Lo sgombero di Macao a Milano

15 Maggio 2012

Ore sette ho aperto gli occhi: i primi tweet. Ne tornava indietro l’eco. Poi Milano si è svegliata, e mentre pedalavo verso Macao un susseguirsi di tweet e notifiche facebook.

 

Macao sgomberata, accorrete tutti.

 

Scopro dopo che è dalle sei che le camionette della polizia girano intorno alla zona, lasciando presagire quel che sta per accadere. I ragazzi all’interno, una trentina. È già da ieri sera che sono in stato di allerta e inviano messaggi e tweet di preavviso e mobilitazione.

 

 

Qui, alle otto. Arrivo pensando che non sia possibile che, come si scrive su twitter, “ti ho votato perché a Milano non accadesse più quello che sta accadendo ora”. È passato un anno, un anno più o meno esatto. Si è atteso che Pisapia prendesse una qualche posizione, in questi giorni. Si è atteso che si aprisse lo spazio di un dialogo.

 

Chiunque sia transitato per Macao in questi giorni ha visto un cantiere aperto, vivo, critico. Sono arrivati apprezzamenti e grandi pacche sulle spalle anche dai membri della giunta comunale passati di qui, ma non è stato difficile comprendere le conseguenze della mancata assunzione di responsabilità del sindaco, e i malumori degli occupanti e del mondo della cultura rispetto al tergiversare e alle vaghezze della giunta si erano già fatti sentire ieri e nei giorni precedenti. Pisapia ieri: “sui giovani di Macao credo che debbano decidere altre istituzioni dello Stato, non il Comune di Milano […] il tema dell’occupazione di una casa privata è una questione di ordine pubblico e devono prendere delle decisioni altri organi”. Risposta formalmente ineccepibile: è questa la presa di posizione del comune?

 

Nella stessa giornata la dichiarazione di Boeri “governare una città complessa significa sapere che la scena creativa di una metropoli si rigenera anche grazie a luoghi non istituzionali e non codificati […] questa libertà è possibile solo entro spazi informali e auto-organizzati”, che cos’era? Un apprezzamento della scena creativa ma insieme una dichiarazione di imbarazzo rispetto alla possibilità di appoggiare istituzionalmente qualche cosa di spontaneo, vivo, energico? Come dice Elena, una ragazza che era qui questa notte: “Pisapia ha fatto mea culpa per non aver dato priorità al problema degli spazi culturali, e che farà adesso, dopo tutto questo? Ci proporrà bandi, spazi, un dialogo a posteriori?” Siamo sicuri che sia la possibilità e non piuttosto la volontà a mancare?

 

 

Un anno fa le promesse ci parlavano di volontà e possibilità intimamente legate. Noi la responsabilità ce la siamo assunta.

 

Ma comunque. Sono arrivata e saremo stati una cinquantina. Dall’altro lato della strada, a guardare i poliziotti schierati.

 

Cerco di raccogliere notizie, qui si dice che era nell’aria già da ieri sera quello che è accaduto alle sei e trenta di questa mattina. La polizia ha circondato l’edificio: non sapevano cosa avrebbero trovato davanti a loro e hanno fatto irruzione con il piede di porco. Poi si sono accorti che la situazione era tranquilla. È cominciato il dialogo. Hanno pattuito la denuncia di dieci persone, nessun rastrellamento di documenti in mezzo alla folla. Lo sgombero più veloce nella storia di Milano.

 

Ah, Ligresti ha fatto la cortesia di dare un container per mettere le cose.

 

A gruppi di dieci rientrano per recuperare cose ed oggetti: temporeggiano, dall’interno. Salutano da dietro il vetro. Si affacciano. Escono con i borsoni tra gli applausi e ne entrano altri.

 

Ora sono le ore nove, la strada è stata chiusa al traffico. Siamo di più, adesso. Siamo circa 150 e siamo in mezzo alla strada: la gente arriva, si incazza perché ha un lavoro dove deve andare mentre qui, ora, si sente che è importante restare. Sono seduta sul marciapiede, ogni tanto qualcuno si affaccia dalla finestra. Da dietro i poliziotti.

 

Qui è la possibilità in campo. Non la possibilità di questo luogo fisico, ma la possibilità di quello che in questi giorni è transitato per Macao.

 

 

Ore nove e trenta. Dario Fo a Macao: “Quello che è successo a Macao è che un ricco aveva un pezzo di pane e non lo voleva, l’ha buttato per terra e gli ha tirato un calcio. Poi un povero ha preso quel pezzo di pane, e allora il ricco ha chiamato la polizia per farselo ridare”.

 

Ore dieci, siamo sui duecentocinquanta. Tutto sembra sospeso. C’è incredulità e scoramento e delusione. Si è qui. Con il container donato da Ligresti (che Macao ha rifiutato, come ha rifiutato l’aiuto/intervento dei mezzi pubblici per portare via le cose). Con un edificio che non vuol tornare abbandonato.

 

Ore dieci e un quarto: inizia l’assemblea permanente per Macao. Di andare via, qui non ci si pensa proprio. Circola la notizia di quanto Pisapia scrive su Facebook: “Ho sempre pensato che alla domanda di innovazione, cultura e partecipazione si risponde con il dialogo e il confronto. Gli sgomberi non danno una soluzione ma pongono ulteriori problemi”.

 

Le reazioni a queste parole sono diverse, ma mi pare di poter dire che la delusione è tanta e suggerire che lo sgombero non dipenda direttamente dal comune, e quindi dal sindaco, non convince né basta. Di risposte, ieri, avrebbe potuto darne di diverse. E alcune avrebbero, considerazione banale, reso un po’ meno prevedibile questo esito.

 

Ore undici e trenta: inizia la musica. Collette per andare a comperare l’acqua. Si passa qui la giornata. Che sarà lunga.

 

Ore dodici e un quarto. Ci si propone una nuova assemblea, bisogna organizzare e pensare al che fare.

 

Ore tredici: prevista nuova assemblea. Intanto la strada è interrotta, piena, occupata. Hanno sistemato i tavoli qui fuori: assemblea permanente.

 

Ore quattordici: ci sono i vari tavoli: logistici, organizzativi, di Radio popolare. All'assemblea, momenti di dibattito sul che fare si alternano interventi pubblici. Tra poco sono previste performance teatrali: in pratica Macao è nella strada e il programma previsto per oggi si attua così, seduti in cerchio sull'asfalto.

 

Ore quindici: inizia l'assemblea. Prima, nel dibattito in corso, si sono alternati diversi interventi, e lo spirito che si respira mi sembra riassumibile in una frase molto bella: "abbiamo accolto la polizia con il sorriso". E non è solo che lo sgombero si è svolto infatti senza la minima ombra di violenza, ma c'è anche, nel sorriso, l'idea che dieci giorni siano stati sufficienti perché cominciasse qualcosa che, certamente, non finisce ora. Quindi: "che fare?"
 

I tweet si succedono senza sosta: #tuttisumacao, #iostoconmacao, #macao #torregalfa

 

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