’Argentina è in vantaggio».

 

 

L’Olanda che quattro anni prima non aveva fatto toccare palla alla Germania Ovest, quattordici passaggi degli Orange dal fischio iniziale dell’arbitro, fino al quindicesimo che è per Cruijff, che arriva fino all’area tedesca ed è atterrato. È rigore, la Germania Ovest non ha capito nulla, si tratta della massima espressione del calcio totale, ovvero del comunismo applicato al calcio, la cooperazione e il senso del collettivo. L’Olanda, come nazionale, vincerà poi pochissimo. Pisapia scrive che il calcio nasce di destra, che sia un gioco diventa difficile da sostenere. Potere e controllo. La destra, i due mondiali fascisti vinti dall’Italia, i calciatori deportati, i calciatori partigiani, fino a prima degli anni sessanta il calcio è condizionato dall’ideologia della destra, dopo si perfezionerà diventando gioco controllato, indirizzato dal denaro. Potere e controllo. Ma anche bellezza ed ecco che Pisapia passa da Rinus Michels a Bill Shankly a Lobanovs’kyj, da Sacchi a Guardiola. Dagli operai a Berlusconi. Da Teddy Sheringam a Eva Braun. La trasformazione del calcio totale: 

«Il quartiere modellato sul concetto urbanistico del villaggio vacanze si prefigura come ‘un’esperienza completa e affascinante, una proposta da meditare, un suggerimento concreto per il futuro della città.’ Il calcio totale è pronto a passare dal Pcus alla Edilnord, da Kiev a Segrate. Da Karl Marx a Milano2».

 

Brasile 2014 (o prima) (o dopo)

 

«Da calciatore Michele Moretti non è un granché, discreto terzino gioca nelle serie minori nella squadra di Como, dove è nato. Da guerrigliero passerà alla storia, fucilando Benito Mussolini.»

La storia a volte la fanno i terzini e la fanno fuori dal campo. Luca Pisapia va all’attacco ancora più deciso nella seconda parte di questo libro che è romanzo ed è ricostruzione giornalistica, è appassionata cronaca sportiva ed è saggio. Prima di Brasile 2014 si mette in piedi il più grande affossamento economico di un paese del passato recente. Un affossamento architettato dalla Fifa, dalle imprese che smantellano e costruiscono cattedrali nel deserto. Stadi, perfino in Amazzonia, a costi spropositati, destinati allo sfascio e a un rapido declino infrastrutturale. Il controllo sulle case da smantellare e sulle vite della povera gente. Morti in cambio del denaro, di uno spettacolo che è solo televisivo, ed esiste solo nel punto in cui il regista sceglie di inquadrare. Il protagonista della seconda parte è un potentissimo superpoliziotto Fifa, ex agente segreto tedesco, che orchestra, controlla, presiede riunioni, si concede sfizi. Stabilisce dentro stanze lussuose, insieme a pochi privilegiati, chi vince cosa e quando. In sintesi: dove vanno i soldi. A margine di queste riunioni scorrono le immagini di partite in differita, come la semifinale tra Brasile e Germania, che è la sfida tra Blatter e Platini. I brasiliani ancora piangono su quella partita, i tifosi, intendo. Il calciatore che emerge qui è Romario, campione del mondo a Usa ’94, uno dei centravanti più forti della storia del calcio, troppo fuori dagli schemi perché il record di gol gli possa appartenere, e infatti la Fifa glielo sottrae. Però Romario che in campo è, per dirla con Carmelo Bene (citato da Pisapia): «Il calciatore che eccede e trascende i limiti del gioco, che si sublima nell’immediato», il calciatore che in campo non suda e segna, anni dopo da politico suda e lotta e presenta dossier sulla corruzione negli appalti per Brasile 2014. Se la prende con Pelé, se la prende con Blatter. È implacabile, come dentro l’area di rigore. Il Brasile affonda in campo e fuori. Potere e controllo.

 

Usa 1994 (prima, durante e dopo)

 

I mondiali assegnati agli Usa vogliono dire televisione, la reinvenzione dello spettacolo. Vogliono dire pubblicità, vogliono dire orari impossibili per disputare gli incontri perché l’Europa paga per i diritti tv. Qui è un centro commerciale il luogo della partita. Una donna e due uomini conversano, un altro seduto distante scrive. Si parla di denaro e potere, la gente compra, viene e va. In televisione trasmettono Italia – Nigeria, è l’Italia di Sacchi senza il gioco di Sacchi. La Nigeria è favorita, ma Baggio non è d’accordo e segna quasi senza fiato, quasi cadendo, un po’ morendo. Il nostro ex agente segreto è uno dei tre, è in incognito. Potere e controllo. Sembra un film, l’unico personaggio degno di sopravvivere è un bambino, il solo ad accorgersi del gol di Baggio, il solo a capirlo, il solo a esultare.

I terroristi tedeschi a Dortmund degli anni settanta, il calcio totale e comunista dell’Olanda, quello proletario del Liverpool di Shankly, la Amburgo degli anni ’80 e la storia anarchica del Sankt Pauli. Giuseppe Meazza che è la rappresentazione sul campo da calcio del fascismo, così come lo è il catenaccio. Eric Cantona, per il quale Pisapia ci regala alcune delle pagine più belle del libro. La dittatura cilena, la storia di un attaccante e sua madre. Il pallone comunque, che nasce già moderno, già figlio del capitale, eppure in qualche modo resiste, perché poi c’è sempre qualcuno che, a tradimento, la mette all’incrocio dei pali.

 

E Paul Breitner? È da salvare o meno? È un vero comunista chi va a vincere giocando con il Real Madrid, che è il contrario del comunismo? Uccidi Paul Breitner o risparmialo.

Luca Pisapia architetta un libro importante sul calcio, non celandone la bellezza ma raccontando gli orrori che su quella bellezza, su quell’illusione nascono e prosperano.

Cavani, attaccante dell’Uruguay, scrivendo una lettera al sé stesso bambino, qualche giorno fa ha detto: «Gioca come se stessi giocando segnando per un gelato.». Mi attacco a questa frase «con la salvezza di un corrimano» citando Szymborska e aspetto la prossima partita. Potere e controllo e la speranza di una rovesciata, magari di Mbappé, che non ha ancora vent’anni, è francese, è figlio di immigrati, figlio di questo tempo.

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