Se gli esami di maturità cadono su Calvino

17 Giugno 2015

Felice scelta, quella di proporre all’esame di maturità un brano di Italo Calvino. E significativa l’opzione per il suo romanzo d’esordio, quel Sentiero dei nidi di ragno che nel 1947 lo impone come uno dei giovani scrittori più dotati e promettenti: un romanzo di guerra, che cade bene nel settantesimo anniversario della Liberazione (a tacere del centenario della Grande Guerra, caduto lo scorso anno e destinato ad accompagnarci fino al 2018). Tuttavia la scelta del brano, e ancor più la cornice in cui è presentato, possono destare qualche perplessità. Vediamo di cosa si tratta.

 

La pagina scelta, tratta dal cap. I del Sentiero, conclude la parte introduttiva, cioè la presentazione del protagonista. Qui il tema è il suo isolamento rispetto ai coetanei: è un bambino che vive in strada, ha una sorella che si prostituisce, le madri del Carrugio Lungo non vogliono che i figli giochino con lui; per questo egli se ne sta con gli adulti, con i quali intrattiene rapporti complessi e controversi, in cui si mescolano attrazione e repulsione, complicità e malintesi, vicinanza ed estraneità. L’azione sta per prendere avvio. Pin, sulla soglia dell’osteria, si figura quello che sta per succedere quella sera, perché ogni sera è uguale all’altra: infatti l’ultimo periodo del brano è tutto al futuro (Pin entrerà, dirà cose oscene, canterà canzoni commoventi, inventerà scherzi e smorfie), un futuro abituale per un presente scontato e deludente. Ma questa volta le cose andranno in maniera diversa. Gli uomini dell’osteria non dànno retta a Pin, compresi come sono nella conversazione con un forestiero (un partigiano di cui non si saprà mai il nome); infastiditi, cercano di allontanare Pin, attizzandone la curiosità; il più facilone del gruppo, dopo aver pronunciato ad alta voce una parola che rischierà di costargli la vita, proprio perché Pin non sa cosa significhi (“Un gap? Che cosa sarà un gap?”), lo sfida a rubare la pistola del soldato tedesco che è tra i frequentatori della sorella. Sarà il furto della pistola a innescare il meccanismo dell’intreccio: il nascondimento nella tana di un ragno, l’arresto da parte dei fascisti, la fuga dalla prigione con il famoso partigiano Lupo Rosso, l’arrivo presso il distaccamento del Dritto, e tutto il resto.

 

Una bella pagina, senza dubbio. Però mi pare una pagina piuttosto difficile da interpretare, se non si è letto il romanzo per intero; tanto più che il testo del tema offre suggerimenti alquanto opinabili. Ecco i due principali: “Il sentimento di inadeguatezza di Pin e la sua difficoltà di ragazzino a collocarsi nel mondo sono temi esistenziali, comuni a tutte le generazioni” (Analisi del testo, 2.1); “Il sentiero dei nidi di ragno parla della seconda guerra mondiale e della lotta partigiana, ma racconta anche la vicenda universale di un ragazzino che passa drammaticamente dal mondo dell’infanzia a quello della maturità. Il brano si sofferma proprio su questo” (3. Interpretazione complessiva ed approfondimenti). Ora, se è vero che è comune vivere esperienze di disagio, frustrazione e incomprensione quando ci si affaccia al mondo adulto, la condizione di Pin non è affatto tipica, perché è socialmente emarginato: e, detto per inciso, è di questo che parla il brano (non del passaggio a una maturità che rimane, fino alla fine del romanzo, una prospettiva molto lontana). Pin è orfano, vive con una sorella prostituta, lavora nella bottega di un ciabattino che entra e esce di galera: la sua caratterizzazione avviene all’insegna della singolarità, dell’eccezionalità. Non mi sembra una grande idea dare come spunto interpretativo l’appiattimento di Pin sulle condizioni di un bambino “normale” – diciamo: di un bambino che ha qualcuno che si prende cura di lui (anche se nessun genitore è perfetto); che magari è timido o introverso, ma qualche amico fra i coetanei ce l’ha; che non ha abbandonato la scuola prima della licenza elementare; che non passa le serate in una bettola... Insomma, l’esercizio qui proposto, in buona sostanza, si presenta come l’accoppiamento di un regesto di fenomeni stilistici – “strategie retoriche come ripetizioni, enumerazioni, metafore […] usi morfologici e sintattici, scelte lessicali” (Analisi del testo, 2.2) – con un’interpretazione universalizzante e banalizzante, che toglie interesse al brano calviniano sollecitando divagazioni piuttosto generiche. Diciamolo chiaro: non è così che si analizza un testo.

 

O meglio: se uno studente di liceo venisse posto di fronte a questa pagina del Sentiero, senza l’ingombrante corredo delle istruzioni per l’analisi, e riuscisse, con i suoi soli mezzi, a risolverla così – cioè in chiave di rinvio a situazioni esistenziali comuni – be’, allora andrebbe benissimo: quello studente avrebbe dimostrato una certa capacità di istituire legami fra un brano letterario (per di più tratto da un’opera che probabilmente non conosce) e la propria esperienza – o altre esperienze. Va meno bene che sia l’istituzione scolastica a suggerire un tipo di interpretazione che, al di là dei paludamenti retorici, sa tanto di arte di arrangiarsi. E forse, chissà, uno studente più vispo, senza il condizionamento degli spunti esegetici ministeriali, potrebbe compiere scelte diverse, e soffermarsi su altri motivi pure presenti nel brano. Ad esempio, il “gusto amaro” che a volte lasciano “gli scherzi cattivi” (l’aggressività di Pin è direttamente proporzionale al suo bisogno d’affetto). O il ruolo educativo delle madri, che proibiscono ai figli di frequentare “quel ragazzo così maleducato” (fino a che punto è giusto che i genitori intervengano nella scelta delle amicizie?). O la spietata schiettezza dei rapporti nel mondo infantile (Pin viene regolarmente picchiato dai suoi meno maleducati coetanei). O il rapporto con gli emarginati. E tante altre cose ancora.

 

In verità le considerazioni più appropriate che si potrebbero fare su questo brano dovrebbero chiamare in causa la Prefazione 1964 al Sentiero, dove Calvino parla di Pin come di una proiezione di sé, a dispetto delle vistose differenze. Tema centrale, ovviamente, il disagio – ma forse bisognerebbe dire: il trauma – provocato dall’impatto con la guerra, dalla brusca immersione in una dura realtà popolare, dall’esperienza della violenza partigiana. “L’inferiorità di Pin come bambino di fronte all’incomprensibile mondo dei grandi corrisponde a quella che nella stessa situazione provavo io, come borghese. E la spregiudicatezza di Pin, per via della tanto vantata sua provenienza dal mondo della malavita, che lo fa sentire complice e quasi superiore verso ogni ‘fuori-legge’, corrisponde al modo ‘intellettuale’ d’essere all’altezza della situazione, di non meravigliarsi mai, di difendersi dalle emozioni”. Se uno studente è riuscito a cogliere questa connessione (cosa possibile solo avendo letto il libro per intero), allora avrà svolto il compito nel migliore dei modi. Nel frattempo, a noi non resta che auspicare una riforma della prova di italiano della maturità, e sperare che un giorno agli studenti venga chiesto di analizzare e commentare un brano con un po’ più di libertà. Quella libertà, a proposito,  di cui il protagonista del Sentiero dimostra di saper fare ottimo uso. L’ingresso nel mondo adulto rimane infatti un traguardo remoto: ma, strada facendo, Pin impara che nella vita ci sono scelte irreversibili, che equivalgono a spartiacque. Rubare la pistola, ad esempio; non tradire i compagni dell’osteria durante l’interrogatorio; svergognare pubblicamente il comandante della formazione partigiana... Il traguardo sarà ancora lontano, non potrebbe essere diversamente. Ma Pin ha imparato a camminare, e tutto il futuro è davanti a lui.

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