Muri

7 Marzo 2016

«Qual è stata la prima separazione tra gli uomini se non un muro? I muri, o piuttosto i solidi cumuli di massi dei nostri antenati preistorici erano ovviamente muri di difesa. Era una questione di vita o di morte, bisognava difendere l'ingresso della caverna dagli intrusi: grossi animali di ogni specie, affamatissimi, e certamente, ben presto, altri uomini». Questo è l'incipit di un libro recente, gradevole nella forma e decisamente interessante nel contenuto, dal titolo schietto e deciso: Muri (Claude Quétel, Muri. Un'altra storia fatta dagli uomini, Torino, Bollati Boringhieri, 2013. Ed. orig. francese Murs. Une autre histoire des hommes, Paris, Perrin, 2012). L'autore, Claude Quétel, è stato invitato nella vicina Verbania a parlare al Festival Letteraltura 2016, che si terrà l'ultimo fine settimana di giugno e sarà dedicato proprio ai muri, in senso non soltanto alpinistico.

 

 

Muri, porte, ponti

Il principio del muro è la difesa, nel caso della fortezza come in quello della casa, ma all'autore, in questo libro, non interessano né le pareti domestiche né le mura della prigione. A Quétel interessano i muri politici, che controllano, creano limiti e barriere, escludono e vietano. L'esempio più famoso è il Muro di Berlino, diventato per noi un modello – e infatti è l'unico a scriversi con la maiuscola – anche se molti ce ne sono stati, fin dalla più remota antichità. È proprio di ogni società chiudersi nei confronti degli altri e nel contempo aprirsi: chi si chiude e basta muore, chi si apre completamente perde la propria identità. Lo scriveva in un saggio del 1909 (Brücke und Tür, Ponte e porta) il sociologo berlinese Georg Simmel, notando che chiusura e apertura si presentano sempre contemporaneamente e definiscono ogni agire umano. In senso materiale come in senso spirituale siamo in ogni momento coloro che dividono l'unito o uniscono il diviso, perché l'uomo è l'essere unificante che deve sempre separare e che senza separare non può unire. Simmel chiarisce il proprio pensiero tramite l'analogia con il ponte, che pone l'accento sull'unire, il muro, che insiste sul separare, e la porta, che rappresenta il fatto che l'unire e il separare sono le due facce dello stesso atto.

 

Muri di esclusione e inclusione

Se il muro è interrotto da porte in grado di aprirsi potrà assolvere a questa positiva funzione. Ma i muri politici non sono così nobili, al contrario: la loro specialità consiste nell'includere da una parte, ritagliando una fetta di territorio dalla continuità dello spazio e dandole la forma di una speciale unità, ed escludere e respingere ciò che si trova al di fuori, vedi i muri delle gated communities che recingono interi quartieri residenziali per ricchi, inglobando spesso impunemente strade e spazi pubblici.

 

La contraddizione dei muri

Ma non ci troviamo qui di fronte a un'ennesima contraddizione del nostro tempo? I muri delle nostre nazioni e perfino delle nostre case diventano sempre più bucherellati e porosi, nel senso che fanno entrare informazioni e notizie da tutto il mondo, permettendoci di comunicare in contemporanea con luoghi remoti della terra e del cielo e di creare connessioni economiche, politiche, culturali ecc. (si chiama globalizzazione). E di fronte a questo sgretolarsi di muri e barriere che fa entrare notizie e merci che cosa facciamo? Costruiamo nuovi muri di cemento e filo spinato, altro che sassi e mattoni, per tener fuori le persone. Ma questi due elementi sono anch'essi interdipendenti, perché le notizie sul nostro modo di vivere tutto sommato agiato e tranquillo arrivano anche nei paesi che di questi privilegi non godono e spingono i loro abitanti all'emigrazione.

 

Muri contro l'immigrazione

I muri descritti nel libro di Quétel vanno dalla Grande Muraglia Cinese alle mura del ghetto ebraico; dal muro di Berlino al muro tra le due Coree, dalla linea verde di Cipro al muro di Israele in Cisgiordania a quello egiziano a Gaza. Ma Quétel affronta anche il problema dei muri contro l'immigrazione, citando il «muro di Bush» tra Stati Uniti e Messico, le barriere di Ceuta e Melilla in Marocco, il muro tra il ricco e politicamente stabile stato africano del Botzwana e il poverissimo e corrottissimo Zimbawe. Non poteva ancora sapere, ma immagino non ne sia per nulla stupito, delle barriere anti-migranti fatte erigere dal governo ungherese al confine con Serbia e Croazia e di altre che ogni giorno spuntano in tanti paesi europei.

 

C'è migrante e migrante

Alcune anime belle introducono criteri di discernimento nel fiume dei poveracci: i migranti «economici» che fuggono dalla disperazione della miseria no; i profughi che cercano di lasciarsi alle spalle la guerra sì. E caduto un muro se ne erge subito un altro, come la terribile barriera di cemento e filo spinato che il governo turco sta facendo costruire, ogni giorno, mentre noi siamo qui a leggere, al confine tra Turchia e Siria, e dove si aprono talvolta delle «porte» che però di fatto sono chiuse.

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