Un fotografo di design / Mauro Masera e la fotografia industriale

6 Febbraio 2020

Che Mauro Masera (1934-1992) avesse negli occhi la tela di Tintoretto, quando, nel 1960, ha scattato la sua foto più famosa – e tra le sue più belle – è assai probabile. Basta guardare le due immagini accostate per coglierne l'evidenza. D'altra parte il cosiddetto Ritrovamento del corpo di San Marco, dipinto dal Robusti a Venezia, tra il 1562 e il 1566, per la Scuola Grande di San Marco, si conserva a Brera e chissà quante volte il milanesissimo Masera lo avrà visto e rivisto. Perché essere un buon fotografo di design, anzi, uno dei migliori, significa conoscere le immagini a fondo, possederne sì la sintassi, ma anche studiarne costantemente la storia. E poi c'è la luce, che in una foto è tutto (come dice la parola stessa) ma che molto fa in ugual misura nel lumeggiante quadro di Tintoretto: i giochi di luce che filtrano dal basso verso l'alto a rischiare gli archi e a delineare i profili delle cose e dei corpi sono infatti coprotagonisti dell'uno e dell'altra, tanto quanto lo sono le scene rappresentate. Anche nella carica empatica vi è analogia, salvaguardate le differenze, ovviamente, d'ambito storico-culturale, di tecnica e di destino, religioso l'uno, laicissimo l'altro: un pathos epico-drammatico anima infatti la tela di Robusti, mentre un'allure da cave esistenzialista connota invece i personaggi della foto di Masera, ma entrambe le atmosfere appaiono come sospese nel tempo, rese eterne dalla loro efficacia comunicativa.

E le relazioni incrociate tra il quadro e la foto non sono finite qui. Per la mise en scène della fotografia è stato scelto infatti il portico di San Luca a Bologna, che alla poltrona dà il nome. Tanto per cominciare, San Luca, come già il San Marco tintorettiano, è un apostolo, ma soprattutto il portico della chiesa bolognese ha le modanature e l'enfilade delle archeggiature molto simili a quelle riconoscibili nell'opera del Robusti, come balza subito agli occhi. Nella fotografia di Masera compaiono poi quattro personaggi, rispettivamente: Dino Gavina, Achille e Pier Giacomo Castiglioni e Michele Provinciali. Tutti hanno a che fare con l'oggetto fotografato: la poltrona Sanluca, appunto. Di questa, infatti, Dino Gavina è stato il produttore, Achille e Pier Giacomo Castiglioni ne sono stati i designer e Michele Provinciali l'art director. È molto probabile che nella scelta della citazione iconografica ci sia stato lo zampino di Provinciali, che, laureatosi in storia dell'arte ad Urbino (con il grande Pasquale Rotondi), per un po', in quella facoltà, la medesima disciplina l’aveva pure insegnata. Ma tant'è. Spesso le opere notevoli sono frutto di sinergie mentali e di sintonie d’intenti. Senza dubbio, però, l’angolo di visuale, ovvero il punto di osservazione della scena, in quel suo audace sotto-in-su, è opera di Masera, che nei suoi scatti raramente sceglieva la complanarità tra obiettivo e soggetto ritratto. Differiscono invece gli andamenti dei portici: diretto verso sinistra nel quadro, verso destra nella foto, al punto, se accostati, da apparire speculari. Analoga è invece la zona di luce sul fondo: un geniale espediente impiegato da entrambi gli artisti per conferire maggiore profondità alla scena, che si apre così verso l'infinito. E poi c'è la gestualità: teatrale ed enfatica la tintorettiana (per la quale il maestro veneziano va giustamente famoso); alla Samuel Beckett, invece, quella dei protagonisti della foto di Masera, che sembrano essere anch'essi in attesa di un qualche Godot. La loro gestualità bloccata, quasi raggelata, mi rammenta infatti quella degli attori diretti da Walter Pagliaro al Piccolo Teatro di Milano, quando, nel 1978, curò la sua indimenticata regia dell'opera beckettiana, con le scene e i costumi di Enrico Job (che ha giocato "a rifare Beckett al quadrato fin nella pietrificazione del paesaggio,‘still life’ di arredi cimiteriali come in un graffito di Klee.", Enrico Groppali, Sipario, gennaio 1978). 

Questa foto di Mauro Masera, nel suo longhiano bianco-e-nero, è, insomma, anche un concentrato di milanesità, dal quale trapela l'air du temps che si respirava nella città meneghina negli anni sessanta-settanta, quella specialissima temperie culturale di cui il nostro, insieme ai personaggi da lui ritratti nella foto, fu uno degli interpreti di maggiore spicco.

Curioso poi lo 'scambio di luogo' avvenuto tra le due opere, perché, mentre il quadro dell'artista veneziano, come già detto, si conserva a Milano, la foto del fotografo milanese è invece oggi custodita a Venezia. 

 

Tintoretto, Ritrovamento del corpo di San Marco, olio su tela, 1562 e il 1566, Milano, Pinacoteca di Brera. Dino Gavina, Achille e Pier Giacomo Castiglioni e Michele Provinciali fotografati accanto alla poltrona Sanluca sotto il portico di San Luca a Bologna, 1960. © Mauro Masera. Università IUAV di Venezia, Archivio Progetti.


Infatti, da due anni, l'intero archivio professionale di Mauro Masera è stato donato dai suoi eredi all’Archivio Progetti dell’Università IUAV di Venezia. Risale invece allo scorso dicembre l'uscita del volume a lui dedicato: Mauro Masera, fotografo del design italiano, edito da Safarà e realizzato in collaborazione con il medesimo Archivio Progetti dello IUAV (pp. 140, € 18,00). Con il progetto grafico di Marco Fornasier, ne sono autori Alberto Bassi e Carlo Masera, già curatori della rassegna espositiva allestita a Venezia, ai Tolentini, nel 2017 che presentò per la prima volta al pubblico le opere del maestro. 

 

Mauro Masera è nato a Milano, dove ha trascorso tutta la propria carriera di fotografo, iniziata quando aveva soltanto 23 anni. Conseguito infatti nel 1955 il diploma di perito ottico al locale Istituto Tecnico Galileo Galilei, dopo un breve tirocinio in Svizzera presso l'azienda Wild Heebrugg, che lo ha avvicinato alla fotografia, rientrato in patria, ha definitivamente scelto la fotografia industriale come proprio campo d'azione lavorativa. Suoi still life (tecnica nella quale eccelse) sono per le maggiori aziende italiane design, tra le quali: Alessi, Arflex, Cassina, C&B (poi B&B), De Padova, Fontana Arte, Gavina, Kartell, Tecno, Tisettanta, Zanotta, etc. 

Ha inoltre lavorato con i più grandi art director e designer, da Erberto Carboni a Pino Tovaglia, al già ricordato Michele Provinciali, da Giulio Confalonieri a Giancarlo Iliprandi, da G&R Associati a Mauro Panzeri, da Bob e Ornella Noorda ad Achille e Pier Giacomo Castiglioni, da Marco Zanuso ad Alessandro Mendini. 

Ha poi collaborato con le principali riviste di interior design, quali Abitare, Ottagono, Schöner Wohnen e con altre di graphic design, come, ad esempio, Imago (house organ della azienda fotolitografica milanese Bassoli, uscita dal 1960 al 1971). In veste di saggista, ha scritto per Il diaframma. Fotografia italiana (AIFP). Una breve esperienza di insegnamento, lo ha visto anche docente di fotografia presso la milanesissima Umanitaria.

 

 

Giacomo Balla, Le mani del violinista, 1912, olio su tela, Londra, The Estorick Collection of Modern Italian Art; Idem, Dinamismo di un cane al guinzaglio, 1912, olio su tela, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery.


Mauro Masera, fotografia del divano D70, di Osvaldo Borsani per Tecno, 1980, © Mauro Masera, Università IUAV di Venezia, Archivio Progetti.


A proposito di Milano, quale corrente artistica è più milanese del Futurismo? Ed ecco allora Masera, in un'altra sua famosa foto (essa pure bellissima), rendere omaggio al tema del dinamismo, in particolare al dinamismo così come lo intese e lo rese nelle sue opere Giacomo Balla. Vi ritrae infatti il divano D70 di Tecno, disegnato da Osvaldo Borsani, con lo schienale che 'vibra dinamicamente', rendendo visibili, in un unico fotogramma, le sue possibili inclinazioni, così come 'vibrano dinamicamente' le mani del violinista di Balla e le zampette del suo cagnolino, anch'esse sinteticamente riassunte in una sola immagine.

Questa ‘fotografia del movimento’ (così come si definiscono quelle di Muybridge) è ottenuta con la tecnica dell’open flash che impiega un flash stroboscopico, il quale, emettendo una serie di lampi a determinati intervalli di tempo, tra loro molto ravvicinati, permette di registrare e di 'fermare' contemporaneamente l’evoluzione del movimento medesimo. 

Nel caso del D70, si tratta delle posizioni del suo schienale, colte nell'atto di sollevarsi e/o di abbassarsi, infatti il D70 può essere trasformato in letto a una piazza e mezza – tra l'altro piuttosto comodo – ma può anche essere completamente richiuso, sollevando verticalmente sia la seduta sia lo schienale, così da avere un ingombro ridotto, utile per le carenze di spazio qualora dovesse essere temporaneamente riposto in attesa di un suo successivo utilizzo. E la fotografia di Masera chiarisce efficacemente queste possibilità più di mille parole, mi vien da dire: in photo veritas

Una sua versione stilizzata a silhouette è stata impiegata da Fornasier per la copertina del volume dello IUAV. 

 

Mauro Masera, fotografia del divano Lombrico di Marco Zanuso per C&B, art director Enrico Trabacchi, 1967, © Mauro Masera Università IUAV di Venezia, Archivio Progetti.


C'è anche un'altra opera di Masera connotata da un dinamismo di reminiscenza futurista e in parte connesso alle ricerche dell'Arte Programmata e Cinetica, che proprio a Milano, tra la seconda metà degli anni cinquanta e gli anni sessanta, metteva a segno una stagione straordinaria (alla quale aderì anche il nostro, come confermano le sue fotografie artistiche del 1957, intitolate Pendoli luminosi, prossime anche allo Spazialismo di Lucio Fontana che aveva da poco messo a punto i suoi 'ambienti spaziali' con luci al neon). È l'autoritratto che egli si è scattato nel 1968, poi inserito nel calendario dell'agenzia Photo Center, da lui fondata nel 1968 insieme ad altri colleghi suoi concittadini. Un dettaglio di questa foto è stato scelto come sovraccoperta del libro dello IUAV, mentre nella sua interezza era già stata utilizzata quale manifesto della mostra veneziana. Vi si vede un Masera giovane, com'era a quel tempo, sorridente e atletico, nell'atto di fare il salto della cavallina oltre un divano, che, nella fattispecie, è il Lombrico, disegnato da Marco Zanuso per C&B nel 1967. Si tratta di un divano realizzato in gommapiuma, un ritrovato della chimica (poliuretano espanso elastico) allora all'avanguardia, sperimentato per la prima volta nel 1948 nel campo dell'arredo proprio da Zanuso per Arflex (Pirelli) e da allora in poi ampiamente utilizzato dai designer e da tutte le aziende di imbottiti, tanto da aver in breve soppiantato i materiali di imbottitura naturali in uso fino a quel momento. La sicurezza con la quale, nella foto, Masera salta, testimonia dell'affidabilità di questo materiale, ci racconta della sua elasticità e della sua morbidezza più di qualsivoglia ragguaglio chimico-fisico, senza annoiarci con la pedanteria che in esso sarebbe insita, istruendoci invece nel merito mentre ci fa divertire, e lo fa con quella tipica grazia e con quel tocco da maestro che erano propri del fotografo milanese a cui il volume dello IUAV rende finalmente merito. 

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