Il tempo delle istruzioni
I frames del Natale sono noti. Comportamenti tipici, sequele preordinate di azioni e passioni, modi di dire e di fare, personaggi stereotipati. Ci sono quelli che finalmente si possono riposare, quelli che me ne sto solo a casa e vaff, quelli che mandano lo stesso sms o la stessa cartolina via mail a tutta la rubrica sentendosi tecnologicamente avanzati, quelli che tanto io me ne parto, quelli che un regalino anche piccolo va fatto a tutti, quelli che dopo le feste mi metto a dieta…. Passato lo tsunami festivo, si torna al tran tran in una condizione psicologica di sproporzionata euforia o assoluta tristezza, si ricomincia il ritmo solito, con le sue selezioni etiche e le sue rinunce esistenziali.
Antropologicamente più interessante, forse, il tempo intermedio fra le feste e la ripresa, quei giorni sonnolenti e vuoti tra Natale e Capodanno che sono feriali senza esserlo, festivi senza esserlo. Che sono, in tutti sensi, neutri. Sono giorni in cui, in primo luogo, si cambiano nei negozi del centro i regali ricevuti, come quel pigiama dal colore troppo sgargiante, quel maglione fuori misura, quel disco che abbiamo già. E poi? Che fare poi? Poi, immancabile e periglioso, arriva il tempo delle istruzioni per l’uso.
Abbiamo la casa sommersa da ulteriori tecnologie e nuovi macchinari di tutti i tipi – dai giocattoli dei bambini al microonde che s’era guastato, dal dispositivo che si collega all’iPhone per chissà cosa all’affare di terracotta con cui si prepara una tarte tatin da sballo. Ma non sappiamo come farli funzionare. In giorni normali, avremmo supplicato quel gran genio del nostro amico di spiegarci come usarli alla meno peggio, rinviando sine die il momento della reale acquisizione di competenza. Ma adesso no: in questi giorni, finalmente (!?), abbiamo il tempo e l’agio di far le cose per bene. Di studiare a menadito i manuali allegati di istruzioni per l’uso. Con quel che ne consegue sul piano psicologico o, meglio, psicodrammatico.
Questi manuali, si sa, sono testi molto particolari: non a caso nel Mondo nuovo di Aldous Huxley erano gli unici permessi dallo Stato. Di solito vengono ficcati, con gli altri che li hanno preceduti, sul fondo di un cassetto e mai più aperti. Altre volte vengono compulsati velocemente e gettati via. Altre volte ancora dischiusi al momento del bisogno, quando l’aggeggio in questione non vuol saperne di fare il suo dovere, ma con poche reali speranze di soluzione. Meglio il solito help telefonico al centro assistenza o al parente esperto. In un caso come nell’altro, essi non vengono mai intesi e usati per quel che, istituzionalmente, dichiarano d’essere: i nostri aiutanti tecnologici. Conoscete qualcuno che li legge dalla prima all’ultima pagina? e che poi, grazie a tale lettura, sa far funzionare le macchinette che ha di fronte? Ovviamente no. Eppure, tutti i manuali immancabilmente glorificano se stessi già dall’incipit minacciandoci imperiosamente: “prima di accendere l’oggetto, leggete con cura questo manuale”. Cosa che nessuno appunto fa. Per qual ragione?
Le istruzioni per l’uso, si dice, sono testi difficili: non ci si capisce niente, sembrano scritti per i pochi eletti che capiscono quel linguaggio tecnico, quel gergo da specialisti e sigle annesse che dovrebbero invece spiegare. Sono autoreferenziali e perciò inservibili. Ne siamo certi? Ad aprire con calma, fra il 26 e il 30 dicembre, questa serie di libretti che ci guatano tra il tinello, il salotto buono e la cameretta dei pargoli, sembra semmai il contrario. Sono scritti pensando a mentecatti ignoranti e goffi, a folli senza alcuna educazione, a tipi privi d’ogni buon senso. Da cui cose come: “inserite la spina nella presa prima di azionare l’apposito comando di accensione”, “per effettuare una chiamata componete il numero telefonico”, “non immergete il tostapane acceso nell’acqua del lavello”, “non sottoponete il computer ad agenti atmosferici come pioggia, neve e nebbia”, “non usate il telefonino come arma contundente”. Il manuale del nuovo microonde – giuro – fra le raccomandazioni di rito include per esempio: “non riponete il gatto nel vano cottura”.
Il top si raggiunge con le istruzioni di montaggio dei globali mobili Ikea. Rigorosamente mute: manco un rigo, neanche una parola in alcuna lingua conosciuta o sconosciuta; solo una lunga sfilza di immagini e fumettoni che dovrebbero, secondo loro, essere più chiare e precise perché, appunto, figure. Si evitano così le sconfortanti traduzioni automatiche, come quel vecchio manuale di videoregistratore che predicava a un certo punto “premere il tasto gioca”. Ma con ben altri problemi. Protagonista del libretto di istruzioni Ikea è un omino felice (sorride sempre) che, ovviamente, rappresenta il consumatore – cioè io che lo sto guardando – mentre si avvia a montare, poniamo, una cassettiera col solo aiuto di due cacciaviti e un martello. Costui è straordinariamente tonto, al punto che il manuale si preoccupa di spiegargli, prima di assemblare il mobile, che cosa deve – e soprattutto che cosa non deve – fare: deve trovare qualcuno che lo aiuti, poggiare i pezzi di legno su un soffice tappeto e non sul nudo pavimento, telefonare in ditta invece di scervellarsi sui fogli... E, soprattutto, non deve mai provare a usare i cassetti come una scala, ché tutto verrebbe giù con rovinose conseguenze sia per il mobile sia per l’omino medesimo. Quest’ultimo suggerimento viene detto, cioè disegnato, più volte nelle pagine successive, come se fosse il tipico errore dei clienti Ikea: salire coi piedi sui mobili e caderci giù.
Si dirà che tutto ciò viene fatto per ragioni legali, di modo che, quando realmente qualcuno mette il gatto nel forno o uccide l’amante col telefonino, non si potrà far causa all’azienda che, prudentemente, aveva messo sull’avviso gli stolti o i malintenzionati già nelle prime battute delle istruzioni per l’uso. Sta di fatto che, come il celebre implied reader della narratologia sta per il lettore reale sul divano, o il pubblico in sala nelle trasmissioni televisive anticipa quel che farà il pubblico a casa, analogamente quel tipo che sale coi piedi sui mobili cascando a terra fa di noi, proprio noi che qui e ora ci danniamo con la cassettiera da montare, dei perfetti dementi. Insultandoci ripetutamente.
E se la conclamata, presunta bontà che caratterizzerebbe i giorni natalizi potrà passar sopra simili ingiurie, non altrettanto accadrà con le migliaia di approssimazioni che questi testi sedicenti tecnici continuamente sciorinano. Anche qui, il luogo comune pensa ai libretti di istruzioni come a testi dove termini tecnici e sigle incomprensibili si accavallano a pignolissime precisazioni, spesso talmente accurate da risultare, poiché inutili, fastidiose. Ma non è così: i manuali d’istruzioni per l’uso, semmai, hanno problemi col linguaggio comune, non sanno chiamare le cose col loro nome, usano parole presunte semplici per descrivere le operazioni da compiere senza mai darne una reale idea. E quando, come spesso accade con gli strumenti più innovativi, le cose non hanno ancora un loro nome (come leva, pulsante, spinotto, presa…), ecco venir fuori termini passepartout come alloggiamento, sistema, effettuare e simili. È il regno dell’approssimazione, dell’imprecisione, della superficialità. Perché i gesti che dobbiamo compiere all’apertura dal pacco ci vengono illustrati a pagina 56? perché nessuno mi dice come eseguire una certa indispensabile manovra? Ecco questioni che l’antica retorica chiamerebbe, oltre che di inventio ed elocutio, di dispositio o di actio, forse perfino di memoria. Come comportarsi per esempio di fronte a quegli odiosissimi tasti multifunzione che, da soli, servono per un’enorme quantità di operazioni diverse? Qui il lessico cede il posto alla sintassi, alle sequenze dei gesti e agli accostamenti fra parti. Ma ci sono manuali che, per questo, azzardano distinzioni linguistiche sottili, quasi poetiche. Qualcuno mi sa spiegare che differenza c’è fra enunciati come “premere per 1 secondo”, “premere velocemente due volte”, “premere velocemente”, “premere e rilasciare per 1 secondo”, “mantenere premuto per due secondi”?
Quest’ultimo esempio ci porta comunque a una considerazione di un certo rilievo. La questione di fondo, con i manuali di istruzioni, non è cognitiva, come si penserebbe di primo acchito, non riguarda cioè la comprensione ingegneristica delle macchine e il sapere pregresso necessario per impiegarle. Molto diversamente, è tutto un problema di corpo. Del nostro corpo, che deve saper usare bene gli attrezzi che ha in dotazione (occhi, dita, mani, piedi, pancia…). Ma anche del corpo delle macchine medesime, che deve sapersi far manipolare con pazienza e dedizione. Alla fine, a fornire le reali istruzioni per l’uso di un oggetto è l’oggetto stesso, quel suo design che, se ben pensato, da solo mi dice che cosa toccare, dove guardare, cosa pigiare, come tenere l’oggetto in mano e rigirarlo senza romperlo. Come, insomma, adoperarlo senza, vivaddio, bisogno di un libretto di istruzioni per l’uso. Lo aveva capito, grazie alle dritte di Donald Norman, Steve Jobs, e per questo è ancora osannato. Le cose intelligenti, smart come oggi si usa dire, non sono quelle che compiono da sole operazioni difficili o complesse, ma quelle che sanno far fare a noi, esseri qualunque, operazioni qualsiasi senza apprendimenti particolari a monte, inglobando in sé – nelle loro forme, colori e materie – i modi corretti per adoperarle, i gesti che il nostro corpo dovrà e potrà compiere per svolgere ciò che il nostro cervello, poveraccio, crede di star facendo per conto suo.
Vengano bravi designer a disegnare aggeggi intelligenti, magari accompagnati da esperti narratori che sappiano cosa e come scrivere nei libretti annessi. Ritroveremo così, col tempo delle nostre vacanze, il sapore della nostra troppo umana esistenza. Evitandoci sedicenti mondi nuovi carichi di pericolose, allettanti proposte tecnologiche senza costrutto.