Sfrattiamo l’uomo dal centro del mondo
“Il giardino del mondo non ha limiti, eccetto nella tua mente”, canta un verso di Gialal al-Din Rumi, poeta e mistico persiano del tredicesimo secolo. Quello che possiamo fare è cambiare noi stessi come condizione per cambiare la nostra possibilità di continuare ad esistere in quanto specie tra le specie sul pianeta Terra. L’ambiente siamo noi, non è qualcosa che sta là fuori. L’osservatore e il sistema osservato coincidono. Anzi siamo diventati potenza geologica e prima causa della distruzione ambientale. Ciò vuol dire che stiamo tagliando il ramo su cui siamo seduti. Abbiamo impiegato tutto il tempo della nostra evoluzione fino ad ora per accorgercene. Qualcuno se ne è accorto prima degli altri. Sia della noosfera, che della semiosfera. Di cosa stiamo parlando? Come il feto modella il corpo della madre mentre da quel corpo e da quella mente è generato e alimentato, così noi umani, come organismi viventi abbiamo modellato da sempre gli ambienti di vita. Lo facevamo in piccole, medie o grandi aree finché eravamo di meno.
Lo sguardo di un uomo profondamente interessato alla vita come quello di Jurij M. Lotman, sempre curioso e soprattutto profondamente impegnato a interagire con l’“altro”, mentre ha approfondito la dialettica essenziale – per chi si riconosca in quella che egli ha definito “semiosfera” – tra il “proprio” (svoë) e l’“altrui” (cuzoe), ha mutuato dal concetto di biosfera di Vladimir Ivanovic Vernadskij, che a sua volta lo aveva ripreso dal geologo tedesco Franz Eduard Suess, la nozione di semiosfera. Così come Lotman ha ampliato la nozione di cultura, di discorso e di testo oltre l’ambito della creazione e ricezione di opere d’arte verbali e non, arrivando a considerare come testo qualunque manifestazione della cultura, fino a quello che chiamerà byt, le mode, i costumi, i giochi e tutte le forme di vita sociale, alla stessa maniera Vernadskij ha concepito e definito il concetto di “noosfera”.
La noosfera, analogamente ai termini atmosfera e biosfera, indica la sfera del pensiero umano, o meglio del mondo così come lo creiamo e concepiamo con la nostra mente. Da νοῦς – nous (mente) e σφαῖρα – sphâira (sfera), secondo Vernadskij la noosfera è la terza fase dello sviluppo della Terra, combinata alla geosfera (la materia inanimata) e alla biosfera (la vita biologica). Se la nascita della vita ha trasformato in maniera significativa la geosfera, la nascita della conoscenza ha trasformato radicalmente la biosfera. La noosfera, secondo Vernadskij, emerge nel momento in cui l'umanità, attraverso la capacità di realizzare reazioni nucleari, è in grado di trasformare gli elementi chimici.
A saperne riconoscere le effettive implicazioni, la noosfera segna l’inizio di una inedita consapevolezza: quella di essere parte del sistema vivente da cui siamo trasformati e che trasformiamo. Proprio le reazioni nucleari costituiscono, probabilmente, un punto di svolta radicale. Con esse scopriamo almeno tre cose:
- Siamo una forza geologica che cambia e può cambiare radicalmente la vita e la vivibilità sulla Terra;
- Scopriamo la perdita di centralità presunta del genere umano, riconoscendo la nostra dipendenza dal sistema vivente;
- Giungiamo finalmente a renderci conto che eravamo stati noi a presumere di essere sopra le parti, ma questa ferita narcisistica è accompagnata dalla possibilità di riconoscere la nostra responsabilità di specie, per noi e per il sistema vivente di cui siamo parte, essendo noi gli esseri che non solo sanno ma sanno di sapere, e non solo agiscono ma sanno pensare l’azione.
Vernadskij negli anni ’20 pubblicò dei lavori in cui sostenne che gli organismi viventi potrebbero rimodellare i pianeti così come farebbero le forze fisiche, come ha sottolineato S.R. Weart, [The Discovery of Global Warming, Cambridge 2003, Harvard Press]. Oggi parliamo di Antropocene intendendo riferirci all’impatto geologico della specie umana. La più rilevante delle questioni è, però, forse, il riconoscimento della nostra responsabilità nell’essere gli artefici delle metamorfosi di noi stessi e della fine della centralità dell’umano. Soprattutto è da assumere come cruciale la grande rimozione, per tutto il ’900, nei paesi occidentali delle cause e delle conseguenze dei cambiamenti nell'uso delle risorse e dei mutamenti climatici, malgrado il fatto che nella letteratura scientifica fossero da tempo disponibili elementi convincenti riguardanti le condizioni che ne avevano determinato l'avvento. La domanda in fondo può essere così posta: come mai noi esseri umani abbiamo rimosso il fatto di essere diventati causa importante del cambiamento ambientale? Perché questa rimozione?
Eppure, come specifica chiaramente Silvano Tagliagambe, cui si deve l'introduzione e la conoscenza in Italia del pensiero di Vernadskij e la cura stessa del suo libro, Dalla biosfera alla noosfera. Pensieri filosofici di un naturalista [Mimesis, Milano-Udine 2022], con un’ampia introduzione, la questione che sta emergendo sempre più come cruciale e imprescindibile a livello non solo culturale ma anche politico e sociale, è quella dell'incidenza delle conseguenze dell'azione umana sull'ambiente terrestre, nell'insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche.
Quello di Vernadskij è un contributo scientifico inestimabile per la sua portata anticipatrice e per la profonda innovazione che introduce nella comprensione delle condizioni di vita e del ruolo degli esseri umani sul pianeta Terra. Come si legge nell’introduzione al suo libro, La biosfera e la noosfera [Sellerio, Palermo 1999], scritta da Davide Fais, già nel 1922 Vernadskij scriveva: “Non è lontano il tempo in cui l'uomo disporrà dell'energia atomica, una forza che gli consentirà di costruire la propria esistenza a proprio piacimento. Saprà l'uomo disporre di questa forza, servirsene a fin di bene e non per l'autodistruzione? Sarà cresciuto l'uomo tanto da sapersi servire di questa forza che inevitabilmente riceverà dalla scienza?”
Morto nel 1945, Vernadskij non arrivò a conoscere le tante risposte, da Hiroshima a Chernobyl, ai suoi interrogativi. Come non arrivò a vedere la nascita di quel grande movimento internazionale di studiosi che prendevano coscienza dei limiti dell'ecosistema globale, della necessità di tutelare la natura e le risorse e di porre un limite all'attività umana che, come aveva acutamente osservato, mai prima aveva inciso tanto sull'ambiente circostante, e mai era stata così forte e diversificata. “L'umanità, concludeva Vernadskij, rappresenta una vera e propria forza geologica in continua e illimitata crescita”. Il saggio che costituisce uno dei principali riferimenti del suo straordinario lavoro di ricerca è quello che fece pervenire al figlio Gheorghij negli Stati Uniti: “Alcune considerazioni sulla noosfera”, con lo scopo di pubblicarlo. Vernadskij non arrivò a leggere il proprio lavoro nel suo testo integrale pubblicato da American Scientist. Due mesi prima il manoscritto sulla noosfera era stato pubblicato in URSS dalla rivista “Successi della biologia contemporanea” con il titolo: “Alcune parole sulla noosfera”. Vernadskij aveva fatto in tempo a leggerlo e ad annotare le numerose manipolazioni della censura, la prima delle quali, in prima pagina, riguardava una delle istituzioni che egli aveva creato: “La commissione per lo studio delle forze produttive”.
Oggi che “quel soffio di drago scalda la Terra”, come scrive Gianfranco Bettin nel suo libro I tempi stanno cambiando. Clima, scienza, politica, [Edizioni e/o, Roma 2022], pubblicato nella Collana di pensiero radicale diretta da Goffredo Fofi, un’azione forte e globale rimette il pianeta in azione e “stravolge l’antico equilibrio climatico in cui abbiamo potuto vivere agevolmente, ma che infine abbiamo spezzato, provocando la crisi del climate change”.
Il tempo in cui viviamo, secondo Bettin, vede all'opera non tanto l'affermazione dell'Antropocene, quanto la sua fine. Dopo l'epoca che ha visto il genere umano plasmare e segnare il pianeta in profondità, ciò che osserviamo oggi è la reazione della Terra. La Terra ha reagito come una forza naturale che agisce e reagisce in base alle leggi della fisica, e sta cambiando tutto. Non siamo più noi ad accendere il motore del mutamento e a dettare i ritmi del ballo, scrive Bettin. L'abbiamo fatto per uno o due secoli intensamente, dopo che per qualche millennio l'avevamo fatto più discretamente. Abbiamo suonato la nostra musica e dettato le priorità. Poi, appunto, il pianeta e l'atmosfera hanno reagito e sono tornati a dettare i tempi, i modi, i ritmi. Siamo noi a doverci adattare. Bettin conclude il libro scrivendo: “L'Antropocene è finita, è di nuovo il tempo della Terra” [p. 180].
Il percorso dell'analisi di Bettin, si svolge in maniera particolarmente chiara cercando di mettere in evidenza i diversi aspetti che la crisi di vivibilità, energetica, ambientale e climatica, che stiamo attraversando, e partendo dalla connessione esistente fra crisi climatica, evoluzione storica del problema e situazione pandemica. Avvalendosi del sesto rapporto IPCC, l'autore segnala la relazione stretta che esiste fra la crisi di biodiversità e la centratura sull'utilizzo di fonti fossili del nostro modello di sviluppo. Da qui deriva la constatazione di quello che egli chiama “l'equilibrio spezzato”, ponendo in rapporto le caratteristiche dell'antico equilibrio del sistema vivente sulla Terra con le leggi dell'effetto serra e la determinazione di quello che comunemente si chiama overshoot, cioè la propensione di noi umani a consumare le risorse oltre le condizioni che sono garanti della loro riproducibilità.
La crisi climatica e ambientale riporta direttamente all'ingiustizia e la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse nei modelli di vita, con gli esiti evidenti dei movimenti migratori e delle loro tragiche implicazioni dal punto di vista dei costi umani e della memorizzazione di intere popolazioni. Gianfranco Bettin si impegna nel libro a produrre anche un'utile rassegna delle strategie ufficiali, a proposito delle cose da fare per cercare di affrontare la crisi climatica e ambientale. Se i tempi stanno cambiando o, come potremmo dire, sono già cambiati, aggiornando il verso di Bob Dylan a cui fa esplicitamente riferimento il titolo del libro, allora diventa importante cercare di comprendere che ruolo possono effettivamente svolgere energie rinnovabili; quali sono le effettive possibilità e i vincoli della decarbonizzazione; quali sono le prospettive dell'idrogeno; quale agenda politica è necessaria per affrontare la situazione. Le resistenze al cambiamento trovano un'importante considerazione nel libro e risulta di particolare significato il richiamo alla figura e al pensiero di Alexander Langer.
Potranno essere il desiderio di sapere e la forza del dubbio a produrre la conoscenza capace di avviare un'evoluzione della posizione e dell'atteggiamento di noi esseri umani rispetto alla crisi in corso.
A quel desiderio di sapere e a quella forza del dubbio Vernadskij ha attribuito particolare importanza come risulta dalla lettura di ognuno dei capitoli del libro Dalla biosfera alla noosfera. La particolare densità culturale di San Pietroburgo in cui Vernadskij è nato e cresciuto rappresenta certamente il contesto favorevole per lo sviluppo del suo percorso di ricerca e dei contributi particolarmente innovativi che ha fornito, non solo alla scienza ma anche alla cultura in generale. L'arte, ad esempio, fu sempre considerata da Vernadskij uno specifico ambito di conoscenze. In un suo scritto riportato da Tagliagambe nell'introduzione al libro Vernadskij scrive: “L'arte per sua stessa essenza e capacità di sollevarsi al di sopra del concreto ha a che fare con concetti generali e non con casi particolari e specifici […] per questo l'assoluto può trovare un qualche riflesso soltanto nell'arte che ne restituisce in qualche modo il profilo eterno”.
Uno degli aspetti caratteristici, oggi più che mai necessari, del pensiero di Vernadskij riguarda l'importanza che egli attribuisce al comprendere i fenomeni nella loro globalità. Allievo di Mendeleev e di Dokucaev, ha praticato costantemente la convinzione che risultati significativi e conseguenze importanti dal punto di vista applicativo potessero emergere soltanto da un'analisi attenta e rigorosa dei fenomeni naturali e delle loro relazioni reciproche e da un approccio capace di prendere in considerazione, nei limiti del possibile, la natura nella sua globalità come qualcosa di unico e indissolubile. In base a questa prospettiva il suolo viene riconosciuto come un'entità vivente in continua trasformazione e allo stesso tempo come risultato delle molteplici trasformazioni avvenute a carico del substrato a opera degli agenti climatici e biologici. È da questi orientamenti che nacque la biogeochimica della materia, basata sull'analisi e sull'esplorazione comparativa della composizione chimica elementare della materia vivente e non vivente e sulla necessità di stabilire l'importanza di ciascun elemento chimico in senso biogeochimico. Secondo Vernadskij risulta imprescindibile, per capire che cosa sia la vita, intesa come insieme degli organismi viventi, espressa in peso, composizione chimica e misure di energie, non solo analizzarla come fenomeno globale, come sistema, che si sviluppa in modo ininterrotto a partire dalle sue primissime manifestazioni fino alle più evolute forme attuali, ma altresì indagarla a partire dalle condizioni che ne hanno reso possibile la nascita, e dal legame con l'ambiente specifico nel quale queste condizioni si sono realizzate: la biosfera. Considerata come sistema specifico la biosfera si riferisce alla zona della crosta terrestre che si trova alla superficie del nostro pianeta e accoglie tutto l'insieme della materia vivente. Questa esile pellicola superficiale esterna del nostro pianeta si configura come uno spazio intermedio che collega la terra e il cielo e ne costituisce l'interfaccia, l'ambiente dove si realizzano le interconnessioni tra il nostro pianeta e la stella che, attraverso il suo flusso continuo costante di energia, assicura la nostra esistenza. Si tratta di energia biogeochimica, concetto introdotto da Vernadskij nel 1925, che interessa l'intera biosfera e costituisce l'elemento determinante della sua storia.
Il risultato più rilevante che si ottiene, attraverso la costruzione di quello specifico oggetto della conoscenza che è la biosfera, è la sostituzione del cosmo astratto e meccanico della tradizione che risale a Newton, il cosmo dello spazio infinito e omogeneo, in cui la vita non svolge alcun ruolo, con un cosmo bio-umano, la cui considerazione e il cui studio introducono nuove strutture nel pensiero scientifico, persino nella matematica. Questo spostamento di prospettiva mette in primo piano, come contenuto reale le azioni della scienza, il lavoro di trasformazione e modificazione dell'ambiente da parte degli organismi viventi, dell'uomo in particolare, con le sue molteplici attività, tra le quali emerge per importanza e incidenza quella della ricerca. Compare ex novo un inedito tipo di energia legata all'attività vivente delle società costituite da individui del genere Homo sapiens che, oltre a conservare in sé le manifestazioni dell'energia biogeochimica usualmente intesa, produce nello stesso tempo un nuovo tipo di migrazione degli elementi chimici, assai diverso per varietà ed efficacia dalle forme tradizionali di energia biogeochimica della materia vivente del pianeta.
È proprio questa nuova forma di energia, che può essere chiamata energia della cultura umana o energia biochimica culturale che, secondo Vernadskij, è legata all'attività psichica degli organismi, allo sviluppo del cervello nelle manifestazioni superiori della vita, che assume un livello tale da consentire la trasformazione della biosfera in noosfera, caratterizzata dalla comparsa della ragione. La noosfera è il prodotto di uno sviluppo durato, presumibilmente, centinaia di migliaia di anni, ma ha potuto rivelarsi come forza geologica soltanto a partire dal momento in cui Homo sapiens ha cominciato a incidere con il suo lavoro culturale sulla biosfera. La noosfera è quindi l'ultimo dei molti stadi di evoluzione della biosfera nella storia geologica ed è quello in cui ci troviamo attualmente. Deve essere concepita come il risultato e lo sbocco di un processo di cefalizzazione dell'universo, cioè di quel processo di progressivo perfezionamento del sistema nervoso centrale, del cervello, in conseguenza del quale Homo sapiens si rivela soltanto un anello di passaggio nella lunga catena degli esseri che hanno sicuramente un passato, ma anche un futuro.
Vernadskij quindi propone un approccio olistico basato sulla teoria dei sistemi che pone un delicato problema teorico riguardante i possibili rischi di una sovrapposizione con relativa interferenza determinata dalla promiscuità parziale o totale dei relativi processi. È a questo punto che interviene, nella sua prospettiva il concetto di confine con la sua duplice funzione, di contenimento e di principio. Nessun sistema vivente potrebbe esistere se non fosse provvisto di questo meccanismo cuscinetto tra se stesso e l'ambiente da cui consegue la possibilità di avanzare l'idea che ciò che chiamiamo vita sia situato nella linea di confine tra sistemi viventi e ambiente, anzi coincida con questa stessa linea di confine. I costrutti di confine, di filtro, di traduzione, di dipendenza funzionale, evidenziano quanta attenzione Vernadskij abbia posto al rapporto tra sistema vivente e contesto nel quale quel sistema è inserito.
Il monito di particolare attualità e importanza che si ricava dalla profondità anticipatrice degli studi di Vernadskij può essere così sintetizzato: la noosfera è un nuovo fenomeno geologico del nostro pianeta. In essa l'uomo è divenuto per la prima volta la più importante forza geologica. Egli può e deve ricostruire con il proprio lavoro e il proprio pensiero l'ambiente in cui vive, ristrutturarlo e riedificarlo in modo radicalmente diverso rispetto a ciò che era prima. Nella storia geologica dell'umanità di fronte all'uomo si schiude un futuro immenso, se soltanto egli lo comprenderà e non utilizzerà la propria ragione e il proprio lavoro a fini autodistruttivi.