Presentazione Antologia della letteratura italiana

18 Febbraio 2011

Nell' Epilogo di una recente e autorevole Storia della letteratura italiana, si legge: «L’Italia non ci sarebbe se non ci fosse stata la sua letteratura. Se non ci fosse stata la sua letteratura, questo paese sarebbe l'"espressione geografica", con cui lo definiva sprezzantemente il principe di Metternich». Oltre che di una ultimativa professione di fede nel taumaturgico, sciamanico potere della letteratura di tenere insieme una nazione altrimenti prossima al disfacimento, si tratta, a ben vedere, di un'apodittica ratifica di quanto sappiamo ormai bene. Del costitutivo mandato identitario nazionale devoluto alla letteratura italiana, alla sua trasmissione e soprattutto al suo insegnamento, del resto, si è abbondantemente scritto. Probabilmente, semmai, non si sono ancora ponderate a sufficienza le conseguenze che questa gravosa mansione di educazione nazionale ha determinato sulla letteratura stessa, sulla sua ricezione, sulla selezione del canone, perfino sulla sua comprensione.

 

A oppugnare Metternich dalla roccaforte munita della letteratura nazionale, ci aveva comunque pensato, centotrentacinque anni prima, Giosuè Carducci. Il quale, rettificando la già allora proverbiale dittologia (e facendolo da una posizione indubbiamente strategica: Presso la tomba di Francesco Petrarca) ammoniva: l'Italia, piuttosto che un'espressione geografica, è «un'espressione letteraria». Difficile, per una volta, dare torto al Vate, nonché, in definitiva, al sopracitato storico della letteratura. Tuttavia, tralasciando il fatto che, nell'Italia del tempo presente, una battuta come quella del celebre cancelliere asburgico la si potrebbe considerare lunsinghiera e benevola, piuttosto che sprezzante (sarebbe rassicurante, al tempo della Lega nord e di scuole pubbliche etniche marchiate col sole delle Alpi, sapere che l’Italia è ancora quantomeno un’espressione geografica) anche in quanto "espressione geografica", la sciagurata patria ha contratto un debito originario con la letteratura.

 

Se si volessero declinare con zelo bulimico queste premesse, una cernita esauriente di tutte le opere del canone letterario nazionale che hanno evocato, nominato, o genericamente rimandato all’Italia, ovvero che ne hanno indicato i confini, illustrato l'orografia, celebrato il paesaggio, nonché di quelle che, nel tempo, dell'Italia hanno concorso a educare i cittadini e a nazionalizzare il loro immaginario, a descrivere i loro costumi e il loro presunto carattere; un censimento di tale sorta, si diceva, dovrebbe prevedere, forse, un esito borgesiano. Pressoché tutta la letteratura italiana ha a che fare, pure in misura difforme, con la questione nazionale. Questa antologia, più ragionevolmente e più modestamente, propone un compendio di testi selezionati -con criterio affatto opinabile e tutt'altro che esauriente- lungo un paio di direttive di ricerca, che si delineano con chiarezza (quantomeno così si auspica) in una prospettiva storica di lunga, lunghissima durata: dal Duecento al Duemila (e che, volendo, tengono insieme, salomonicamente, Metternich e Carducci). Una è quella della fondazione letteraria dell’identità italiana: dalla sua codificazione lirica e retorica all'illustrazione dell'antropologia dei suoi abitanti nella narrativa e nella trattatistica. L’altra, non altrettanto continua ma non meno significativa, è quella che, non senza approssimazione, potremmo definire geografico-letteraria.

 

La successione dei testi pubblicati non seguirà un ordine storico, tantomeno cronologico; piuttosto concederà qualcosa, se non al caso, all'arbitrio: il gioco, si spera non ozioso, di rimettere insieme i pezzi o di confonderli in modo diverso, di accostarli e di discernerli, è affidato ai lettori.

 

In copertina: Andrea Appiani, Ritratto di Ugo Foscolo, 1801 - 1802 ©Pinacoteca di Brera, Milano – MiC

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