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Occhio rotondo 5. Buco
Un buco nella rete. La fotografia s’intitola: Portrait of Space, Al Bulwyeb, Near Siwa. L’ha scattata Lee Miller nel corso della sua permanenza in Egitto, dove ha sposato un uomo d’affari di quel paese. Cosa raffigura? Uno strappo, un buco, un’apertura, una breccia, uno spiraglio, per quanto il suo titolo sia eloquente: Ritratto dello spazio.
Lo spazio dietro il tessuto sfilacciato è il deserto che Lee attraversa in quell’anno, il 1937, avanti e indietro in compagnia di uomini: amici e amanti. La reticella lacerata è probabilmente una protezione contro gli insetti, una difesa che impedisce alle creature quasi invisibili che abitano l’aria in quel luogo, in apparenza disabitato, di entrare nello spazio in cui ci si riposa. Lo spazio dentro e lo spazio fuori. Quello che Lee Miller ha fotografato è dunque un buco. Ma che cos’è un buco?
Un buco non è né una cavità né una rientranza, non è una fessura o una fenditura, e non è un foro e neppure una cavità, tutte entità simili al buco, ma che buchi non lo sono. Di cosa è fatto un buco? Di niente? Forse è un’assenza? Ma come si vede in questa immagine della fotografa americana amata da Man Ray i buchi sono spaziosi, sia che appaiano piccoli, sia che siano come in questo caso grandi.
I topologi, cioè gli studiosi dello spazio, sostengono che i buchi sono oggetti immateriali situati sulla superficie di oggetti materiali. Davvero una definizione suggestiva. Probabilmente Lee Miller è stata attratta dallo strappo che s’era prodotto nel reticolo fitto, strappo che slabbrava la reticella e ne faceva svolazzare i bordi – i bordi del buco – nell’aria calda del deserto. Ad attirare la sua attenzione è anche quella cornice fissata in alto, sopra la trama del tessuto, che contiene a sua volta tessuto. Un riquadro, un quadro a sua volta vuoto, ma non bucato. Si può pensare però che sia stata la lacerazione a fermare il suo sguardo e a pensare di inquadrarla nel mirino della sua macchina fotografica. Un simbolo? Una metafora? Forse. Di certo in quel momento della sua vita Lee era alla ricerca di un buco, una fessura, un pertugio nella rete che avvolgeva la sua esistenza.
L’inquietudine di Lee Miller è uno degli aspetti che più colpiscono nella sua vita di modella, fotografa, artista e scrittrice, un’apprensione o un’ansia che la tallona da vicino, e qualche volta pure la precede: da modella top degli anni Venti a musa di Man Ray, da fotografa surrealista a fotografa di moda, da New York a Parigi, da Parigi a New York. Tanti uomini l’hanno amata, e tanti ne ha amati lei. Una passione che le faceva incontrare, sia come artista che come inviata di guerra nel secondo conflitto mondiale, immersa nella vasca da bagno di Hitler a Monaco piuttosto che nei campi di sterminio nazisti appena liberati, la propria stessa apprensione.
C’è un verso di Eugenio Montale che sembra parlare della medesima situazione: “Cerca una maglia rotta nella rete/che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!” (“In limine”, Ossi di seppia). Forse quel buco nel tessuto fitto del ricovero ha un altro significato. Difficile dirlo. Fa pensare, per analogia a un’altra fotografia scattata molti anni dopo da Luigi Ghirri ne in uno dei luoghi che lui frequentava da ragazzo: una fabbrica abbandonata.
Copyright Eredi Luigi Ghirri
Raffigura la rete d’una recinzione entro cui è stato ricavato un buco circondato da una cornice. Dentro il buco, o meglio a cavallo del riquadro vuoto, c’è uno straccio per pulire i pavimenti. Dietro la rete si scorgono uno spiazzo, un mucchio di sabbia e alcune costruzioni industriali. È lo stesso buco ma non è lo stesso buco. Cercavano di dire la medesima cosa Lee Miller e Luigi Ghirri? Difficile dirlo. I buchi, hanno scritto due filosofi che se ne sono occupati, non vivono senza i loro ospiti, senza i nostri occhi che li guardano e le nostre mani che li tastano. O, possiamo dire, senza i fotografi che li ritraggono.
Lee Miller, Portrait of Space, Al Bulwayeb, Near Siwa, Egypt 1937 by Lee Miller (E1905)
© Lee Miller Archives England 2022. All Rights Reserved. www.leemiller.co.uk
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