Il ritorno di Valentina

21 Dicembre 2014

È nella terza puntata de La curva di Lesmo di Guido Crepax, pubblicata su Linus nel 1965, che entra in scena la fotografa milanese Valentina Rosselli. Capelli tagliati a caschetto, sinuosa, elegante, disinibita, con lunghissime gambe, Valentina prende immediatamente il posto del protagonista della storia a fumetti, il critico d’arte e investigatore dilettante Philip Rembrandt, alias Neutron, suo fidanzato, fornito di una particolarità: possiede uno sguardo che paralizza, rallenta o blocca lo scorrere del tempo. Sono trascorsi quasi cinquant’anni e Valentina ritorna. O forse non se n’è mai andata, dal momento che è lei il personaggio femminile dei fumetti più famoso d’Italia, e non solo. L’editore Mondadori distribuisce in edicola in questi giorni l’intera opera di Crepax con il titolo Guido Crepax – Erotica. Il primo volume s’intitola Venere in pelliccia. Eros e Psiche (€ 9,99): cartonato, di 21 x 26 cm. Nelle stesse settimane s’è aperta a La Spezia, presso lo Spazio 32, centro culturale per i ragazzi con biblioteca specializzata in fumetti, una mostra di venti tavole originali e inedite di Valentina, ed è uscito un libro, Inedito (Edizioni BD, testi di Tiziana Lo Porto e Davide Toffolo), che contiene le ultime storie disegnate dall’artista milanese: Il piacere di D’Annunzio, Doppio sogno di Schnitzler, Il castello di Kafka, libri interpretati da Crepax. Nella quarta di copertina di questo volume è riportata una frase di Bernardo Bertolucci che mette in luce la tecnica del montaggio adottata dall’autore di Valentina fondata sul taglio delle inquadrature. Come a dire che se Crepax ha guardato al cinema, i registi che l’hanno letto, a partire da quel 1965, hanno guardato le sue tavole come se fossero dei film.

 

Nel giornale a fumetti, album cult degli anni Sessanta e Settanta, in cui compare La curva di Lesmo, la creatura di Crepax diventa nel giro di qualche puntata l’indiscussa protagonista della storia. È come se il suo creatore avesse trasferito il ruolo di alter-ego da Philip, personaggio maschile, con cui condivide molti aspetti, anche biografici, oltre che evidenti desideri, all’eroina femminile. Valentina diventa immediatamente un mito: più libera e disinibita di tutte le precedenti eroine del fumetto italiano; è una Brigitte Bardot, una Barbarella in versione bruna, l’eroina disegnata nel 1962 da Jean-Claude Forest e portata sullo schermo nel 1968 dall’attrice francese. Modellata sull’ideale femminile delle donne degli anni Venti e Trenta, Valentina assomiglia incredibilmente a Louise Brooks, diva del periodo (è una Anna Karina che imita Louise Brooks in Lulu, dice Bertolucci); possiede l’ambiguità legnosa, come hanno scritto i critici, delle donne di quel periodo.

 

 

 

Nel 1965 Guido Crepax, l’autore delle strip, ha trentadue anni; si è laureato in architettura e subito si è dedicato alla grafica pubblicitaria e al lavoro editoriale. La curva di Lesmo è il suo debutto come disegnatore di storie. Da quel momento in poi il suo lavoro di disegnatore s’identificherà quasi totalmente con Valentina, l’eroina del fumetto colto e intellettuale degli anni Sessanta. Il clima visivo e psicologico dell’epoca è quello dei film di Antonioni – L’eclisse è  del 1962, Blow up del 1967 –, e Crepax  stesso ha che fare con il cinema e la fotografia, come è subito evidente dal taglio delle sue tavole. Le vignette in bianco e nero di Valentina sono vere e proprie inquadrature, zoomate. Danno l’impressione del movimento, del cinema come atto psichico, oltre che visivo. Forse per lui vale l’idea di inconscio ottico, enunicata da Walter Benjamin e fatta propria, molti decenni dopo, da Rosalind Krauss per descrivere “il fotografico”. Nelle tavole dell’artista milanese si mescola insieme arte, cinema, disegno, comics e fotografia. Crepax frequenta all’epoca del suo debutto gli ambienti culturali milanesi, conosce l’optical art, non solo quella di Vasarely, Soto, Gerstner, che alla fine degli anni Cinquanta hanno cambiato il profilo dell’arte europea e mondiale, ma anche l’op art che si fa a Milano, con i fratelli Colombo, Giovanni Anceschi e tanti altri operatori visivi. Legge e cita i libri che artisti e scrittori si passano di mano. Valentina, sempre più erotica e sinuosa di puntata in puntata, li ha con sé; esibisce le coste dei libri mentre si sdraia nuda sul letto o, vestita di slip attillati e giarrettiere, si allunga sul divano.

 

Erotica, mai volgare, il personaggio di Valentina è complesso dal punto di vista psicologico. La sua disinibita personalità sconfina infatti nell’onirico. Crepax ha detto una volta che il suo fumetto rappresentava un “personale diario psicoanalitico disegnato giorno per giorno”. Il piano di realtà e il piano del sogno si confondono spesso; non c’è rottura tra il “dentro” e il “fuori”, ma lo sguardo indagatore del disegnatore esplora letteralmente Valentina, sia percorrendo la superficie della sua pelle, sia affondando nel pozzo oscuro dei suoi desideri e delle sue pulsioni segrete. Ma anche in questo viaggio nella coscienza, Valentina è un personaggio di “superficie”: possiede un’incredibile leggerezza, che è la stessa del segno che la definisce. Non c’è dramma né tragedia nelle sue avventure, ma uno scorrimento continuo: tutto fluisce. Crepax, da autore postmoderno – il primo postmoderno del fumetto italiano, senza dubbio – cita di continuo; sono i fumetti di Buzzati, le opere di Freud, testi filosofici, oltre che quadri o opere visive. Valentina frequenta le gallerie e i musei in compagnia di Philip, o di altri occasionali amanti – la loro è già una “coppia aperta” ben prima della rivoluzione sessuale del Sessantotto.

 

Con il personaggio di Valentina, con il segno che la definisce, Crepax ha inventato uno stile tutto suo, inconfondibile, dal punto di vista grafico. A volte i tratti del volto della sua eroina non sono neppure rifiniti; memore dei giochi percettivi della grafica e della op art, Crepax lavora sui dettagli; a volte abbozza, altre volte, al contrario, disegna tutto. Così, mentre a tratti è sommario – sempre bellissimo il volto di Valentina –, sono dettagliati gli abiti che indossa, o che più spesso si toglie. In alcuni momenti Crepax tende all’astrattismo, che è il sogno represso di gran parte dell’arte italiana del periodo, che sta transitando verso il concettualismo post-Fontana, verso il segno inafferrabile di Piero Manzoni.

 

 

Nel corso degli anni Settanta, mentre la società italiana scivola sempre più verso il conflitto sociale, la violenza politica e il terrorismo, Valentina diventa un sensibile sismografo di quanto accade fuori dalla sua stanza, dai luoghi chiusi dove vive; l’eroina di Crepax cammina anche per le strade di Milano, ma è una città vista però sempre da dentro, come se fosse un interno borghese. È il suo corpo, morbido, al limite del tattile, a diventare la superficie su cui si esercitano i desideri e le passioni di quell’epoca, che non trova, almeno per la Milano post-boom economico, il suo Tom Wolfe, il cronista puntuto e inventivo che narra i “radical chic” sotto la Madonnina (Radical Chic & Mau-Mauing the Flak Catchers di Wolfe esce nel 1970).

Valentina è anche un’eroina descritta da un segno sempre più barocco, lezioso. Quando la pornografia, quella colta, non è ancora diventata davvero di moda, il segno grafico di Crepax indugia sui peli pubici della sua eroina, oppure sulle sue curve generose offerte alla scopofilia dei lettori, esibendosi in posture che ricordano pagine di de Sade o von Masoch, ma sempre con garbo e con l’eleganza infallibile della china nera del suo autore. Nel 1973 il personaggio viene portato sullo schermo da Corrado Farina, in Baba Yaga, ma l’operazione non riesce; il regista rifiuta il film per via di tagli voluti dal produttore. A quel punto Valentina è già diventa una griffe. Compare su capi di abbigliamento, foulard, asciugamani, camicette; diventa un logo che va in giro per il mondo, uscendo delle pagine di “Linus” o degli albi che nel frattempo la Milano Libri ha iniziato a sfornare in modo sistematico per il piacere dei suoi lettori. Ancora nel 1989, per confermare un fascino che continua nel tempo, la fotomodella Demetra Hampton interpreta l’eroina di Guido Crepax in una serie di telefilm trasmessi da Italia 1.

 

Nel 1994 la casa editrice Blue Press ristampa le avventure, non seguendo l’ordine cronologico in cui sono apparse, bensì lo sviluppo delle singole storie. Crepax infatti non è solo un disegnatore attento alle mode, al mutamento degli stili, divoratore del nuovo, ma anche uno scrittore. I plot delle storie di Valentina sono intricati, veri viluppi arborescenti, che s’intrecciano tra di loro, fino a far smarrire al lettore l’ordine del racconto, se non proprio del discorso, come mostrano anche le ultime storie a cui Crepax si era dedicato poco prima della sua scomparsa nel 2003. C’è dietro a questa tecnica narrativa non solo il surrealismo – un surrealismo freddo, più mentale nella versione di Crepax – ma anche il nouveau roman di Robbe-Grillet, Sarraute, Butor, oltre al cinema della nouvelle vague di Godard, Rohmer, Truffaut. Lo avvicina agli scrittori e registi francesi lo sperimentalismo moderato e intellettuale, il gusto per i passaggi bruschi dal realistico all’onirico.

 

Crepax è stato senza dubbio un innovatore; il suo segno grafico è perfettamente identificabile fino a raggiungere una forma di manierismo e perfino l’autocitazione, come accade a molti autori di talento in età tarda. Nel corso degli anni, seguendo una delle linee di forza del suo fumetto, l’erotismo, Crepax ha illustrato molti romanzi erotici dell’Ottocento e del Novecento: Justine di De Sade, Emanuelle di Arsan, Histoire d’O, fino ad arrivare a La marchesa di O di von Kleist, uscito presso le Edizioni Nuages di Milano. Giustamente Ferruccio Giromini ha sottolineato la vocazione illuministica di Crepax, il suo appartenere alla cultura lombarda, milanese, che dell’illuminismo ha fatto il suo punto di forza. Illuminista lombardo come Manzoni? Probabilmente sì, ma con una specificazione. C’è nel voyeurismo di Crepax – il guardare come ossessione maschile e il farsi vedere come tecnica, provocazione e risposta femminile, secondo uno stereotipo dell’epoca in cui ha inventato la sua eroina – qualcosa che richiama l’illuminismo di Sade oltre che quello dei milanesi fratelli Verri, quell’illuminismo nero che egli ha saputo sviluppare in modo coerente nelle sue tavole, dando vita a una forma grafica decisamente anticlassica, ma non per questo sovversiva o rivoluzionaria. C’è sempre nelle sue strip, come nella personalità della sua eroina, un punto di equilibrio che Crepax non ha mai voluto mettere in discussione, quasi fosse uno psicoanalista di professione, che ha estratto dal “campo interiore” della sua bellissima protagonista ciò che si vuole e ciò che non si vuole, senza giudicare, ma solo raccontando con i propri segni.

 

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