Prugnolo
Certo: il foliage. Gialli e rossi infiammano la nostra idea di autunno. Tuttavia, per annunciare il freddo incipiente, la stagione delle brume si tinge anche di blu. In giardino, le stelline del Ceratostigma wilmottianum, o del più usuale C. plumbaginoides, brillano di blu Cina, sfoggiato con classe millenaria e consapevole alterigia nei confronti dell’artificiale vernice da poco salita agli onori della bassa cronaca.
Ma, nelle passeggiate campestri, a catturare lo sguardo è l’indaco intenso, che sprofonda nel nero, di tonde coccole spiccanti tra il lucido verde delle foglie e il fitto intrico dei rami. Sono le drupe dei prugnoli (Prunus spinosa), gli arbusti d’origine asiatica diffusi ovunque, tipici delle siepi miste per l’indole irta, graffiante, giusta l’allerta dell’aggettivo classificatorio. Perciò strategici rifugi per nidiacei cui offrono difesa e cibo. Parenti selvatici dei susini e a questi simili nel colore dei frutti pruinosi, ma altrimenti piccoli e allappanti, sono più gradevoli se colti ammezziti dal gelo.
I versi di Jan Wagner li fissano in un’istantanea vivissima, sull’orlo di immaginate vertigini cosmiche. La poesia a loro intitolata – schlehen (prugnolo), nel tedesco «quasi libero da vocali» – viene dalla raccolta Regentonnenvariationen (Variazioni sul barile dell’acqua piovana, Einaudi 2019):
cosa era così blu come sere d’autunno
o nero come una bibbia? sospeso tra veli brumosi,
tra acquazzoni d’ottobre, così asprigno
da far contrarre ogni cosa? I prugnoli spinosi.
gli muovevamo incontro dopo il primo gelo
al limite del bosco: di arbusto in arbusto, barbari
barricati dietro le spine – e il suolo
ghiacciato, dove ci inginocchiavamo a cercare
le bacche, la loro tenera buccia damas-
cata, per infilarci la mano con cura,
tastando come il dubbioso tommaso
la ferita, si divagava, di tempo ce n’era
fin troppo per pensare ad altro – all’osmosi,
al prossimo compito in classe, a calze di nylon,
al seno di nina wriggers e al cosmo
che prima o poi, in un futuro non
lontano, avrebbe raggiunto il suo margine
il punto della sua massima espansione,
per poi cominciare a ridursi, cielo,
paesi, scuola e città, noi stessi, finché il mondo
intero non penzolasse che da un rametto: prugnolo.
naturalmente ogni secchio pesava, ricolmo
di blu profondo. dietro noi gli arbusti –
un testo quasi libero da vocali,
un groviglio, svolazzi di penna fortuiti.
il resto lo lasciammo agli uccelli.
Perché raccoglierle? Con le prugnole si possono fare marmellate, bibite, ottime acqueviti e digestivi, come il basco Patxaran a cui conferiscono il vivace colore vermiglio. In altri e più ecologici tempi la corteccia era usata proprio per colorare di carminio anche lane e tessuti.
Seamus Heaney prende in consegna il secchio di prugnole di Jan Wagner e ce le offre trasformate in un gin dal sentore penetrante, per un brindisi amoroso e sensuale. La poesia Gin di prugnolo è nella silloge del 1984 Station Island (Mondadori 2016):
Il tempo chiaro del ginepro
scurito in quello invernale.
Lei ha nutrito le prugnole di gin
e sigillato il barattolo di vetro.
Quando l’ho svitato
ho sentito l’afrore
agro e immoto di un cespuglio
diffondersi nella dispensa.
Quando l’ho versato
aveva una punta tagliente
e ardeva
come Betelgeuse.
Bevo alla tua salute
con le prugnole nero-blu
affumicate e lucide,
amare e affidabili.
I prugnoli vivono anche un altro momento di gloria. Tra febbraio e marzo gli stecchi nudi e scuri si coprono di fioretti candidi, solitari, dal breve peduncolo, stretti gli uni agli altri a intrecciare nel vuoto dell’inverno finissimi merletti d’altare: cinque petali ovati, molti stami dai lunghi filamenti quali ciglia vezzose per un colpo d’occhio sorprendente. Il poeta polacco Zbigniew Herbert ne fa un esempio di resistenza, e li canta per il loro coraggio d’iniziare in una lirica a loro intitolata di Elegia per l’addio (L’epilogo della tempesta, Adelphi 2016). Eccone uno stralcio:
Prima che Prospero alzi la mano
il prugnolo dà inizio al concerto solista
nella sala fredda e vuota
questo cespuglio ai bordi delle strade spezza
la congiura dei prudenti
ed è
come i volontari giovani e belli
che muoiono il primo giorno di guerra nelle nuovissime uniformi.
[...]
Oh follia dei fiori bianchi innocenti
bufera accecante
cresta dell’onda
aubade con un breve tenace ostinato
aureola senza testa
sì prugnolo
un paio di battute
nella sala vuota
e dopo le note sparpagliate
giacciono tra pozzanghere e gramigne rossastre
perché nessuno ricordi
eppure qualcuno deve avere il coraggio
qualcuno deve iniziare
sì prugnolo
qualche battuta cristallina
questo è molto
questo è tutto
Solo dopo i fiori arriveranno le foglie alterne, ovoidali con dentatura poco marcata (margine crenato). Benché simili, e anch’essi appartenenti alla famiglia delle Rosaceae, non vanno confusi con i biancospini (Crataegus laevigata) che fioriscono in piena primavera portando corolle in corimbi e a foglie già dispiegate.
Arbusti dal portamento irregolare che talora prendono forma d’alberello per un’alzata di testa, un’inconsulta aspirazione verso l’alto, si incontrano ai margini dei boschi, lungo i viottoli di campagna o sui pendii aridi, nelle macchie o negli incolti. Durissimo, il legno è un combustibile formidabile, vi si fabbricavano pure i bastoncini dell’antico gioco della lippa.
Come il biancospino, è specie officinale: frutti foglie e fiori hanno proprietà astringenti, depurative, toniche e diuretiche, sono ottimi anche per curare raffreddori, mal di gola e persino per preparare cosmetici per pelli impure.
Se poi considerate che ai piedi di questo scapigliato arbusto in primavera, potreste raccogliere l’omonimo e profumato fungo (Calocybe gambosa), la festa è garantita. E se esagerate con il gin, una tisana di fiori di prugnolo vi rimetterà in sesto.