Carlo Greppi Bruciare la frontiera / Oltre i confini, insieme

26 Marzo 2018

Da sempre gli umani si spostano. Da sempre anche le genti sedentarie hanno visto nel viaggio qualcosa di più che un semplice spostamento in termini materiali. Da sempre la letteratura è scrittura di un viaggio, reale e metaforico. Da sempre la lettura è un viaggio dentro e fuori di sé, nel tempo e nello spazio.

La storia che Carlo Greppi racconta è un itinerario nella storia, del passato e del presente. Il percorso iniziatico, a lungo programmato e sognato di due amici che è anche un passaggio attraverso la linea d'ombra dei diciotto anni. Una traversata a piedi sulla frontiera tra Italia e Francia è la pista indicata dalla mappa di un tesoro, tracciata dai ricordi di un nonno – amato e scomparso – tramandati al giovane nipote.

 

Il nuovo romanzo di Greppi, storico e narratore, si muove in questo paesaggio sentimentale, segue un'amicizia maschile e attraversa luoghi reali che si fanno mitici: la ricerca memoriale si fa sguardo sul presente in un cortocircuito tra ieri e oggi per sentire la “storia che fa le rime”.

Due ragazzi italiani tornano nei luoghi che hanno visto nel 1943 muoversi i profughi tra Francia e Italia, ebrei stranieri e soldati sbandati. Gente in fuga dalla povertà, dalla persecuzione e dalla guerra. Gli stessi luoghi che vedono nuovi migranti cercare di attraversare le frontiere, braccati da nuove emergenze e leggi. Gente in fuga dalla povertà, dalla persecuzione e dalla guerra.

Il libro rimette in scena Francesco e Kappa, i personaggi del predente Non restare indietro che lì si confrontavano con la propria formazione e con il mondo scolastico attraverso il filtro di un viaggio al memoriale di Auschwitz; Bruciare la frontiera li mette in scena un po' più grandi e a confronto con altre discomfort zone altrettanto reali ma contemporanee.

 

Anche qui Greppi mostra un possibile “uso privato della storia”, mutando di segno la narrazione che vorrebbe i ragazzi vacui, disinteressati e vuoti. Ci porta in un mondo di socialità ed educazione orizzontale, frammentata ma diffusa, in cui sono tanti e diversificati i luoghi e i momenti di acculturazione e racconta cosa succede a chi si lascia attraversare dalla conoscenza della violenza del Novecento. Ci fa intravvedere, senza ricette psico-pedagogiche e prediche edificanti sull'evaporazione della norma o sulla liquidità del simbolico, cosa significhi per degli adolescenti guardare le contraddizioni del presente.

Il che è centrale per un libro che si rivolge a lettori sensibili di ogni età ma che di fatto è in una collana rivolta ai ragazzi: è in questo segmento editoriale che il libro si staglia con vivacità e nettezza come forma di history telling ad alto tasso emozionale e impegno civile. 

Il racconto di questo viaggio è un romanzo ed è anche una presa di posizione sul tema delle migrazioni e delle profuganze apertamente no border e antirazzista, che ci dice che questo è oggi il terreno principale su cui costruire una nuova necessaria alleanza antifascista tra le generazioni.

 

Nel loro viaggiare, parlare e ricordare, in montagna i due protagonisti contrappongono le frontiere naturali e la loro porosità, reale e metaforica, al confine artificiale e rigido basato sul privilegio di nascita. Cercano le loro libertà e scoprono dove finiscono quelle di molti altri. La frontiera si fa quindi il luogo dell'incontro con l'altro, anche per il lettore; in questo caso l'altro sono altri adolescenti che fanno viaggi diversi, dal Nordafrica all'Europa: il romanzo è anche la storia del viaggio di Ab, il ragazzo tunisino per cui l'Europa ha il profumo della felicità; di Céline, la ragazza francese che lo attende di là dal confine e che compie il proprio viaggio, fuori da casa verso Ventimiglia, nei giorni della frontiera blindata, degli scontri, delle retate sui treni. Può far sorridere questo amore acerbo che attraversa le frontiere: eppure è il volto immediato, un movente istintivo e immaginario quanto si vuole, di chi cerca una vita diversa e migliore, smagliante e inossidabile nell'idealismo dei diciott'anni.

 

In un duplice scenario, quello delle guardie di frontiera nei tardi anni Trenta e quello dei poliziotti su questo confine, gli “uomini comuni” con piccoli e possibili gesti aiutano o salvano qualcuno che scappa, oppure no. Qui l'autore utilizza le sue conoscenze di storico e avanza la riflessione sul posizionamento etico e sulle eredità della colpa e della memoria. Tra gli estremi della crudeltà o dei gesti di solidale empatia, la sua scrittura, come già altrove, scandaglia le gradazioni di grigio che coesistono in ogni comunità umana.

E ripete che non riconoscerle è una forma di stupidità come il razzismo, che inchioda gli individui a una presunta fissa identità e riduce le persone a stereotipi, poco più che sagome di cartone ritagliate malamente.

 

Greppi, poco più che trentenne, conferma il suo stile con l'uso di segni grafici interni al testo, il continuo riferimento a citazioni musicali, l'incorporazione di testi di e-mail e di sms, con una scrittura che ha il tratto rapido dei graphic novel e quello ritmato delle serie Tv. Si tratta di uno stile che ricomprende il messaggio cifrato e il gusto adolescente per il segreto e li potenzia con un montaggio incrociato di voci e scritture, uno stile emozionale e visivo che produce effetto di accumulo, intensificazione e scarico della tensione, come nell'atto finale smontato e ricomposto dai diversi punti di vista. Fino a trovare un filo che li riannoda: da quel confine, si scorgono un'Europa fresca, meticcia e diverse nozioni di frontiera e identità.

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