Atelier d’estate / 3

19 Agosto 2013

“Nella situazione in cui mi trovo non so se sia sensato che io vada al funerale” si dice Slavko in preda al panico, mentre litiga con la moglie che crede invece sia un suo dovere morale. È morto Đulaga, un vecchio amico, la cerimonia si tiene nella parte orientale della città. Slavko è croato, Đulaga è bosniaco musulmano, Slavko teme le voci che insinuavano che stesse più dalla “loro” parte che dalla “nostra”, si sente minacciato, ha un incidente, pensa al suicidio, sembra morire e risorgere più volte. “Non so chi sono né dove sono”: il potente è un persecutore invisibile, la burocrazia mette in attesa la quotidianità dell’individuo, la guerra, come fosse un fenomeno naturale, potrebbe riprendere da un momento all’altro.

 

 

A Mostar è una giornata qualunque, in Obrana i zaštita (testualmente Difesa e protezione, ai tempi del socialismo autogestito così si chiamava una materia scolastica, per la distribuzione internazionale il titolo è The Stranger), il regista Bobo Jelčić documenta il malessere psichico di un solo individuo cresciuto in un’atmosfera di sospetto perenne e pericolo incombente. Il film provoca un contesto culturale poco abituato a occuparsi dell’interiorità, a raccontare con linguaggio minimalista i grandi temi della storia e della politica.

 

 

Al festival cinematografico di Pola, che quest’anno compie sessant’anni, Obrana i zaštita ha stravinto, i dolori del povero Slavko sono risultati scioccanti, passaggi generazionali e situazioni familiari sono stati il centro anche di altre sceneggiature. Il passato è arrivato in passerella con i volti di vecchi attori famosi, interpreti delle eroiche battaglie partigiane. Nel mondo della celluloide i tempi storici si ritrovano e le visioni si uniscono, Obrana i zaštita ha vinto il primo premio (per il miglior film croato) anche a Motuvun, un festival che da sedici anni, il nazionalismo ancora  imperante, catalizza la scena cinematografica alternativa. Al regista e produttore Rajko Grlić, madre ebrea e padre filosofo della rivista Praxis, finiti entrambi nel gulag di Tito a Goli Otok (cfr. Eva Grlić, Memorie da un paese perduto. Budapest, Sarajevo, Zagabria, trad. di Ljiljana Avirović, Scheiwiller 2005), questo paesino medioeval-rinascimentale del centro dell’Istria situato su una rupe carsica è sembrato il posto giusto per un festival internazionale. La storia arzigogolata di Motovun – dal patriarcato di Aquileia a Venezia, dall’Austria a Napoleone, dal regno di Italia all’Austria e poi viceversa, abbandonata dagli italiani quando divenne Jugoslavia, abbandonata dai serbi quando divenne Croazia – è un inno alla diversità. Quest'anno una delle sezioni più interessanti è stata quella dedicata alla cultura rom.

 

 

L’estate spalatina propone balletti e ancora teatro, quella di Dubrovnik un programma popolar-internazionale (gli spettacoli hanno sottotitoli in inglese), ed è ancora il regista Bobo Jelčić a trionfare con lo spettacolo Allons enfants. Non siamo però ai tempi dell’occupazione francese, quella che va in scena è una seduta del consiglio comunale di questi tempi. Il pubblico entusiasta incalza gli attori, la parodia della politica termina con un dibattito come in un forum del Teatro dell’oppresso.
L’evento teatrale più chic rimane quello che si svolge sull’isola di Brioni minore – uno dei quattordici isolotti parco nazionale situati tra Pola e Rovinj, poco lontano da Brioni grande, storica residenza estiva di Tito.

 

Si parte da Fažana, tutti in piedi su una nave militare, si arriva vicino alla fortezza austriaca quando è già buio, si sale su scalinate da concerto rock. Il Teatro dell’Ulisse è stato fondato nel 2001 da Rade Šerbedžija, figura mitica della scena jugoslava che, durante l'ultima guerra, dal giorno alla notte perde la patria e la sua lingua di attore. Fino all'ultimo respiro (a cura di Dunja Badnjević, Zandonai 2010) è il racconto di un'esistenza avventurosa intecciata con le drammatiche vicende del paese che fu.
Con la sua famiglia teatrale, pochi mezzi e molti ostacoli, ha fatto del teatro un'esperienza. Un programma di pochi titoli e molti classici: Shakespeare è stato il viatico di ogni viaggio, Rade Šerbedžija il suo grande Re Lear.

 

Nel nuovo spettacolo, Shakespeare al Cremlino di Ivo Štivičić, attori serbi e croati recitano insieme, ancora una volta è l'arte a poter cambiare il gioco di chi usa come marionette uomini in carne e ossa. Sono gli ultimi giorni del potere di Stalin, ancora pochi lo sanno. Chi potrebbe gridare il re è nudo è un attore, che non sa se parlare o tacere. Questo è il dilemma.

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