Storia d'Italia in sei oggetti
Chiara Alessi racconta in Lo stato delle cose la storia di sei oggetti: la borraccia, la penna a sfera, la schiscetta, il passamontagna, la striscia rossa dei carabinieri e il fiore nel logo Fininvest. Lo fa in modo acuto ed elegante. Del resto, gli oggetti sono uno dei suoi temi preferiti, quasi un destino, per altro, visto il cognome che porta. In Le caffettiere dei miei bisnonni (Utet) ha raccontato la storia dei Bialetti, suoi parenti stretti; poi in Tante care cose (Longanesi) ha messo su carta le storie che durante il lock-down ha raccontato in una sua rubrica video su Twitter, comprendendo persino oggetti grafici e architettonici. Ora fa un passo in più perché la storia di questi sei oggetti si distende come un racconto e abbraccia anche la storia italiana, così che la parola “stato” del titolo va intesa con la S maiuscola, e le “cose” sono qualcosa in più di oggetti d’uso. Sono, come è capitato a lei in modo involontario e non richiesto, dei destini. Anzi qui siamo nel “Castello dei destini incrociati” o, forse meglio, in quello dei “fumetti incrociati”, per dirla con Italo Calvino, visto l’arco temporale che il racconto di Chiara Alessi comprende così vicino a noi: dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta e Novanta del Novecento. In effetti questo libro è composto come una storia a fumetti di sei macro-racconti con personaggi e dettagli che non solo sono disposti cronologicamente, ma ritornano da un capitolo all’altro come fatti casuali ma non troppo.
Chiara Alessi ha perciò scritto una sorta di romanzo delle cose, in cui i protagonisti sono alternativamente oggetti e persone, persone reali che appartengono alla storia piccola e grande del nostro paese. L’intreccio non l’ha inventato lei, o meglio l’ha architettato lei, disponendo le carte della sua storia in modo tale che vi siano incroci verticali e orizzontali come in un cruciverba – e il libro in qualche modo lo è. Nella prima storia ci sono Fausto Coppi e Gino Bartali, che si passano la borraccia durante il tour de France, anche se tutto, come in un film giallo, comincia con un morto. Poi il nastro viene riavvolto e tutto ruota intorno alla foto che Lo Sport Illustrato, supplemento della Gazzetta dello Sport, pubblica il 10 luglio 1952. Cos’è accaduto davvero? Chi ha passato la borraccia all’altro? Era una scena “vera” o invece “costruita”?
Nel frattempo l’autrice ci racconta la storia della borraccia, un oggetto oggi consueto per ciascuno di noi, nata in una valle del Piemonte orientale, oggetto militare e curioso che coinvolge nomi eccellenti come quello della poetessa Amalia Guglielminetti. Una microstoria che deriva dalla storia principale, e in cui il “punctum” nella foto è un’ombra, l’ombra di un ciclista, un uomo scomparso che si smaterializza nel punto saliente dell’incrocio.
La seconda storia riparte da Bartali e racconta la vicenda del ciclista toscano che fa da staffetta e salvatore di ebrei durante l’occupazione tedesca dell’Italia. Qui l’autrice sfodera la seconda carta, quella che collega Bartali a Anna Agnoletti Enriques, una partigiana il cui destino non sarà così favorevole come quello di Bartali: entrambi sono interrogati dai feroci fascisti della Banda Carità. L’oggetto è quindi una penna, quella che tutti noi conosciamo, la BIC.
Scandagliando le piccole storie dei protagonisti, con pazienza ma anche con l’abbrivio della narratrice, Chiara Alessi racconta come dalla BIC, quella del Barone Bic, anche lui un piemontese, anche se di stanza a Parigi, si arriva a tre ebrei intelligenti e sagaci: Birò, l’inventore della penna, finito in Argentina e morto povero nonostante la sua creatività industriale; Isaia Levi, imprenditore tessile; e Giovanni Enriques. Passiamo attraverso le leggi razziali del 1938, poi incontriamo vari grafici e artisti, tra cui Costantino Nivola (un passaggio che poteva portare il racconto sino a Saul Steinberg, ma che non prosegue in quella direzione), per giungere alla Olivetti di Camillo e Adriano. Qui siamo sempre in Piemonte, a Ivrea, e ci sono tutti i designer e grafici di cui Alessi sa tutto, o quasi, tra cui Albe Steiner, partigiano e grafico geniale – comunista e disegnatore di libri Einaudi e del famoso giornale di Vittorini “Il Politecnico”.
Il tutto culmina con la stilografica Aurora e altre invenzioni dell’azienda. Così il fumetto dei destini incrociati di tavola in tavola, di pagina in pagina, intreccia altre storie potenziali e ne sceglie alcune da raccontare. La schiscetta, come si chiama in Lombardia il recipiente porta cibo del boom economico, riparte da Ivrea e dalla mensa della Olivetti, con piccoli affondi nella vita di personaggi famosi come Adriano e altri meno noti come Domenico Burzio. Detective oltre che scrittrice, la nostra autrice arriva a Renato Caimi industriale metalmeccanico e quindi a Fantozzi, l’eroe negativo-positivo dell’immaginario impiegatizio italiano, sempre tenendo d’occhio il pasto operaio e degli impiegati, da Ivrea fino a Genova.
La storia seguente ci porta dritti dritti dentro le storie della Brigate Rosse genovesi, su cui già Sergio Luzzatto ha dato un assaggio con la vicenda di Guido Rossa da Einaudi, mentre si prepara per l’autunno il grosso volume sulla storia della colonna brigatista della città ligure. Si tratta del capitolo sugli “anni di piombo”, forse il più affascinante e insieme torbido perché lì si affonda almeno fino alla coscia nella melma del periodo. Ma Chiara Alessi possiede la velocità di Mercurio, oltre che l’arte di quella divinità d’intrecciare percorsi e creare incroci imprevisti – Mercurio è il dio protettore dei commerci ma anche dei ladri.
Di questa parte non racconto di più, perché c’è una storia nella storia del passamontagna, quella della famosa foto dell’autonomo che spara a Milano in via De Amicis e uccide un poliziotto. Anche qui Alessi ci svela un altro dei suoi innumerevoli incroci che arriva sino al delitto Moro. Il capitolo seguente è dedicato alla “striscia rossa dei carabinieri”. Il passaggio da Moro ai caramba non è difficile per chi legge tanto e ha una buona memoria per i dettagli come l’autrice di questo libro, la quale non solo si intende di design (ha scritto due libri da Laterza su questo), ma anche di moda, ovvero di tutto-quello-che-è-immagine. Ha un fiuto straordinario nel cogliere, non solo connessioni, ma anche tendenze, poiché di questo si tratta: scrivere una storia vuol dire intuire la tendenza, ovvero dove vanno le cose e di conseguenza il successivo racconto.
Poi la parola “tendenza” riguarda sia i comportamenti che gli oggetti. Siamo in quello che Alessi chiama il “Total Look”. Carabinieri coabitano qui con i terroristi brigatisti e tutto si tiene insieme in modo incredibile: potere della scrittura che stabilisce rapporti tra cose lontane e tra loro eteroclite. L’ultimo capitolo, quello finale, è dedicato al logo della Fininvest (e prima di Milano 2) che è quanto di più lombardo ci sia: dal Ducato di Milano all’Alfa Romeo produttrice di automobili. Ma come far sparire il bambino dalle fauci del serpente e metterci un fiore, cosa che riesce a Berlusconi? Lo rivedrà un pittore, Enzo Mazzilli, che poi disegnerà un altro logo fondamentale del consumismo italiano. Non voglio togliere ai lettori il piacere di scoprire in quali meandri affonda la storia del berlusconismo grafico, da Mirko Pajè a Cesare Priori, passando per la trasmissione Il pranzo è servito, e persino per le lavatrici Candy, l’invenzione dei surgelati, Findus compresa (ricordate Capitan Findus?). Poi ci sono i gelati Algida. Ma come è possibile che tutto questo ruoti intorno al Cavaliere di Arcore? E cosa c’entra l’architetto Panseca di Bettino Craxi e il suo Partito Socialista? Tutto si tiene.
Chiara Alessi non è una complottista, genere che in Italia fa molti proseliti compresi i sostenitori della morte di Pier Paolo Pasolini per mano, alternativamente, della Banda della Magliana, dei servizi segreti, dei killer della destra eversiva, dei bombaroli vari, dei padroni del petrolio. No, lei adotta il metodo Falcone-Borsellino che si sintetizza così: segui i soldi. Lei lo traduce così: segui gli oggetti, i marchi, i loghi, design compreso. Così alla fine saprete qualcosa di più sullo “stato delle cose” in questo Paese così scalcagnato, ma anche così vitale.