Intervista con Roberto De Simone sul Natale / La morte del presepe

25 Dicembre 2017

Musicista, compositore, regista, autore teatrale, Roberto De Simone, oggi ottantaquattrenne, è una delle persone più significative della cultura italiana. Nessuno di coloro che lo hanno visto ha dimenticato lo spettacolo La gatta Cenerentola che nel 1977 aveva già raggiunto le 350 repliche, per cui De Simone decise di trasformarlo in una visione registrata. Il VHS uscì nel 1999 da Einaudi in una “scatola” con il libro che l’accompagnava. Così altre migliaia di persone poterono godere di questa favola napoletana scritta da Basile e ripensata da De Simone. Negli ultimi anni l’artista ha pubblicato altri bei libri. L’ultimo è La canzone napoletana nella collezione “I Millenni” di Einaudi. Tra i suoi libri ce n’è uno che mi è sempre parso straordinario: Il presepe popolare napoletano (Einaudi) del 1998. Ogni volta che vado a Napoli – e troppe poche volte negli ultimi tempi – lo tiro fuori dallo scaffale e lo riguardo. A Napoli si comprano le statuine del presepio, sempre nuove e sempre rinnovate. Negli anni Novanta c’erano Berlusconi e Bossi da mettere accanto ai pastori, poi, a seguire, Renzi e anche gli altri personaggi della sua corte. E attrici, attori, personaggi pubblici. Il presepe si rinnova? Una bestemmia per De Simone. Per lui il presepe è qualcosa fermo nel tempo, come le statue del presepe che ha in casa e che tiene fisse, come racconta. Non so se il musicista e compositore napoletano, e anche scrittore, abbia mai letto il libro sul presepe di Giorgio Manganelli; hanno tutti e due la stessa ispirazione. Il presepe è una discesa agli inferi, un percorso iniziatico, un incontro con i motivi ctoni dell’esistenza. Sono i morti che s’incontrano tra pozzi, grotte, castelli, palazzi, montagne e fiumi del presepe. Il presepe è nato dopo l’abbandono della cultura matriarcale, nel passaggio alla cultura patriarcale quando, scrive De Simone, subentrò l’angoscia associata al Tempo storicamente inteso, “vissuto come esperienza di sciagure, di guerre, di calamità naturali e imprevedibili”. Il presepe c’è per questo e ha un carattere misterico e infero, e una forma labirintica, che lo scrittore indaga nel suo saggio, che contiene poi interviste con fabbricanti di antichi presepi, registrazioni e dialoghi. Così ho anch’io registrato una conversazione avvenuta per telefono con lui per sapere cos’è oggi il presepio, oggi che è diventato un oggetto consueto nelle case per il Natale degli italiani.

 

Come sono oggi i presepi a Napoli? Ci sono ancora?

Io più che della tradizione, sulla quale bisognerebbe fare un distinguo tra ciò che è oggi e quello che era nel passato, parlerei del presepe come espressione religiosa di una cultura. Come espressione diretta non esiste più. Il presepe era un’espressione cui una volta partecipava tutta la famiglia nel costruirlo, famiglia per famiglia, per celebrare la nascita di Cristo come rappresentazione ed era un codice di miti, leggende e antichi linguaggi. Questo non c’è più. Va perdendosi l’immaginario di una collettività. I singoli personaggi venivano collocati in posizioni precise ed esprimevano un codice culturale relativo alla sfera onirica, ai miti, alle leggende, sui quali per duemila anni si era sedimentato il tessuto religioso popolare.

 


 

Le persone non sognano più? I sogni di oggi non sono riferiti a quell’universo simbolico?

La gente sogna quello che vede in televisione. Questo è l’unico immaginario che resta. Quello del presepio era un immaginario funzionale alla collettività. Oggi c’è l’immaginario del consumo, dei personaggi che cambiano di giorno in giorno, come per gli oggetti. Tutto è transitorio, cambia. Si sogna da soli.

 

Nel suo libro lei ci fa capire che il presepio è una discesa all’ingiù, una realtà ctonia. Forse si è perso proprio questo?

Nei giorni di Natale si concretizzava un reciproco rimando tra il presepe e il gioco della Tombola, con i numeri che esprimevano situazioni dei personaggi presenti nel presepe, un codice. In questo modo l’immaginario si rapportava (a cosa?) di volta in volta nel periodo meno attivo delle attività agricole o del lavoro, che in inverno erano sospese.

 

Lei scrive che il Natale era una sospensione della vita quotidiana, dava forma al desiderio di uscire dalle fatiche materiali e anche dai dolori dell’esistenza, dalle difficoltà dell’esistere. Non c’è più tutto questo?

Non esiste più un quotidiano. Anche quello è stravolto. Nella cultura di massa tutto è transitorio, varia secondo le possibilità economiche delle persone. La società moderna è stravolta nei suoi atteggiamenti verso il tempo e le espressioni che la Natura ci offre. Non esiste più inverno, non esiste più estate. Esistono solo le “vacanze” in un lavoro che è già di per sé una vacanza. I termini del nostro parlare sono di un’ipocrisia irraggiungibile.

 

Molte delle figure del presepe di cui lei tratta – il pozzo, la fontana, il mulino, la grotta, il lupo mannaro – corrispondono a motivi della paura, che trovano un corrispettivo nei timori e nelle angosce degli uomini di quel tempo. Questo viaggio notturno che lei indica non c’è più? Tutto avviene alla luce del giorno?

Diceva Bertolt Brecht che dopo l’esplosione atomica la civiltà occidentale era definita da questa esplosione luminosa, che aveva distrutto anche la notte. Noi viviamo in un giorno derivato da una esplosione bellica, questo è il Sole che ci pervade quotidianamente. Abbiamo delle paure, delle angosce, ma le uniche parole che si riferiscono all’angoscia riguardano la banca, oppure i debiti accumulati. Gli individui vivono soli senza presepe, che rappresentava un codice condiviso da tutti.

 

Non crede che nella struttura simbolica, nell’immaginario degli esseri umani, il posto tenuto dal Natale e dal presepe con le sue raffigurazioni, sia tenuto da qualcosa d’altro? L’immaginario non è scomparso. Qualcosa di rappresentativo esiste, non pensa?

Abbiamo avuto un decadimento della religiosità cattolica dopo il Concilio Vaticano II, le cui direttive hanno penalizzato fortemente le antiche tradizioni collettive sia contadine sia pastorali. Oggi questo tipo di attività sono confuse, non sono più gestite dall’alto, ma secondo l’esigenza dei consumi, le importazioni, le esportazioni, e le altre attività dell’imperialismo consumistico.

 

La religiosità è totalmente scomparsa o esiste sotto altra forma? Lei sta esprimendo una visione del mondo molto vicina a quella di Pasolini, parla del Concilio Vaticano II in un modo analogo a Ceronetti. Una visione senza speranza.

Condivido quella visione pasoliniana senza speranza. Le uniche realtà esistenti sono le resistenze a questa sciagura del capitalismo occidentale; c’è da sperare nelle comunità orientali, del Sudamerica, dove c’è e resiste una cultura non di massa, autonoma con dei propri codici che non sono stati sostituiti dall’imposizione televisiva o del computer.

 

Come lei mostra nel suo libro sul presepe, dentro la cultura cristiana sopravviveva quella pagana. Non sarà forse che dentro questo consumismo, questo immaginario, sopravvive qualcosa del passato che aiuta a vivere, a superare i dolori della vita, a sperare in un futuro diverso? In fondo quello che si rimproverava alla cultura tradizionale era una forma di acquiescenza al potere, al mondo così com’era dato, un mondo ingiusto e ineguale.

Le persone oggi sono sole, sono delle monadi. La religione è un fatto che accomunava la collettività. La perdita del mondo religioso lascia gli individui senza alcun rapporto sociale.

 

Non le sembra che la sua visione abbia degli aspetti anche reazionari? Una volta le persone morivano giovani, faticavano, si ammalavano, era un mondo di malattie, di soprusi, di sofferenze, non c’era alcuna democrazia e la religione era un rifugio…

La democrazia che ci governa è una mafia, non è una democrazia, è una demagogia, è una casta di persone che guardano al proprio interesse, ai privilegi raggiunti. Noi non parliamo di democrazia, ma di ipocrisia. Si tratta della mafia di Stato. Una volta si soffriva per un male che non era curabile. Oggi si soffre di mali incurabili che hanno dato accesso a droghe di cui i giovani fanno sempre più uso. Meglio essere reazionario che persona assuefatta a questo perverso sistema d’ipocrisia democratica.

 

Non c’è nessuna speranza? Neppure il presepe ci può aiutare o consolare?

Il presepe è diventato un oggetto d’arredo, non è più un oggetto devozionale. Il presepe aveva delle sue scansioni temporali. Lo si cominciava a costruire nelle settimane successive alla festa dei morti, il 2 di novembre, in modo che il 30 di novembre fosse quasi pronto per ricevere la novena degli zampognari all’Immacolata, l’8 dicembre. Poi bisognava attendere il 16 dicembre per la nuova novena al Bambino che durava dal 16 al 24 dicembre. Era anche relativo alla Festività dei Re Magi il 6 gennaio in cui si collocavano davanti alla Grotta i personaggi dei Re Magi in ginocchio anziché sui cavalli. Era un rituale continuo che si rappresentava con date precise. Dopo la festa di Sant’Antonio Abate si toglievano i personaggi, si svuotava la Grotta e si collocavano le Anime purganti. Oggi è un oggetto freddo, si mette lì e basta. È anonimo. Lo comperi già bello e costruito senza coscienza della rappresentazione.

 

Lei legge il presepe come un libro aperto perché viene da quella cultura. Non sarà che c’è qualche struttura simbolica non più cadenzata su quelle date che lei ha appena esposto ma che esprime comunque quei bisogni umani che erano riassunti nel presepe? Non ci saranno strutture simboliche che attendono di essere lette da noi come lei fa con il presepe?

Il tempo una volta era modellato sulla natura, oggi è modellato dai linguaggi dei computer e da quelli perversi della cultura di massa. Le uniche manifestazioni che sembrerebbero legate a una ritualità del tempo sono quelle della cultura di massa.

 

Non crede che l’uomo si stia avvicinando attraverso la scienza e la tecnica, come sostengono alcuni autori, all’immortalità, un desiderio umano presente anche nella religione. Diventeremo simili agli dei. Forse per questo il presepe non ci parla più.

L’immortalità è legata al computer. Non condivido questa prospettiva dell’immortalità attraverso la medicina e la scienza. Hanno prospettato entrambe il progresso, ma io faccio una distinzione tra questo progresso scientifico asservito al consumo massificante e un progresso che invece è un regresso umano. L’uomo non è più legato al ritorno solare, delle stagioni. A me pare che il mondo sia molto regredito.

 

Scomparendo il rapporto tra i vivi e i morti ha perso importanza il presepe?

Il rapporto con la morte era rassicurante, perché perdonava. Si trattava di vivere nel passato e di proiettarsi nel futuro.

 

Niente presepe quest’anno allora?

Ce l’ho già. L’hanno costruito artigiani che conoscevano i codici e i linguaggi. I pastori del mio presepe sono stati modellati cento o duecento anni fa da artigiani che li modellavano senza stampi, direttamente sulla creta. L’ho collocato al suo posto, sta fisso in casa.

 

Allora per lei è sempre Natale?

No, non è sempre Natale. Natale è solo nel momento in cui ritorna il Natale, nel senso di essere collegato al passato. Negli altri tempi non è presente come linguaggio stagionale in cui si rappresentano questo cose. Si tratta di far coniugare la propria interiorità ai significati dei linguaggi. Fuori dal periodo natalizio non li si può esprimere. Li esprimono o li esprimevano una volta altri rituali, alcuni dei quali sono scomparsi come la Pasqua e le festività.

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