Maria Sybilla Merian: viaggiatrice, imprenditrice e artista
Alla fine di giugno del 1699 Maria Sybilla Merian partì dall’Olanda per le Indie Occidentali, per il Suriname, insieme con la figlia Dorothea Maria. Erano due donne non accompagnate, sole all’avventura in un viaggio pericoloso, intrapreso per scopi artistici, naturalistici, imprenditoriali. Merian per finanziare l’impresa aveva messo in vendita 253 tavole su pergamena dipinte nel corso di trent’anni in Germania, Frisia, Olanda, raffiguranti fiori, frutti, piante e soprattutto insetti. Di questi aveva osservato i cicli vitali, da larva a crisalide a farfalla, registrandoli con minuzia di particolari, splendore di colori, maestria artistica. Era nata nel 1647 e quindi al momento di salpare aveva cinquantadue anni: era considerata una donna avanti negli anni.
Chi era Maria Sybilla e cosa la spinse a quel viaggio lo spiega Brunella Torresin, già giornalista di “Repubblica” e ora collaboratrice delle pagine culturali di quel quotidiano, autrice di traduzioni e di scritti di teatro. Nel gran teatro della natura. Maria Sybilla Merian donna d’arte e di scienza (1647-1717), pubblicato da Pendragon a Bologna, dove Torresin vive e lavora, è un bel libro finemente illustrato, con molte riproduzioni di tavole naturalistiche della scienziata. È un’accurata ricostruzione storica e d’ambiente e un bel ritratto personale, scritto in modo piano e insieme appassionato.
Figlia di un pittore e incisore, Matthaeus Merian il Vecchio, Maria Sybilla nasce a Francoforte sul Meno. Il padre viene a mancare quando lei ha tre anni e la madre si risposa con Jacob Marrel, pittore di nature morte e mercante d’arte. Respira quel tipo di figuratività attenta alla realtà e ai suoi particolari, dettagliatissima, che si sviluppa nei paesi del Nord Europa. Vive tra artisti che si fanno imprenditori di sé stessi e diffondono le proprie opere in pubblicazioni a stampa e incisioni. Matura, inoltre, in un ambiente rigorista, che ha aderito alla riforma calvinista.
Inizia a osservare i cicli vitali di bruchi e farfalle giovanissima, a tredici anni, e da allora non smette più. Le sue prime prove di disegno di piante, fiori e frutti vedono quegli animaletti sempre presenti: ma lei presto rimane affascinata, più che dalla statica raffigurazione, dalle metamorfosi che portano allo schiudersi di crisalidi che lasciano fuoriuscire meravigliose falene e farfalle da bruchi più o meno insignificanti.
Torresin segue Merian nel matrimonio con un altro artista, che intesseva rapporti con vari paesi europei, Johann Andreas Graff, di fede luterana; nel suo spostamento a Norimberga, dove pubblica la prima opera, Il libro dei fiori, e poi il primo libro dei Bruchi (1679), frutto delle osservazioni delle loro metamorfosi. In questo “per la prima volta l’illustrazione delle farfalle e del loro ciclo vitale è accompagnata dall’accurato resoconto del loro ambiente naturale e delle loro abitudini”, scrive l’autrice. Qualcosa che ne fa, ha notato la biologa Kay Etheridge, una pioniera dell’ecologia.
Torresin è evidentemente ammirata dalle capacità di questa donna, dalla sua autonomia che presto sarà ribadita dal divorzio, dalla sua capacità di superare il livello puramente estetico e di farsi scienziata. Commentando l’unico ritratto che la raffigura intorno ai trentadue anni, in un abito di foggia olandese, ma anche “della Norimberga delle donne delle famiglie della minoranza religiosa calvinista e d’ispirazione pietista”, scrive: “la giovane donna è composta, è modesta, c’è qualcosa di malinconico in lei e tuttavia di lieve, come un sorriso interiore, quasi divertito”.
Nel 1683 Maria Sybilla torna a Francoforte e pubblica il secondo libro dei Bruchi. Penetriamo nella sua vita attraverso lettere inviate a sue allieve, perché alla pratica del disegno e della pittura congiunge l’attività didattica.
A Francoforte rimane poco: nel 1685 si trasferisce in Frisia presso una corrente radicale di protestanti, i labadisti, che predicano la comunione dei beni e la separazione dal mondo secolare. Scrive ancora Torresin: “Unirsi ai labadisti significa allontanarsi dal mondo, vivere secondo le Scritture, rinunciare a ogni forma di vanità, di lusso, di arte, conferire i propri beni e piegarsi alle regole di una comunità severamente gerarchizzata e disciplinata”. Grazie all’incontro con i labadisti viene a sapere dell’insediamento di alcuni di loro in Suriname, e di conseguenza decide di intraprendere il viaggio nelle Americhe.
L’autrice spiega l’interessamento dell’artista e di suo fratello a questa comunità con la religiosità profonda trasmessa dal padre. Nell’adesione al Vangelo nel segno della rinuncia a ogni grandezza si può notare lo stesso spirito che spinge l’artista (e la scienziata) a osservare esseri umili come i bruchi, a cercare l’origine della vita e della trasformazione; nel viaggio nelle Indie Occidentali l’idea di trovare, nel Nuovo Mondo, una Nuova Gerusalemme, immagine anche di un Eden lontano dalla corruzione occidentale, qualcosa che riporta, spostata sul versante naturalistico, all’immaginazione filosofica del Buon Selvaggio. Una glorificazione di Dio nelle meraviglie di una natura sontuosa.
Ma Maria Sybilla non si lascia andare a spiegazioni ideologiche: studia, nota, disegna, osserva, scavando l’opera del creatore nei dettagli, anche in quelli più umili e insignificanti, osservando con occhio disincantato la lotta per la vita, il più grande che mangia il più piccolo, con un’ammirazione tutta contenuta nella precisione delle forme e nell’esplosione dei colori.
Nel 1691 Maria Sybilla la ritroviamo ad Amsterdam, divorziata. A questo punto il libro, dopo averci fatto viaggiare nell’arte nordica e nei sentieri della dissidenza religiosa, che vuol dire anche ricerca di libertà dalle chiese troppo oppressive, ci porta in un mondo dove si sviluppa il collezionismo scientifico e dove vari cultori cercano di arricchire le loro wunderkammern di reperti rari: la nostra artista raccoglie e commercia, oltre a disegni e dipinti, anche insetti e piccoli animali variamente conservati.
Nel 1699 con la figlia intraprende il faticoso viaggio per nave fino alle Indie Occidentali olandesi. E qui, nella calura, che spesso vuol dire clima malsano e malaria, le due donne rappresentano un’eccezione. “Nel Seicento olandese le donne che svolgono una professione o un’attività specializzata sono una minoranza. Se attraversano l’Atlantico, lo fanno in quanto componenti di un nucleo familiare, in virtù del loro ruolo di spose e di madri, in essere o potenziali”. Maria Sybilla e la figlia sono autonome, senza capofamiglia e senza proprietà. Libere professioniste, ricercatrici, artiste, donne indipendenti, orgogliose di questa condizione.
Lei, la madre, nelle sue ricerche si guarda anche intorno, osserva. E critica la società coloniale. Se non mette in discussione lo schiavismo, terribile base di quelle comunità, da tutti gli occidentali accettata, ne critica gli eccessi di crudeltà. Rileva la miseria in cui vivono gli schiavi africani e gli indigeni e critica l’investimento dei coloni sulla monocultura della canna da zucchero, che sottrae la bellezza della varietà a una terra che potrebbe farla sbocciare rigogliosa. Dopo solo due anni è costretta dal clima, troppo secco in certi periodi e in altri eccessivamente umido, a tornare in patria, sottoponendosi a un altro viaggio stremante.
Cosa riporta in Olanda dal Nuovo Mondo? Disegni, tanti disegni, che raccoglierà nel libro Metamorphosis insectorum Surinamensis, pubblicato in olandese e in latino ad Amsterdam nel 1705, e il suo Libro degli studi, che raccoglie le osservazioni fatte sul campo.
Queste opere, come le precedenti, rivelano tra l’altro una donna che conosce le novità scientifiche della sua epoca, in contatto con naturalisti, scienziati e artisti. E un’imprenditrice, che subito, in Olanda, cercherà dei sottoscrittori che le permettano di stampare l’impegnativa e costosa opera pensata e abbozzata in Suriname. Torresin racconta questi rapporti, non tacendo i fallimenti e neppure le imprecisioni scientifiche, assolutamente veniali rispetto alla mole delle cognizioni e delle immagini fornite alla comunità dei naturalisti e degli appassionati.
Maria Sybilla è imprenditrice. Colleziona insetti e altri animali raccolti nelle Americhe: il suo viaggio di ritorno è appesantito da decine di esemplari, che vanno da colture di bruchi che devono ancora trasformarsi a serpenti, rane, girini e perfino un caimano sotto alcol. Nel finale del libro diventa ancora più chiara l’abilità anticipatrice di una donna che sa che per essere veramente autonoma non può solo confidare nella propria sapienza e perizia artistica: deve essere anche capace di progettare stampe, incisione di lastre, sottoscrizioni, pubblicità in diversi paesi, per sostenere i costi gravosi delle imprese editoriali; deve fare opera di divulgazione e sfruttare l’interesse di scienziati e collezionisti per i reperti museali da lei raccolti in luoghi esotici.
Torresin ci conduce pure nella diffusione delle sue opere e nei luoghi dove oggi sono conservate, ricostruendo la catena che porta importanti originali nella nuova città all’europea fondata da Pietro il Grande sul delta della Neva, San Pietroburgo.
Enuncia Torresin una formula che definisce Maria Sybilla: “Osare, affrontare rischi e disagi, competere: in altre parole, sfidare la condizione del proprio sesso”. Ricorda come lei sia stata precorritrice, con il suo lavoro sul campo, come riconosce Goethe. “Maria Sybilla ha osato, a proprio rischio, e ha osato competere. È così pervenuta a una nuova maniera, a una pittura in cui arte e scienza si integrano vicendevolmente, in un movimento oscillatorio dall’una verso l’altra, senza che alcuna prevalga o in modo che entrambe prevalgano”. E conclude notando come, per quanto le sue ragioni non si riducano alla sola soddisfazione economica, “la sua arte è anche un’impresa, il suo atelier un’azienda”.
Maria Sybilla ha forzato le convenzioni sociali dell’epoca, ha viaggiato moltissimo tra paesi, credenze, popoli, “fino alla fine fedele alla dedizione con la quale ha osservato la natura e al virtuosismo pieno di eleganza e di meraviglia con il quale si è votata a riprodurla in un irripetibile punto di equilibrio tra arte e scienza”. Rivelandosi donna, artista, studiosa modernissima.
Brunella Torresin, Nel gran teatro della natura. Maria Sybilla Merian donna d’arte e di scienza (1647-1717), Bologna, Pendragon, p.234, euro 18.