Fragilità del paesaggio ligure
In questi mesi la parola fragile ha echeggiato a lungo per indicare la precarietà del territorio del nostro paese e di quello ligure in particolare. Una precarietà ormai data per scontata ad ogni pioggia intensa, precarietà peraltro destinata a precipitare a valle per le eterne leggi della gravità che alla lunga tutto deve azzerare...
Sui teleschermi di un'importante televisione regionale mi sono trovato nei giorni scorsi invitato per presentare Vivere di Gusto una manifestazione di cultura alimentare quest'anno arricchita della presenza di Marino Niola, Giuseppe Conte, Giovanni Lindo Ferretti, gli ultimi due in particolare impegnati a raccontare aspetti legati all'ambiente e alla cultura sottesa, che fosse quella Liguria o quella della montagna appenninica. Una manifestazione, Vivere di Gusto, che sarà poi menomata nel suo primo giorno da un'allerta due su Genova con chiusura di scuole e uffici pubblici, rari passanti in centro e strascichi per il giorno successivo in tutta la regione. Un'emergenza ambientale costante, quella ligure, che anche quel giorno veniva ricordata in trasmissione con collegamenti nell'entroterra in zone offese già precedentemente. A cominciare fin dal breve filmato su una bottega emporio in un paese di tre dozzine di abitanti che ha aperto la trsmissione. L'ho subito percepita come una stranezza, perché sembrava una bottega morta di suo, anche senza alluvione, schiacciata dagli ultimi decenni di trasformazione economica e sociale, l'alluvione sfiorata solo come colpo di grazia. Nel primo intervallo pubblicitario scopro di essere l'unico ospite che non parla genovese, altri particolari nel corso della trasmissione mi fanno capire che sotto le parole ambiente, territorio, tradizioni c'è in realtà una trasmissione antica per un pubblico antico, per certi versi "fuori del mondo", per certi versi una trasmissione per anziani.
Eppure le tradizioni, almeno in alimentazione, hanno un valore solo positivo, sono state un tempo "innovazioni" conservate per i benefici che la famiglia e la comunità la popolazione ne traevano. Ma non danno benefici quando diventano nostalgia, quando cioè le tradizioni si fermano a una generazione e non rimangono vive, percepite ed apprezzate da quelle nuove, unico anticorpo efficace per cui una tradizione possa connettere territorio cibo tempo vita.
E allora oggi, mentre si discute di salvaguardia del territorio, di regimentazione delle acque e dei terreni, di muri a secco, di prodotti del territorio e altro ancora, ci si dimentica quanto queste parole rischiano di essere parole appiccicate con lo stucco a quegli stessi terreni e muri. Ciò che teneva su quei muri e quei terreni, che faceva scorrere regolarmente le acque in canali e rivi da irrigazione è un'alimentazione che non c'è più, se non nelle eccezioni delle trattorie e degli agriturismi, nelle nostalgie di anziane generazioni che la praticano occasionalmente o appunto come nostalgia...
Ma un'alimentazione che non c'è più determina a ritroso l'occasionalità e la rarità dei prodotti del territorio sui quali quell'alimentazione si basava, prodotti un tempo sempre numerosi e vari, prodotti fragili ma in un modo diverso, solo perché rari, occasionali, periodici, coltivati ai margini del bosco, in orti strappati ai rivi e alla montagna, in uliveti che confinano con orti e castagneti, mentre più in basso c'era un mare pescato con reti come la "sciabica da terra": una barca a pochi metri da riva, agricoltori e pescatori, uomini e donne a tirare la rete da terra e i piccoli pesci ad integrare quello che era stato coltivato e allevato nelle terrazze. Ma questa situazione, in definitiva è solo l'altra faccia del predominio dell'alimentazione urbana, fatta sì anche di "cibo bio" ma costruita sulla dittature di venti, trenta alimenti... sempre quelli. È la legge dell'economia, bellezza... e quella della globalizzazione, di un gusto generalizzato, dei processi industriali, della modernità e certamente di altro ancora...
Cosa farsene allora dell'enfatizzazione delle tradizioni se queste non passano alle nuove generazioni, diventando così uno strumento per cambiare le nostre abitudini, la nostra salute e anche il mondo, a cominciare da quello che vediamo intorno a noi? C'è un'overdose mediatica di tradizioni alimentari, ma alla cassa dei supermercati e soprattutto nella testa dei nostri figli vige la legge della coca cola e della fettina, delle chips e della pizza, dell'acqua minerale, dei prosciutti e dei salumi, della Nutella...
Il paesaggio ligure ha una bellezza per certi versi inquietante: appeso su rive scoscese, in equilibrio tra mari e monti, non consola come quello toscano, impastato di un'armonia perfetta, ma sembra suggerire un'idea di incerto confine, una fragilità sospesa che pone domande, in grado di parlare alla nostra fragilità. Forse allora un modo per fare educazione alimentare – almeno in Liguria – potrebbe essere quello di mettere i giovani di fronte alle colline liguri, spiegare come la fragilità di quel paesaggio è quella di essere "appeso", incerto, in un instabile confine tra mare e monti, un confine inquieto che ci pone domande... Un paesaggio come metafora dell'esistenza, non solo della apparente povertà dell'alimentazione ligure e mediterranea.
Oppure si può fare educazione alimentare mostrando la pesca alla sciabica, in cui il contadino si confonde con il pescatore e il lavoro di terra con quello del mare... o ancora facendo ascoltare Creuza de ma, canzone capolavoro di Fabrizio De André. Creuza de ma, ovvero mulattiera di mare... ponte ideale tra terra e acqua e che come la sciabica diventa una folgorante metafora del paesaggio ligure... Metafore per far sentire come la tradizione possa essere semplicemente vita, e quindi realtà, attualità, metafore per insegnare senza essere per forza educazione, tanto meno quando questa si dice "alimentare".
Nell'entroterra di Albenga, il 26 luglio, si cucina e si consuma la Minestra di Sant'Anna. Una minestra fatta di lardo, acqua, origano, sale e crostini di pane. Ingredienti essenziali che sono quasi la negazione di ogni abbondanza nei giorni in cui gli orti straripano di ogni ben di Dio. Può esser anche questa ricetta una metafora (estrema) per capire la frugalità dell'alimentazione mediterranea, la fragilità del paesaggio ligure, i suoi scarni ed unici confini.