Fine estate in Valtellina

28 Settembre 2012

Salivamo nella notte verso San Bernardo (1200 metri) tra violenti getti d’acqua e non si capiva se era la tanto attesa pioggia che avrebbe rotto la torrida estate. Il mattino dopo, scendendo verso Ponte in Valtellina, ho capito che l’acqua serviva per innaffiare i meleti e i terrazzamenti delle vigne.

 

La Valtellina infatti è il risultato di una faticata lotta tra l’uomo e la natura e espressioni come “far legna per l’inverno” o “mettere fieno in cascina” trovano una esatta rispondenza nel paesaggio che ti circonda. Terra di economisti, astronomi, filologi, montanari e sciatori, ha l’unica scintilla di invenzione, a meno che si voglia tirare in ballo il narratore ‘verista’ Bertacchi, nella finanza ‘creativa’ dell’ex ministro Tremonti. Se non fosse nemica di ogni retorica la Valle proclamerebbe Ponte la sua “perla”, per le infinite sfumature di grigio delle pietre dei suoi nobili palazzi, delle chiese e delle case che si contrappuntano al verde nascosto dei giardini privati. A Ponte avvenne un incontro, a suo modo storico, tra due grandi indagatori dell’Italia del XX secolo, e a conoscerla così bene sono stati davvero in pochi, Antonio Cederna e Mario Soldati. L’occasione fu un libro su commissione che l’anziano scrittore scrisse per la Banca Popolare di Sondrio. Soldati visitò la casa avita del giornalista e scrittore per rendere omaggio, non solo alla passione civile di un degno discendente di Carlo Cattaneo, ma a una famiglia da secoli radicata nella storia della Valle. Nel ricordo dei testimoni Soldati gigioneggiò un po’ troppo- era tra l’altro l’incontro tra due straordinari istrioni - ma sulla pagina lo scrittore torinese rese onore all’ospitalità e all’inesauribile verve di Cederna che in suo onore, oltre a un eccellente pranzo, sciorinò un repertorio che andava da Orazio al Porta (cito a memoria che non è, evidentemente, paragonabile a quella di Cederna).

 

La Valtellina è una delle piccole patrie del nostro paese, forse un angolo di Svizzera in Lombardia. Certo suscita sentimenti forti anche in chi non vi abita e spesso capita di discutere su quale sia il miglior crotto della valle, dove si mangiano i migliori pizzoccheri accompagnati dai formidabili rossi locali (Grumello, Inferno ).

 

Io però, seguendo una tradizione di casa Cederna (ah, questi radical chic...), ho preferito cenare da Cerere, ristorante che deve il suo bel nome all’astronomo Piazzi, gloria locale, che così battezzò il pianeta da lui scoperto nel 1801. È un ristorante vecchio stile (piatti, posate, solidi mobili di legno) che ha un bellissimo affaccio sulla Valle e dove si mangiano i cibi della tradizione in versione un po’ più soignée, oltre a qualche ricetta più sperimentale. Difficile però sottrarsi al ricatto del piatto tipico: ho solo rinunciato alla bresaola in entrata, per affondare i denti nei celebri pizzoccheri e assaggiare, in onore della dea Cerere protettrice delle messi, gli sciatt, frittelle di grano saraceno con un cuore di formaggio casera, accompagnati da un cicorino che deve essere molto ben condito. Ho proseguito con un pollo “all’antica” (o qualcosa del genere) che è semplicemente un buon pollo arrosto. Il pranzo è stato innaffiato da un degnissimoValtellina rosso. Dulcis in fundo? Beh sì: infatti alla nostra combriccola italoangloscozzese, oltre a un ottimo semifreddo all’arancio, è stata riservata la sorpresa che, al momento del conto, il sorridente proprietario ci ha rivelato che era già stato pagato. Da chi? Mistero. Dopo mille illazioni (un vecchio partigiano che voleva rendere omaggio ai nipotini degli Alleati e altre ancora più fantasiose), abbiamo capito che si doveva risalire verso un antico palazzo nel cuore della cittadina. Non abbiamo però potuto ringraziare, anche perché fuori stava finalmente scoppiando un violento temporale che annunciava la fine dell’estate.

 

Ristorante Cerere, via Guicciardi 7, Ponte in Valtellina, 0342 482294. Chiuso il mercoledì. A meno di colpi di fortuna, si spendono sui 35 euro col vino.

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