Buon centenario, readymade

12 Giugno 2013

Cento anni, ormai, che esiste il readymade! Vi rendete conto? A molti ha rotto le scatole a sufficienza, ma molti altri ancora non ne vogliono sapere.

 

Dunque: 1913, Marcel Duchamp prende una ruota di bicicletta e innesta la forcella sulla seduta di uno sgabello da cucina. Lo tiene in studio, non lo espone, né lo chiama ancora “readymade”, ma a questo ne seguiranno altri e seguirà un’arte contemporanea cambiata. Le interpretazioni e influenze si sono moltiplicate da allora, le antipatie e opposizioni anche.

 

Voglio solo ricordare qualche aspetto meno noto, credo, e al tempo stesso tirare delle somme che forse non sono scontate. Tutti ricordano i readymade più famosi – lo scolabottiglie, l’orinatoio, la pala da neve... –, non tutti conoscono quelli più complessi, li chiamava “aiutati”, come la gabbietta per uccellini con dentro i cubetti di piombo di finto zucchero o il gomitolo di spago chiuso tra due lastre di rame e che a sua volta contiene un oggetto segreto, ma Duchamp ha esteso il readymade ben oltre i readymade. Per esempio, quando si è sposato con Teeny, quest’ultima aveva già due figli dal precedente marito: ebbene Duchamp li salutò come figli readymade, trovati già fatti! Forse anche la scritta che volle sulla propria tomba – “Del resto sono sempre gli altri a morire” –, una delle battute più caustiche di fronte alla morte, ci ribadisce che anche la vita può essere vista come un readymade.

 

Ebbene, due cose, tanto per fare un pensiero di ricordo in questo anniversario. La prima: il readymade non è una trovata formalista ristretta in quel piccolo mondo che è quello dell’arte; è, si propone, come una visione della realtà e della vita. La si consideri dunque come tale. Seconda: se questo è vero, come noi pensiamo, c’è ancora qualcosa che se ne può trarre, non dico un’altra ennesima interpretazione, ma un’interpretazione davvero, una di quelle che cambiano i “contenuti”.
Che cosa vedi dunque quando guardi un readymade?
Buon centenario.

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