Alessandra Sarchi: voci di eroine ribelli

20 Marzo 2023

Il libro Vive! Storie di eroine che si ribellano al loro tragico destino, di Alessandra Sarchi (Harper Collins 2023), in origine era una voce, un podcast prodotto da Storielibere.fm e dal Piccolo Teatro di Milano, in collaborazione con “Il Corriere della Sera”, durante quella spaccatura che è stata la pandemia nel 2020, un gorgo di solitudine e isolamento che ha scavato distanze tra le persone e tra i corpi. Attraverso la voce, strumento di emissione che “è corporeo, vibra nell’aria, produce onde sonore, incontrando così altri corpi”, Alessandra Sarchi si proponeva in quel tempo di “bucare il vuoto pneumatico in cui ciascuno, a suo modo, era precipitato”. 

Ed è sempre la voce, che è al “contempo oggetto e motore di desiderio”, strumento capace di restituire quel “dèchet du sens, residuo di senso, che sfugge tanto alla parola quanto all’immagine”, al centro del tentativo di rilettura e riscrittura di alcune delle più celebri e tragiche eroine della letteratura occidentale.

Difficile è immaginare la voce di questi personaggi femminili, nati dalla penna di grandi autori, perché dalle origini della nostra letteratura e per un tempo lunghissimo, è raro trovare voce di donna. La voce delle donne è da sempre un elemento problematico, oggetto tanto di fascinazione quanto di un sistematico tentativo di cancellazione e censura, dalla “voce incantevole quanto funesta” delle sirene di Omero in poi, le voci delle donne sono state considerate accettabili solo se imbrigliate, svilite o disinnescate per tramite dell’autorità e della parola maschile.

Nell’assenza di autentiche voci femminili nella tradizione letteraria indagata si riconosce il riflesso di un’autorialità non concessa, di una lunghissima esclusione che ha relegato le donne a una funzione di fruitrici, spettatrici delle loro storie raccontate da uomini, e colpevolizzate anche in questa veste (“jamais fille chaste n’a lu des romans” scrive Jean-Jacques Rousseau nell’introduzione alla Nouvelle Héloïse), perché la ricerca della loro voce era un discorso che non le riguardava (e anche quando, finalmente, le donne hanno osato affacciarsi alla letteratura come autrici, quello che si apriva davanti a loro era un campo colonizzato, a partire dalla lingua. Per scrivere, per scriversi, dovevano parlare con le parole e con le idee degli uomini).

Paradigmatica, in questo senso, è la parabola della ninfa Eco, nel terzo libro delle Metamorfosi di Ovidio, dapprima punita da Giunone e costretta a ripetere le parole che ascolta, senza poter mai dire sé stessa e il proprio desiderio e infine dissolta nel dolore per un amore non corrisposto, mentre “i pensieri la tengono desta e la fanno deperire in modo pietoso, la pelle si raggrinzisce per la magrezza e tutti gli umori del corpo si disperdono nell’aria”, e non restano che voce e ossa, parole e sassi, e poi solo un’eco dispersa nell’aria. 

Eco è progenitrice di una lunga tradizione di donne senza voce, o costrette a parlare con voci d’altri, con voci di uomini. E se nella parola si esprime la volontà e nella volontà il destino, le donne protagoniste dei classici della nostra letteratura non hanno scelta, la loro sorte, per quanto provino a emanciparsi, e anzi, a maggior ragione, coincide sempre con la morte, sublimazione del desiderio, dell’individualità e delle passioni (“non c’è niente di più poetico al mondo della morte di una bella donna” scriveva Edgar Allan Poe).

Alessandra Sarchi si chiede quale destino alternativo avrebbero potuto avere Emma Bovary, Didone, Ofelia e le altre eroine di Vive!, se fosse stato loro concesso di smarcarsi dall’autorità della voce che ha dato loro vita. Dar loro la voce significa dar loro la possibilità di scegliere, di autodeterminarsi: “alle eroine letterarie protagoniste di Vive! Volevo dunque restituire una voce incarnata, ma anche la scrittura, o meglio, la riscrittura, la possibilità di riscrivere sé stesse”.

Così di Emma Bovary scopriamo un’ultima inedita lettera, che inizia con “Cher Gustave” e chiede conto al suo creatore del proprio destino, rivendica il diritto di scrivere da sola la propria storia, senza restare imbrigliata nell’inchiostro che l’ha fatta “intelligente e ottusa” e l’ha infine soffocata, colpevole di essere incapace “di vivere nel presente e di accettare la realtà meschina, ripetitiva, limitata. Come se questa non fosse la difficoltà di tutti gli esseri umani”.

Didone, invece, brucia sulla pira le maledizioni per l’uomo che l’ha lasciata e il dolore profondo causato dagli dei che “si divertono a legarci all’impossibile”, ma sopravvive all’amore e all’abbandono, cercando dentro di sé l’aspirazione di una rivincita, e così Ofelia, e Anna, “magnifica farfalla chiusa dentro una teca di vetro”, che Tolstoj ha lasciato a volteggiare e sbattere senza ossigeno, fino a schiantarsi, e che qui, invece, sceglie sé stessa, non Karenina, non Vronskaja, Anna, che prende il treno anziché lanciarglisi addosso.

Sceglie sé stessa anche Ersilia Drei, affascinante e mutevole nel suo abitino decente, scolpita dalle supposizioni e dalle parole degli uomini che le orbitano intorno, che rifiuta la condanna impostale dal suo autore a “non essere mai niente” e si mostra con coraggio per quello che è, spogliata di etichette e pregiudizi, nuda, perché la verità può essere solo nuda, di fronte a chi la vuole coprire. 

Sarchi riscrive Emma, Didone, Ofelia, Anna, Ersilia, e come loro Marguerite Gautier, Julie d’Étange, Hedda Gabler e la prismatica e sfuggente Albertine della Récherche, prestando loro la voce, salvandole dal loro destino di morte e silenzio, immaginando un’impossibile ribellione ai modelli imposti (perché “la letteratura, anche quando dichiara di non voler insegnare nulla, è di per sé un contenitore potentissimo di modelli”), dando loro la possibilità di scrollarseli di dosso, di liberarsi della colpa di scegliere, di provare a scrivere la propria storia fuori dai binari imposti, di amare, di leggere romanzi, di immaginare per sé altre vie, che non scivolino inesorabilmente verso una romantica, struggente, poetica morte.

La voce che l’autrice presta alle eroine della letteratura è quella delle donne di oggi, insieme alle conquiste del femminile contemporaneo e all’audacia di immaginarsi libere. I personaggi femminili che trovano qui nuova voce sono svincolati dal tempo e dalle autorialità da cui sono nati, in “un’operazione tutt’altro che neutra”, come ammette Sarchi, che si tiene in bilico tra contestualizzazione e incarnazione, con l’obiettivo, dice Sarchi prendendo in prestito le parole di Irene Fantappiè, di “strappare  la maschera a una lingua che è al servizio dell’illusione”, poiché “il ripetere variando si costituisce come un  processo non solo letterario ma anche ermeneutico, per  mezzo del quale è possibile costringere la lingua a dire la verità”.  

La verità sta dietro alla “millenaria sordina messa al femminile” che il libro, e il progetto da cui nasce, vorrebbero scardinare, per spezzare l’eredità di Eco e restituire la voce a quelle donne, archetipi letterari del femminile, a cui è stata tolta. Una voce che, come si è detto, è onda e vibrazione e risuona in un corpo di carne e sangue e si infrange su altri corpi, per essere udita.

Come la voce di Francesca, che vuole reincarnarsi a partire dal suono delle proprie parole, della propria volontà, capace di ridare pienezza a quel “nulla senza pace” frustato dalla bufera nell’inferno dantesco, perché “l’inferno è questo – dice – l’essere chiusi dentro di sé”. E in fondo, le fa dire Sarchi, non è così difficile lasciare un’eternità di dolore e silenzio, basta rinunciare alla colpa di essere donna e aver amato e scelto, per tornare a “essere sangue che brulica, ossa che scricchiolano, muscoli che tirano” e “corpo pesante che ansima sul grembo della Terra” e di nuovo vive! 

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