Primo Levi e il pastore luterano

27 Gennaio 2023

Nel 1975 Primo Levi va in pensione dalla SIVA, la fabbrica di vernici dove ha lavorato per trent’anni. Gli cresce il tempo libero come scrive a Luciano Foà, che ha fondato negli anni Sessanta Adelphi. Foà è stata una persona importante per Levi dal momento che grazie alla sua tenacia, e a quella di Paolo Boringhieri, Einaudi ha ristampato Se questo è un uomo con l’appoggio di Italo Calvino, uno dei primi recensori della edizione De Silva nel 1947 sulle colonne de “L’Unità”. Calvino e Foà sono stati iscritti alla sezione comunista della casa editrice torinese fino al 1956-7. Dopo l’invasione dei carri armati sovietici a Budapest sono usciti dal PCI come molti altri intellettuali italiani. Ma non è solo per questi intrecci che Primo si rivolge a Luciano Foà.

L’editore di Adelphi, ex segretario generale dell’Einaudi, succeduto a Cesare Pavese dopo il suicidio, è anche un traduttore dal tedesco e da altre lingue. Da quando ha fondato Adelphi all’inizio degli anni Sessanta ha via via tradotto vari autori: Goethe, Kafka, Walser, Konrad Lorenz, Hoffmansthal, ma anche Aldous Huxley e Norman Douglas; in particolare i libri di Joseph Royh sono stati direttamente tradotti o rivisti da lui (qualche volta) con lo pseudonimo di Luciano Fabbri. 

L’ex chimico torinese si propone come traduttore e in una lettera del 22 agosto di quell’anno a Foà suggerisce di acquisire i diritti di un libro di Jacob Presser, uno storico olandese morto qualche anno prima: Die Nacht der Girondisten. Nella missiva gli spiega di cosa si tratta: una vicenda avvenuta nel 1943 nel campo di smistamento di Westerbork in Olanda, punto di raccolta degli ebrei diretti poi al campo di sterminio di Auschwitz. La proposta viene accolta e la traduzione esce da Adelphi l’anno seguente. La prefazione redatta da Levi sarà uno dei primi testi in cui lo scrittore e testimone espone in modo esplicito il concetto di “zona grigia”, un tema che nella lettera a Foà non è tuttavia presentato come tale.

Scrive Levi, “il nodo del libro è nel contrasto tra l’educazione raffinata del personaggio e il mondo disumano e abietto in cui viene precipitato e da cui si redime”. Si riferisce al protagonista della vicenda, che è ispirata a fatti accaduti, per quanto si tratti di un libro d’invenzione romanzesca. La cosa interessante è che il concetto di “zona grigia”, su cui si regge il libro più importante di Levi, I sommersi e i salvati (1986), prende sviluppo da un romanzo e si alimenta anche di un’altra vicenda che ha interessato molto il chimico torinese, quella di Chaim Rumkowski, altro personaggio realmente esistito, raccontato da Levi stesso in un articolo di giornale e anche da altri narratori, tra cui Saul Bellow, da cui Levi ha preso ispirazione.

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C’è anche un altro piccolo mistero riguardo a questa traduzione di Presser: il libro è reso dal tedesco da Levi per quanto sia stato pubblicato inizialmente in olandese. Di questa vicenda, che ha interessato vari studiosi di Levi, ho scritto in un capitolo del mio libro Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda 2015), raccontando come lo scrittore abbia proceduto alla traduzione e chi gli aveva indicato il volume passato. Nello scambio di lettere con Foà, riguardo a libri da tradurre, Levi non nomina solo Presser; si riferisce infatti un pastore evangelico, Albrecht Goes autore di Das Löffelchen (Il cucchiaino) uscito nel 1965 presso Fischer Verlag. Nella sua lettera Levi spiega che a suo avviso si tratta di un libro “nella linea Adelphi”, e lo tradurrebbe lui stesso.

Albrecht Goes è un pastore luterano nato nel 1908 in una canonica di Langenbeutingen, figlio e nipote di pastori. Ha studiato poi teologia ed è entrato in contatto con Romano Guardini, il sacerdote e teologo di origine italiana importante figura del cattolicesimo tedesco. Goes è ordinato sacerdote nel 1930 e diventa subito parroco in un piccolo paese. Si sposa e ha tre figlie femmine. In quegli anni comincia a scrivere poesie che pubblica in volume negli anni dell’avvento del nazismo, cosa che in seguito susciterà qualche perplessità. Come ha scritto Enea Balmas nella prefazione a un suo libro questo pastore luterano fu “anche un suddito obbediente del Terzo Reich”. Nelle vesti di cappellano partecipa alla guerra di aggressione alla Polonia e poi alla Russia di Stalin. Segue le armate hitleriane nella loro iniziale marcia trionfale fino dentro i territori russi. Ha così modo di riflettere sulla guerra e sul “suo essere lì con altri, in uniforme, a servire la guerra nazista”. Da questa esperienza il poeta si trasformerà in un narratore con tre opere davvero straordinarie, come ha compreso Primo Levi.  

Goes non è un autore sconosciuto alla editoria italiana. Un suo libro è stato tradotto nel 1959 da Einaudi con il titolo Prima dell’alba; la versione italiana è di Ruth Leiser Fortini, moglie del poeta e saggista Franco, consulente Einaudi. Contiene due racconti lunghi: Unruhige Nacht e Das Brandopfer. In realtà Unruhige Nacht è quasi un romanzo. Si può supporre che Levi l’abbia letto, dal momento che il contenuto dei due testi narrativi rientra tra i suoi interessi; la narrativa tedesca degli anni Cinquanta che tratta i temi del nazismo, del conflitto bellico e della persecuzione degli ebrei è rara. Il primo testo di Goes racconta la storia di un pastore evangelico che svolge le funzioni di cappellano militare ed è chiamato ad assistere un condannato a morte per diserzione nel 1942.

Siamo sul fronte russo nel momento della battaglia di Stalingrado e il pastore di idee antinaziste racconta la condizione dei soldati tedeschi in Ucraina, da cui partono gli aerei dell’assedio. Si tratta di un racconto del 1950 che ha colpito Levi anche per l’aspetto umano. L’altro è invece un testo del 1955 e ha come protagonista una donna, una macellaia tedesca, cui viene dato l’incarico di gestire il suo negozio durante le prime persecuzioni naziste degli ebrei; deve servire la popolazione con la stella di David cucita sull’abito. Il titolo tradotto in italiano è Olocausto o Sacrificio del fuoco, come è stato reso in una successiva traduzione. Si tratta di una storia che mostra la particolare sensibilità che Albrecht Goes nutre verso gli esseri umani; meglio, nel giudicare gli esseri umani, aspetto che Levi aveva già colto nei racconti editi da Einaudi.

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Ora non è certo che sia stato Levi a proporre questo volume, anzi è probabile di no. L’uscita di Unruhige Nacht (Notte inquieta, Trad. it. Marcos y Marcos, 2018) in Germania fu un grande successo editoriale – tradotto in 18 paesi ne fu tratto anche un film nel 1958, regista Falk Harnack. È abbastanza probabile che la decisione della traduzione fu presa su indicazione dei germanisti consulenti dell’Einaudi, forse Cesare Cases o forse lo stesso Franco Fortini su indicazione della moglie tedesca. Levi entrò in contatto con Goes, come testimonia una sua lettera riportata da Martina Mengoni nel libro I sommersi e i salvati di Primo Levi. Storia di un libro (Quodlibet).

Goes scrive per primo a Levi e gli invia un suo libro, e nel marzo del 1962 il chimico torinese, autore di un solo libro, scrive una lettera in francese a Goes non conoscendo bene, come dice nella missiva, il tedesco. Sarà infatti solo a partir dal 1966, quando inizierà a corrispondere con Hety Schmitt-Maass, a perfezionare il suo tedesco grazie all’aiuto della sua interlocutrice, che prenderà l’abitudine di rimandargli le lettere scritte in tedesco corrette. Intorno a questa relazione epistolare, così importante ho scritto qui. Sarà infatti questa donna, figlia di un antinazista tedesco, internato in un campo nazista, a insegnargli il tedesco nello scambio che durerà fino al 1983. 

Il libro ricevuto da Goes è probabilmente lo stesso pubblicato in italiano da Einaudi, in versione tedesca, poiché cita i due racconti con i loro titoli originali nella lettera, sui quali esprime un parere molto favorevole all’interlocutore. Il cucchiaino, il terzo magnifico libro di Goes, sarà pubblicato in Germania solo nel 1966, quattro anni dopo. A Foà Levi scriverà nel 1977 che proprio in quell’anno, il 1966, questo racconto era stato proposto ad Einaudi da lui o da una altra persona, non lo ricordava bene, ma era stato rifiutato dall’editore. Goes è dunque uno degli scrittori tedeschi contemporanei cui il chimico torinese s’interessa a più riprese. C’è un altro aspetto che lega i due, come ha ricostruito Mengoni nel suo volume: l’inclusione di due parti di Se questo è un uomo in un libro curato dal pastore luterano intitolato Erkennst du deinen Bruder nichts? (Verlag Mensch und Arbeit, München 1964), un’antologia molto particolare, edita infatti dalla rivista aziendale della Hoesch AG, una grande acciaieria della Ruhr, spiega Mengoni, che fu una delle aziende che avevano finanziato l’ascesa di Hitler nel 1933. 

Il destino editoriale di Goes non è stato molto fortunato in Italia. All’uscita nel 1959 di Prima dell’alba apparvero tuttavia su “La Stampa” di Torino due ampi articoli. Uno è una recensione di Franco Antonicelli, editore di Se questo è un uomo, intitolata come il volume: Prima dell’alba. Si tratta in buona parte di un riassunto della storia del primo racconto e il giudizio di Antonicelli non verte tanto sul valore letterario del testo ma su quello etico: “Storie del genere di queste raccontate dal Goes se ne sono lette molte e qualche volta ci si sente stanchi, ma bisogna avere il coraggio di dire a se stessi: non essere stanco. Per questo il pastore Goes ha scritto il suo libro, il cui senso e pregio vanno oltre i meriti, pur notevoli, dell’arte, viva, scaltrita, se non complessa: perché la verità fino in fondo illumini la coscienza e aiuti a salvarla”. È un peccato che Antonicelli non si soffermi sullo stile di Goes, che meritava senza dubbio un’attenzione specifica.

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L’altro articolo è invece una intervista all’autore condotta da Enzo Biagi: La Germania vent’anni dopo. Chi renderà conto di questi morti? Si chiede nell’angoscia il pastore Goes. Il giornalista bolognese è andato a trovarlo a Stoccarda e ne racconta la storia sotto le armi come cappellano militare, poi la vicenda del soldato Baranowski disertore, protagonista di uno dei due racconti editi da Einaudi, da cui traspare l’esperienza personale di Goes nelle file della Wehrmacht. Anche in questo articolo, molto attento nel descrivere la personalità dell’autore, l’aspetto etico prevale su quello letterario. Nel corso degli anni le due opere comprese in Prima dell’alba hanno avuto poi diverse edizioni.

Nel 1990 le edizioni Linea d’ombra hanno ripubblicato Das Brandopfer con il titolo Vittima nella medesima traduzione di Ruth Leiser; lo stesso libro nel 2017 è riapparso presso la casa Editrice Giuntina con il titolo: Il sacrificio del fuoco. L’ha tradotto Giada D’Elia e presentato Anna Ruchat, germanista e poetessa, che rammenta nel suo breve scritto l’attenzione riservata da Nelly Sachs, Premio Nobel per la letteratura nel 1966, al lavoro letterario di Albrecht Goes. Sachs ha scritto una breve testo di presentazione del volume al momento della sua pubblicazione in Germania nel 1954, in cui mostra i temi biblici presenti nel racconto, riprodotto nella edizione italiana. 

Il sacrificio del fuoco si svolge su due piani temporali: il presente in cui la voce narrante rievoca quanto accadde in Germania durante il nazismo e il racconto in presa diretta della protagonista negli anni Trenta. Questo doppio sviluppo della storia non si coglie immediatamente, fino a quando il narratore in prima persona si rivela: un assistente di biblioteca che ha abitato nella medesima casa della protagonista, la macellaia. La focalizzazione della storia poi ha un altro punto importante quando entra in scena una terza persona Sabine e quindi suo padre. La costruzione ad incastri funziona perfettamente sia sul piano letterario sia su quello della storia e dei significati che vuole veicolare.

Goes è senza dubbio un narratore morale, ma l’aspetto strutturale della storia ad incastri progressivi ha un ruolo importante: non appesantisce il racconto e amplifica i punti vista interni ed esterni alla storia della macellaia. Il sacrificio del fuoco appare un racconto più complesso di Notte inquieta, la vicenda del cappellano militare, per quanto quest’ultimo costituisca una testimonianza preziosa sul clima vissuto dai soldati tedeschi durante la campagna di Russia.  Contiene anche la formulazione etica del tema del “male minore”, su cui in seguito Hannah Arendt interverrà, seppure in modo differente. Bisogna tenere conto che Goes servì, come hanno ricordato diversi commentatori, nell’esercito di Hitler, fedele al suo giuramento di fedeltà, ma manifestando insieme una forma di dissenso verso la condizione di soldato tedesco. A un certo punto della narrazione il protagonista dice: “Bisogna sconsacrare la guerra”. 

Non sono stati molti i narratori tedeschi che negli anni Cinquanta presero posizione nel contesto di silenzio e indifferenza della narrativa tedesca di quel periodo, aspetto descritto da W. G. Sebald in un saggio dedicato a Jean Améry (Con gli occhi di un uccello notturno, raccolto in Tessiture del sogno, Adelphi). A questo proposito nella corrispondenza con Foà, nel gennaio del 1981 Levi invia all’editore di Adelphi il primo capitolo da lui tradotto di quel libro di Améry, che sarà intitolato in edizione italiana Intellettuale ad Auschwitz; suggerisce di tradurne altri due, ma incaricando altri perché non sa dirgli se sarà disponibile a completare la traduzione. In quel momento Levi sta scrivendo le ultime parti di I sommersi e i salvati, in cui un capitolo sarà proprio dedicato ad Améry.

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Il libro poi apparirà non da Adelphi, e neppure da Einaudi, ma da Bollati Boringhieri nel 1987 per la traduzione di Enrico Ganni. Nel 1951 era uscito un romanzo di Heinrich Böll, Dov’eri, Adamo?, di recente ristampato da Mondadori per la traduzione di Anna Ruchat e postfazione di Alberto Cavaglion: lì lo scrittore aveva affrontato l’argomento della guerra vista con gli occhi di un soldato della Wehrmacht, Feinhals, un architetto che combatte sul fronte orientale. Tra il futuro Premio Nobel, allora al suo debutto con il primo libro, e il pastore luterano vi sono diversi punti in comune. 

Il terzo libro di Albrecht Goes, di cui scrive Primo Levi a Foà, rappresenta un altro tassello della narrativa tedesca degli anni Cinquanta, in cui il tema che sta a cuore all’autore di Se questo è un uomo, la responsabilità dei tedeschi, viene trattato. Il cucchiaino è stato pubblicato nella nostra lingua solo nel 1971 dall’editrice evangelica italiana Claudiana nella versione di Roberto Isenburg e con l’introduzione di Enea Balmas; comprende anche altri tre brevi racconti-testimonianza di Goes. Il tono narrativo di questo racconto lungo è piano e ricorda lo stile dei narratori realisti ottocenteschi; fa pensare ai racconti di vita militare di Guy de Maupassant e al realismo borghese della narrativa tedesca, al grande modello di Thomas Mann, per quanto lo stile preponderante sia quello della novella e non del romanzo. La storia si svolge in un ospedale militare anche questo posto nelle zone di guerra, in Ucraina; nella clinica militare viene introdotto con il beneplacito della direzione e dei medici quale tecnico delle caldaie un ebreo ucraino: vi svolge una funzione vitale per i ricoverati e il personale. 

Anche in questo testo Goes gioca con i tempi verbali per costruire la figura del narratore tra passato e presente, per dargli un rilievo senza insistere sulla sua presenza nella storia: un narratore-testimone che conferisce al racconto un andamento tranquillo, pur nella tragicità della storia. Si tratta di un narratore non onnisciente, piuttosto di un narratore che raccoglie le testimonianze degli altri, perché la realtà, pur nel suo svolgimento semplice, è troppo complessa per poterla dominare tutta insieme. La voce narrante è parte della storia, tuttavia non la conosce interamente, ma per farlo deve provare a raccontarla.

Il cucchiaio è una posata d’argento che costituisce l’oggetto topico, il simbolo stesso della vicenda, oggetto prezioso e unico, come unica è la storia di Stefan, l’ebreo ucraino, e del figlio, cui il cucchiaino è destinato. Scrivendo nel 1962 a Goes, Levi sottolinea come si tratti non solo di letteratura: “è carne e sangue, scritte da un uomo per gli uomini”. Ora a distanza di decenni possiamo aggiungere che si tratta di buoni racconti, come sottolinea Levi stesso, perché come quelli del chimico torinese sono testi letterari; per questo testimonianze credibili dell’epoca e dei fatti narrati. 

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Immagine di copertina, Fotografia header: Getty Editorial.

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