Preferisco di no
Patria? “Preferisco di no”. Neppure nella versione attenuata, ragionevole e gentile di Primo Levi, che vede nel “morire in patria” un “modo di morire per la patria”.Qui, mi pare, è il nucleo centrale del suo ragionamento. Ma attenzione: il pacato ragionare di Levi si potrebbe increspare fino a prendere una insospettata tonalità radicale. Cominciamo col dire che quotidianità e sacrificio si corrispondono: se ognuno di noi riesce a “morire in patria”, e cioè a resistere nei suoi soffocanti confini, a galleggiare quotidianamente nelle sue acque fetide, se riusciamo in questo minimo e pur difficile intento, che è comune, ordinario, e al tempo stesso eroico, cioè non scappare, allora saremo capaci di “morire per la patria”. Andiamo appena un po’ più avanti lungo la linea tracciata dalle parole di Levi. C’è un’ulteriore conseguenza che probabilmente Primo Levi non avrebbe mai tratto, ma noi, estenuati dalle reiterate esecuzioni del nostro inno nazionale, dalle mani sul cuore, persino dalle “patriottiche” apparizioni del grande Roberto Benigni, noi possiamo farlo, arrivando forse a dire che vivere in “patria” equivale a morirne. È troppo?
Leggere, interpretare un testo è sempre una forma di alterazione, ma è bene non esagerare. Tuttavia continuo a sentir risuonare nelle parole di Levi una tragica impotenza (“Non la voglio né la posso lasciare”) insieme all’impaccio in cui si trova chi non collima con l’idea di Patria, che, in Levi, è un vincolo della memoria più che un vivo organismo. La sua Patria è tutta al passato. Non c’è presente, e forse neppure futuro. Nessun inno, credo, potrebbe rigenerarne il senso. L’ebreo Levi ricorda bene che a espellerlo dalla Patria furono dei suoi e dei nostri compatrioti, gli “italiani brava gente” che promulgarono le leggi del ’38, di cui Levi ventenne fu vittima; poi lo arrestarono indirizzandolo verso Fossoli e successivamente verso il campo di Auschwitz. Dalla Patria Levi fu espulso, messo fuori. E la Patria in cui poi torna da sopravvissuto è soltanto la terra che gli resta, sopravvissuta anch’essa. E questa è probabilmente l’idea di Patria che Primo Levi ci consegna: la terra che ci resta. Potrebbe anche essere un possibile punto di partenza per ridisegnare la mappa dei nostri legami e forse dei nostri ideali.