Demetrio Stratos: ai limiti della voce
Fino a 7mila hertz, fino, oltre i limiti dell’impossibile. “Tutto il mio corpo attraverso la voce” Esplorazione vocale come libertà: misurarsi con i limiti interni, con i limiti umani, superarli fino ai suoni che non si sentono. Abolire la parola, “che ci schiavizza in un discorso stilistico”. Perché la parola non è l’unica realtà: indagare nelle pieghe delle piaghe del linguaggio.
Rubo questi frammenti di frasi a un’intervista per la televisione di Demetrio Stratos, il grande sperimentatore sulla voce. A lui Malagola, Centro di ricerca vocale e sonora legato al Teatro delle Albe, dedica a Ravenna la mostra Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979.
Prima di inoltrarci nelle ragioni di questo viaggio in una ricerca vocale che ha investito tutto il corpo e le sue declinazioni spaziali, acquisendo così un valore esemplare per il teatro, qualche altro flash dall’esposizione.
Un grande pannello, nella prima sala, riunisce in verticale sei Bocche dell’artista greco, nato ad Alessandria d’Egitto nel 1945, vissuto a Cipro e arrivato esule nel 1962 in Italia, cantante prima dei Ribelli (Pugni chiusi), poi degli Area. Si tratta di foto di Silvia Lelli, dal Lelli e Masotti Archivio, che colgono le espressioni, i contorcimenti delle labbra, le pressioni della lingua su denti e palato per emettere suoni straordinari. Foto come fonemi.
Indossate cuffie audio, quattro visitatori alla volta entriamo in una sala scura con fogli bianchi in teche. Su di essi sono vergate parole nelle quali risaltano le consonanti. Nelle nostre orecchie iniziano a fluire le sonorizzazioni di quei Mesostics di John Cage, poesie verticali costruite di parole assemblate lanciando gli I Ching. Solo alcune lettere sono marcate più grandi, altre in grassetto: e la voce di Stratos si inerpica e sprofonda negli universi di quelle consonanti, in aspri territori di un mondo che si apre a un linguaggio disarticolato, preistorico o futuro, dove il senso viene superato dal suono e dall’arte dell’emissione e dell’inciampo sulla materia sonora.
In un’altra stanza, senza cuffie: in circolo su alcuni sgabelli o accucciati su cuscini. Ora siamo immersi nella voce di Stratos che fluisce come onda, con suoni doppi, le famose diplofonie imparate da un maestro vietnamita, suoni arcaici, o le triplofonie. Lampeggiano altre ricerche, ancora sulle consonanti o nei territori di Stripsody di Cathy Beberian, i rumori delle strips, dei fumetti, non distanti dalla Sequenza per voce sola di Berio, fino alle variazioni personali su uno dei più impressionati documenti vocali mai registrati, quel Per farla finita con il giudizio di Dio che scandì Antonin Artaud come ruggiti contro la vita, contro il manicomio che aveva preteso di ridurre a un paesaggio piatto, normalizzato, la sua follia di visionario del teatro e del mondo futuro. Stratos va nel fondo profondo della materia e vola verso il cielo di acuti aerei. In questo dardeggiare e sprofondare è come se nuotassimo: Stratos ci arriva da tutti i punti dello spazio, sotto un soffitto segnato da circoli che richiamano i cieli danteschi, da altoparlanti che ci trasportano nella natura teatrale e mistica della sua voce
Demetrio Stratos – Antonin Artaud
La mostra è un primo momento per far conoscere l’archivio di Efstratios Dimitriou, che in Italia invertì nome e cognome e li trasformò in Demetrio Stratos. Tale archivio è stato composto e curato amorevolmente, dopo la morte dell’artista, dalla moglie Daniela Ronconi Demetriou e dalla figlia Anastassia, la cui nascita fu all’origine di sperimentazioni sulla lallazione infantile che portò a un’opera radicale di distacco dal linguaggio articolato e significante, per rovistare nei recessi della voce e del suono, verso sonorità arcaiche del bacino mediterraneo, verso le steppe e le montagne tibetane della diplofonia, in cerca di una musica dell’essere umano che riscrivesse il patto col mondo, con l’ambiente, con la densità interiore e la sua manifestazione.
Nel 2022 Oderso Rubini, musicista e musicologo diventato consulente della Regione Emilia Romagna, propose l’acquisizione dell’archivio a Malagola, centro che sperimenta sulla voce in teatro e fuori dal teatro, ospitando seminari di artisti come Mariangela Gualtieri, Meredith Monk, Chiara Guidi, Roberto Latini, Moni Ovadia, Alvin Curran, Luigi Ceccarelli, Francesco Giomi, Daniele Roccato, Vinicio Capossela. Grazie all’intervento del Comune di Ravenna l’archivio ha potuto essere acquisito dal centro, e questa mostra rappresenta un primo momento di comunicazione di un materiale unico.
Lo spettatore, oltre a rivivere la voce di Stratos, entra nei suoi appunti, in certe partiture e lettere, in foto che lo ritraggono in momenti privati e di esibizione, nella sperimentazione attuata con il Centro di studio per le ricerche di fonetica del Cnr di Padova diretto dal professor Franco Ferrero (1978). Un angolo è dedicato alla passione sua e della moglie per i mercatini, con oggetti trovati che parlano di musica, infanzia, oriente, con un pianino giocattolo, una tromba di grammofono, il fregio di una cintura, alcune copie di Fluxus Magazine, che mostrano le sue relazioni internazionali, e altri reperti. Poi manifesti, di concerti con gli Area, di esibizioni solistiche. Infine, dopo i Mesostics, con immagini di Stratos che li interpreta con soffio e furore, si trova una sala video dove scorrono alcune trasmissioni tratte dalle Teche Rai. Qui l’artista spiega la sua ricerca o si confronta con un’altra grande esploratrice della voce, Cathy Berberian, scambiandosi idee ma anche suoni.
Diplofonia, Triplofonia, Investigazioni - Live 1978, concerto al teatro dell’Elfo, Milano, 1978
Ricordiamo una mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma del 2019 che metteva a confronto Carmelo Bene, Demetrio Stratos e Cathy Berberian, intitolata Le rivoluzioni della voce. Ma molte altre sarebbero le tracce da seguire per approfondimenti e contestualizzazioni: dalle composizioni di Bruno Maderna, Luciano Berio, Luigi Nono e dalle loro ricerche presso lo Studio di fonologia della Rai di Milano, fino appunto ai grandi esecutori-esploratori. E una riflessione andrebbe fatta sugli eredi di quelle ricerche che dagli anni cinquanta, sessanta e settanta si sono riverberate sui nostri giorni, su come sono proseguite o si sono arenate in una cultura che sempre di più cerca di riconoscersi nelle forme del già noto, abbandonando le vertigini del possibile e dell’impossibile, l’utopia, il “work in regress” per immaginare, per proiettarsi.
Dietro Stratos ci sono il canto greco-bizantino, la tradizione ortodossa, i tempi dispari della musica balcanica e uno sguardo curioso ai suoni del mondo, prima dell’invenzione della World Music, è stato notato nel convegno che ha preceduto la mostra ravennate. È stato curato da Marco Sciotto, con interventi dei curatori della mostra e direttori di Malagola, Enrico Pitozzi ed Ermanna Montanari, di Franco Masotti, Janete El Haouli, Dario Taraborrelli, Silvia Lelli, Oderso Rubini e Paolo Spedicato.
Al fianco di Stratos, si è ricordato, c’erano Gianni Sassi, grande inventore di cultura musicale e non solo, e John Cage, musicista di riferimento, che lo invitò nel Treno musicale che ideò per le feste musicali di Bologna del 1978, con tre tragitti, fino a Rimini, a Ravenna e a Porretta Terme, con performance (nella serata di Ravenna agì Stratos), con interventi nelle stazioni intermedie di bande musicali e di altre musiche tradizionali, con sonorizzazioni degli ambienti dei vagoni.
Come ha notato Paolo Spedicato, andando a uno dei cuori della vicenda di Stratos, per l’artista greco la creazione musicale aveva un valore politico ed estetico insieme: era un “giocare col mondo”, come il suo collezionismo. Stratos voleva “abolire le differenze tra musica e vita”, riantropomorfizzare la voce. Leggiamo in un dattiloscritto datato 1979: “Riantropomorfizzare la voce reperto del cro-magnon è materializzazione di un godimento impossibile. La voce nelle civiltà etniche è veicolo di orientamento spaziale, guida, grido ed appello per costruire uno spazio teleologico; non è lo scarto del linguaggio come pensa la sordità del balbettio dei musicisti oggi, custodi dello strumento originale dimenticato ed atrofizzato nel proprio soma, ma forse momento dell’impossibile che conduce l’uomo ad esplorare le connessioni che costituiscono la sua sessualità”.
“La voce è magia: appello, grido, rimbombo che scaturisce dalla terra madre. Essa non appartiene a noi, noi ne siamo trapassati” commenta Ermanna Montanari. E con Enrico Pitozzi scrive, nell’introduzione all’elegante catalogo Sigaretten Edizioni Grafiche: “La voce non coincide con la parola, bensì prende corpo in uno spazio intermedio tra il segno (la parola) e il discorso che l’articola. La voce è il lampo che convoca la figura – l’immagine-somiglianza che la voce manifesta – della cosa che chiama”. La voce, intervallo tra inspirazione ed espirazione, non definisce, evoca il mondo. E perché ciò avvenga “serve concepire il corpo come un risuonatore che si lasci attraversare dall’emissione sonora e si dispieghi integralmente nella voce”, con “tecnica fonatoria che organizza l’intera anatomia in vista dell’emissione vocale e fa della bocca il luogo fisico, la grotta o la cattedrale, in cui la voce risuona”. La voce di Stratos manifesta, in un’accordatura cosmica, il tessuto del mondo nella sua “splendente molteplicità”.
I materiali dell’archivio permetteranno altre ricerche. Intanto in questa esposizione testimoniano la cultura vivacissima di anni liquidati troppo in fretta sotto etichette riduttive; momenti in cui si volevano, appunto, abolire le differenze tra le arti e la vita, per abbellire e rendere più radicale la vita con lo spirito sperimentatore delle arti, e portare nelle forme delle arti, oltre lo stile, le urgenze della vita. Orizzonti quasi impensabili nei deserti dell’odierna omologazione.
Amorevolmente progredire, amorevolmente regredendo. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979 si può vedere fino al 22 dicembre al piano terra di Malagola, in via di Roma 118 a Ravenna, dal lunedì al sabato dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18. Nei giorni festivi solo la mattina. Informazioni: info@malagola.eu, tel. 348.1382632.
Sabato 16 dicembre, alle ore 20.30, nella sala Martini del Museo d'arte della città di Ravenna, sarà proiettato il film La voce Stratos (Italia, 2009, 110 minuti), regia di Monica Affatato e Luciano D’Onofrio. Al termine della proiezione Marco Sciotto coordinerà il dialogo con gli autori.
L’ultima fotografia è di Silvia Lelli, Lelli e Masotti Archivio.