Morto a quasi ottantacinque anni / Il dionisiaco mascherato: 30 anni geniali di Gianni Boncompagni
Radiotelevisione italiana: la storia di Gianni Boncompagni è incisa nei decenni d’oro della Rai: ci arriva pochi anni dopo l’inizio delle emissioni regolari televisive (1954) e ci resta fino al suo declino, passando a Mediaset (allora Fininvest) per ideare un format che si intitolava Non è la Rai (1991). Buona parte di questi decenni vedono Boncompagni in tandem perfetto, resistente, irresistibile con Renzo Arbore. Boncompagni senza Arbore, dopo Arbore & Boncompagni faceva un po’ malinconia; Arbore senza Boncompagni, dopo Arbore & Boncompagni faceva un po’ malinconia. Ma è morto prima lui, il 15 aprile del 2017, a quasi 85 anni.
Nato ad Arezzo, a 18 anni se ne va in Svezia, dove vive dieci anni facendo il conduttore e il deejay nella radio pubblica, sposando una ricca aristocratica, e divenendo giovane padre di tre figlie, che al divorzio dei genitori seguono il padre a Roma. «Sono ateo e morirò ateo» disse una volta in una intervista: questo spiega la sua singolare natura di dionisiaco camuffato nelle anse del potere mediatico di Stato; nel 1964, quando vince il concorso Rai per «programmatore di musica leggera», l’azienda radiotelevisiva di Stato è diretta da Ettore Bernabei, sotto il totale controllo della Democrazia Cristiana al potere, che intende l’emissione pubblica come il principale strumento di lotta all’analfabetismo ancora diffuso, e quindi come importante contenitore di educazione morale e di morigerato svago. Nello stanzone del concorso, nel banco accanto Gianni Boncompagni si ritrova un brillante e simpaticissimo foggiano che sogna di poter «programmare bella musica alla radio», un certo Renzo Arbore, cui Gianni rivela, nel suo dionisiaco e ateo cinismo, di «volere soltanto i dischi gratis». I due diventano la formidabile coppia l’anno dopo, riuscendo a far passare tra le maglie della censura democristiana il loro primo programma radiofonico, Bandiera gialla.
Boncompagni è tra i quattro gatti abbonati in Italia a “Billboard”, e ha già appreso in Svezia a confezionare playlist con le top chart della rivista americana. Non è uno scout, è un vispo importatore, e con il suo partner idea il suo primo geniale format: il programma va in onda il sabato pomeriggio, registrato in settimana in uno studio dove però il pubblico è dal vivo in un’arena; vuole intitolarlo Sound, ma l’anglicismo non sta bene a Giulio Razzi, direttore della radio; allora un certo Luciano Rispoli, giovane dirigente, propone ai due il cavallo di Troia; la bandiera gialla è quella che una nave in quarantena per epidemia a bordo deve issare per evitare contagi; se il contagio sono i giovani, con i loro comportamenti sempre più irrequieti a metà anni Sessanta, con quella loro musica agitata e sfrenata che mette in scena i loro corpi pieni di energia e di vita (pieni di voglia di divertirsi e godere), in Rai entreranno in quarantena per evitare il contagio. Bandiera gialla va in onda sotto forma di votazioni di una canzone gialla a puntata, candidata a diventare hit del mercato discografico italiano. «Abbiamo inventato i giovani», disse un giorno Boncompagni. Ma il cinico ebbe un’altra idea formidabile: i ragazzi che sarebbero stati invitati in studio, che avrebbero parlato ai microfoni dei due conduttori, sarebbero stati figli di dirigenti Rai, e frequentatori eccentrici del club Piper (tra loro, Mita Medici e Renato Zero). Il contagio durò sei anni, fino al 1970, e fu la colonna sonora dell’unico Sessantotto che riuscì a entrare nella radiotelevisione di Stato.
Due mesi dopo l’ultima puntata di Bandiera gialla, nel luglio 1970, il tandem torna in onda conducendo in diretta il più geniale, irriverente e indimenticabile format della radio italiana: Alto gradimento. Le musiche scelte dettano le hit di tutte le estati sino al 1976, con una annata finale 1979/1980. Va in onda all’ora di pranzo, dal lunedì al venerdì dalle 12.30 alle 13.30, quando noi studenti (avevo 11/17 anni e non persi una sola puntata) tornavamo a casa da scuola; poiché far ridere mia madre con ciò che mi aveva fatto ridere a scuola era impossibile, ridevamo insieme ascoltando Alto gradimento: se Bandiera gialla era stato il trucco per portare i giovani e i loro gusti internazionali nella radio democristiana, Alto gradimento riuscì a esportare anche alla generazione dei genitori una comicità surreale, irriverente, sfrontata, spassosa, tutta rigorosamente scritta in copione e poi lavorata in esilarante ebbrezza live; se la stazione di arrivo di Bandiera gialla fu il Sessantotto ballato dalla gente perbene, la stazione di arrivo di Alto gradimento furono gli Ottanta’s edonisti e craxiani, berlusconiani e villani delle radio e delle televisioni commerciali private, sboccati e sessuali (come il capolavoro di Antonio Ricci, Drive In, corruttore di tanti intellettuali di sinistra come me), infine disonesti e moralizzati da una magistratura “comunista”. I comici di Alto gradimento erano travolgenti: Mario Marenco lunare, folle, sottile; Giorgio Bracardi sbracato, brutale spesso; la lista dei loro personaggi negli anni fu sterminata, e nella tomba, oltre la vita di Boncompagni, io mi porterò almeno l’orrendo animalaccio Scarpantibus (uccello preistorico, catturato in Nicaragua, che calzava scarponi anfibi militari privi di stringhe), il fascistone romagnolo Catenacci, il sempre attuale professor Aristogitone pensionato meridionale disgustato dalla marea irriverente della studentaglia post-sessantottina («Guarand'anni di insegnamendo, guarand'anni di duro lavoro fra quescte guaddro mura sccolasctighe»), l'ipocondriaco e lentigrado dottor Marsala (parodia al vetriolo dei dirigenti Rai che citava i colleghi Ciabattoni, Ruttoni, Tarantolazzi e Gospedale), Verzo (studente romano sessantottino/settantasettino svogliato e sgrammaticato, precursore del suo futuro collega analfabeta liceale Lorenzo di Corrado Guzzanti). Boncompagni e Arbore poi per primi usarono come tormentone spezzoni di registrazioni audio di personaggi celebri, gettati in contesto e fuori contesto dalla loro tastiera di conduttori, infilando tra l’altro anche potentissimi politici democristiani come Amintore Fanfani, insinuando così una atea, ridanciana, dionisiaca pernacchia rabelaisiana che fu virus della progressiva caduta di egemonia democristiana.
Prima di Alto gradimento con mia madre ero riuscito a ridere a crepapelle una volta sola: a letto, per una malattia che ora nei fumi del ricordo mi pare una interminabile degenza proustiana, ma che probabilmente era una normale influenza poiché sono ancora vivo a raccontarla, leggevo ad alta voce Tre uomini in barca di Jerome K. Jerome mentre lei riordinava e arieggiava la mia cameretta. Io ho fatto il Settantasette, andandomene come tutti a migliaia di chilometri ideologici e empatici dai mei genitori post-bellici, eppure Alto gradimento mi metteva a tavola con mia madre anche quando tornavo dalle assemblee, dalle occupazioni e dai cortei. E Boncompagni da qualche parte stanava il nostro impensabile denominatore comune, lui maestro nell’arte più difficile, quella di far ridere.
Il professore meridionale Aristogitone (Marenco):
Il fascistone romagnolo Catenacci (Bracardi):
Dal 1977 Gianni Boncompagni diventa un dirigente televisivo della Rai: ecco che il guastatore a caccia di dischi gratis diventa la nuova generazione che subentra ai dottor Marsala di viale Mazzini. Il battitore libero camuffato nel sistema cerca di cambiare il sistema. Rilancia come star internazionale (e icona gay) la sua compagna di allora, Raffaella Carrà. Sdogana la star erotica Edwige Fenech e apre le porte alla maggiorata napoletana Marisa Laurito. Nel 1987 re-inventa un vecchio format Rai: il contenitore Domenica in, che accompagnava gli adulti che non uscivano più di casa dai tempi della “ austerità” anni Settanta, introducendo il “Cruciverbone” e il primo battaglione di ragazzine protagoniste in platea.
Internet entra nella vita quotidiana degli italiani più o meno dal 2000.
Gianni Boncompagni si affaccia all’ultimo decennio delle televisione come mass media dominante nel 1991, quando clamorosamente lascia la sua Rai dopo 26 anni e sbarca nella televisione di Berlusconi un anno prima di Mani Pulite e del crollo della Prima Repubblica, tre anni prima della presa del potere politico da parte del suo nuovo padrone. Il dionisiaco camuffato, l’ateo, inventa con Irene Ghergo un format “scandaloso”. Non è la Rai sin dal titolo rompe con il suo passato in Rai; basta con la maschera, con le prudenze, con le rivoluzioni insinuate; tutto è finito, un’era è al tramonto. Boncompagni – 20 anni prima dei guai sessuali del suo padrone Berlusconi – diventa l’Humbert Humbert della televisione italiana e porta in studio un esercito di Lolite. Ridenti, sfrontate, erotiche, scosciate, ingenue, eccitate pedine del business dello spettacolo, spesso bravissime, quelle minorenni diventano il mito delle coetanee che oggi sono quarantenni: chi come me era cresciuto in ambienti politici e femministi, formandosi su Noi e il nostro corpo, manuale di sessualità consapevole scritto da un gruppo femminista di Boston, era inorridito da Non è la Rai. Mi pareva l’apoteosi del degrado berlusconiano, dell’asservimento subalterno della donna come oggetto di voyeurismo di massa dei vecchi bavosi. Ma mi sono innamorato lo stesso di Ambra Angiolini, dopo i suoi 18 anni, forse per una contorta strategia moralista: la star minorenne di Boncompagni, pilotata in auricolare dal vecchio uomo di regia radiofonica per favorirne tempi teatrali e ingenuità seduttiva, mi soggiogò appena maggiorenne per quell’insieme di consapevole bellezza e forse inconsapevole seduzione, di telegenicità pulita e innocente (certo scovata in abilissimi casting da Humbert Boncompagni).
Pensando infine alla morte di Boncompagni, mi rendo conto che la radio, la televisione hanno una sorte più ingiusta della letteratura, del cinema: io posso leggere Lolita di Nabokov, o rivedere per la decima volta Lolita di Kubrick; da solo, e ogni volta riprovare la stessa ammirazione letteraria e cinematografica e le stesse emozioni. Se riascolto Bandiera gialla, invece, o Alto gradimento, o vedo un clip di Non è la Rai, provo solo malinconia per un piacere effimero scomparso. L’era internet ha frantumato e individualizzato nell’on demand piaceri d’autore ma seriali, istantanei, non più condivisibili, non più massmediatici. Il giorno dopo non vai più a scuola facendo i versi di Scarpantibus e ridendo con gli amici. Non canti la canzone gialla con loro. Non condividi a bassa voce il sogno di attendere i 18 anni di Ambra Angiolini per fare l’amore con lei. La Storia della radiotelevisione italiana così sbiadisce nei nostri ricordi, rimane a pezzettini su Wikipedia e YouTube, e rimarrà viva con noi solo per un po’, dopo che Boncompagni se ne è andato fuori onda.