Dismaland. I am an Imbecile

23 Settembre 2015

Il lancio di Dismaland. Bemusement Park, inaugurato in Inghilterra, a Weston-super-Mare il 21 agosto (e aperto fino al 27 settembre), ideato da Banksy, a cui hanno collaborato 59 artisti contemporanei fra cui Damien Hirst e Jenny Holzer, è stato come prassi vuole, accompagnato da un video.

 

Il filmato inizia in una tipica casa middle class anglosassone, dove una famigliola fa colazione guardando la televisione. Lo spot in onda è quello che pubblicizza Dismaland: rapiti dalle immagini, i quattro fissano lo schermo a bocca aperta, la mamma facendo traboccare il latte dal piatto di corn flakes del figlio. Finito lo spot, soggiacendo a un impulso irrefrenabile, madre, padre, figlio e figlia si scaraventano fuori dalla porta, saltano in auto e raggiungono Dismaland. Dopo un controllo aggressivamente svogliato ai metal detector da parte di guardie con copricapo troppo grandi, i quattro vagano fra cupe attrazioni che propongono cadaveri, catastrofi ambientali, incidenti, esseri mostruosi, sordide allusioni erotiche, truffe, scontri di piazza e incubi di ogni genere, in un contesto di degrado, incuria e sporcizia, sorvegliati da personale depresso e maldisposto, in brutte divise. Nell'ultima scena, ritroviamo i visitatori all'uscita: i ragazzini allegri e i genitori, alle loro spalle, in lacrime.

 

 

Se può sembrare scontato che un parco dei divertimenti venga pubblicizzato in tv, è interessante sapere che il primo parco dei divertimenti che ha utilizzato la televisione per promuoversi, trasmettendo in tv la cerimonia di inaugurazione, è stato Disneyland, fin dall'inizio della propria vita legato a doppio filo con la televisione, collaborazione poi continuata negli anni, anche attraverso il coinvolgimento della rete ABC nel finanziamento dei parchi.

 

Disneyland, Anaheim, California

 

Non solo: è probabile che il 17 luglio 1955 qualcuno uscì davvero dall'inaugurazione di Disneyland in lacrime. Racconta Wikipedia che il giorno dell'inaugurazione passò alla storia come “il giorno nero” di Disney:

«oltre agli 11.000 regolarmente invitati, se ne aggiunsero altri 30.000 che riuscirono a entrare con dei biglietti di invito falsi. L'enorme affluenza creò ingorghi chilometrici su tutta l'autostrada, mentre nel parco, dove a stento si riusciva a camminare, finirono ben presto le scorte di cibo facendo infuriare gli ospiti. A questo si aggiunse uno sciopero degli idraulici che perdurava da qualche giorno che fece rimanere le fontane del parco a secco. Complice il caldo infernale di luglio e l'asfalto fresco posato sulla Main Street la mattina stessa, i tacchi delle scarpe delle signore finirono per incollarsi al manto stradale, rendendo ulteriormente complicato il passaggio sulla Main Street.

 

In alcuni punti del parco, inoltre, la vernice era ancora fresca, tanto che alcuni operai ancora stavano terminando di ridipingere degli oggetti. Nel tardo pomeriggio, una fuga di gas costrinse alla chiusura anticipata alcune zone del parco, costringendo gli ospiti ad ammassarsi in spazi ancora più ridotti. I giornali dell'epoca riportarono di come fu disorganizzato il tutto, e stroncarono subito il parco tanto amato e voluto da Disney, definendolo come un “vero incubo”».

 

Entrambe le contingenze citate suggeriscono che le corrispondenze fra Dismaland e Disneyland al di là dell'ovvio e manifesto richiamo, a partire dal nome e dalle icone di fama globale (topi, principesse, castelli etc.), sono molte, e per lo più nascoste. Per comprendere la non facile operazione di Banksy, che come gran parte dell'arte contemporanea non offre al pubblico la via di scampo di una qualsiasi forma di gratificazione, andrebbero cercate ripercorrendo la storia del colosso mondiale dell'intrattenimento. Esercizio di per sé interessante in grado di fare luce su una serie di abitudini assunte dal pubblico globale, delle quali Disney è certamente uno dei responsabili; abitudini che nel tempo hanno reso sempre più arduo il riconoscimento dello scarto fra finzione e realtà, grazie a una estetica ambigua nella sua apparente e pretesa godibilità, innocenza e immediatezza. Mentre cercavo le notizie uscite in rete su Dismaland, in uno dei quotidiani online consultati, nella colonna di inserzioni pubblicitarie a destra, mi è apparsa questa immagine.

 

       

 

A Dismaland, ho pensato, osservando il colibrì sulla cicatrice, non è necessario andare. Dismaland è tutti i giorni, dappertutto. E Dismaland è lì per farcelo presente. Anche a Disneyland non è necessario andare, perché anche Disneyland è dappertutto. Basti dire che nell'ormai lontano 1995 più di 200 milioni di persone all'anno guardavano un film o una videocassetta Disney, 395 milioni di persone guardavano ogni settimana un programma Disney alla tv, 212 milioni ascoltavano o ballavano musica Disney e più di 50 milioni visitavano uno dei suoi parchi a tema, come riporta Vanni Codeluppi in Disney: Un mondo di gioia (in Il potere della marca, Bollati Boringhieri). Se così non fosse, Disneyland non sarebbe la meta turistica più visitata al mondo, quella che da sola rappresenta oltre il 50% del fatturato Disney.

 


 

Si parla, genericamente di Disneyland, ma, come è noto, nel mondo esistono cinque grandi parchi a marca Disney: il primo, quello nato nel 1955, ad Anaheim, nei pressi di Los Angeles, in California; il secondo, Disney World, edificato nel 1971, a Orlando, in Florida; e poi Disneyland Paris, in Europa, 1992; Tokyo Disneyland, 1983; e infine Hong Kong Disneyland, aperto nel 2005. Che i cinque luoghi costituiscano un'unica grande attrazione lo si capisce dalla serialità che li contraddistingue, che trova massima espressione nell'icona del castello della Bella Addormentata nel bosco (o di Cenerentola, in alcuni casi) che in tutti i cinque luoghi accoglie i visitatori là dove culmina la Main Street. L'autostrada a quattro corsie dei sogni di massa termina davanti al castello più castello fra i castelli esistenti, veri e immaginati.

 

Disney World, Orlando, Florida

 

Il castello della Bella Addormentata nel bosco, apparso nel film omonimo, e assunto a simbolo grafico della Disney, è una compiuta espressione di quel Medioevo disneyano, che fu e rimane uno dei pilastri dell'estetica realizzata dal fondatore dell'azienda americana. I castelli medioevali, così come le altre ambientazioni medioevaleggianti in gran parte dei film Disney, sono molto diversi da quelli reali, ma alla Disney furono così abili nel rielaborarli, che nel tempo nell'immaginario del mass market l'iconografia hollywoodiana si è sostituita a quella storicamente fondata. Per Walt Disney, peraltro, l'archetipo del castello era Neuschwanstein, edificato in Baviera fra il 1869 e il 1886: un edificio che Ludwig II, detronizzato da una diagnosi di follia e morto in circostanze oscure nel 1886, dedicò alla propria ossessione wagneriana e in particolare al mito di Loehngrin. Progettato dall'architetto e dagli scenografi Christian Janck e G. Dollmann, Neuschwanstein appare, quasi identico, in diversi film Disney, da Biancaneve e i sette nani, a Cenerentola, da La bella addormentata nel bosco a Rapunzel.

 

Neuschwanstein, Baviera

 

Alla visionaria passione architettonica del re bavarese, noto in inglese come Swan King – il re cigno - e in tedesco come der Märchenkönig – il re delle favole –, si devono altre tre residenze che portarono quasi alla rovina economica la casata di Baviera Wittelsbach. In compenso, oggi Neuschwanstein costituisce una delle principali attrattive turistiche della Germania, e probabilmente la fama dei castelli disneyani ha contribuito non poco alla sua fortuna, in un circolo vizioso di notorietà. Il castello della Bella addormentata di Disney ha, come spiega Codeluppi, “base romanica, archi gotici e mura esterne di foggia rinascimentale”, proprio come nato da una contaminazione di stili diversi è il neogotico castello bavarese, che annovera anche interni bizantini ispirati alla Cappella Palatina di Palermo.

 

Dismaland, Weston-super-Mare, Gran Bretagna

 

Anche nel Bemusement Park di Banksy è un castello che, al centro dell'area, accoglie i visitatori, ed è il medesimo castello preso a logo dell'evento. Benché sia riconoscibilissimo come appartenente alla schiatta dei castelli disneyani, il castello di Banksy è più orizzontale che verticale, più fortezza che collezione di torri e pinnacoli dei quali, nella costruzione, rimangono solo incerti e bruciacchiati scheletri. Lo slancio verso il sogno qui sembra essere collassato e tendere all'istituto di correzione penale. Tributato a Cinderella, il palazzo accoglie al suo interno la scena di un incidente mortale occorso alla principessa durante il ritorno in carrozza prima dello scoccare della mezzanotte. La scena luttuosa, illuminata nel buio da una gragnola di flash, evoca la galleria sotto il Ponte de l'Alma a Parigi.

 

Dismaland

 

Poiché siamo nel Regno Unito, l'allusione al fatto di cronaca più traumatico della sua storia recente, la morte di Lady Diana, sembra inevitabile. E, d'altra parte, che oggi le casate regnanti abbiano un debito con le mitologie disneyane al punto di ispirarvisi per apparire più reali del re, come è accaduto ai castelli, costretti a essere più medioevali del Medioevo, lo hanno mostrato alcune immagini apparse dopo le nozze del Principe William con Kate Middleton, con le figlie di Sarah Ferguson, le cugine Eugenia e Beatrice, nel ruolo delle sorellastre, in una riparatoria ricostruzione dell'happy end compromesso dalle vicende matrimoniali di Carlo e Diana.

 

 

Di fronte al castello, si specchia nel fossato l'icona disturbata di una fra le più sexy principesse Disney, la sirenetta Ariel, figlia del re del mare. Indicato dalla Disney come pietra miliare nella propria storia, uscito nel 1989, dopo un periodo di scarsa creatività e dopo trent'anni di lontananza dai cartoni ispirati alle fiabe classiche, il lungometraggio sostituì all'eroina del racconto di Andersen che muore disperata fra atroci tormenti, una sbarazzina lolita in grado di raggiungere l'agognato altare con un paio di gambe da miss. La disturbata avvenenza della Ariel di Banksy, attraversata da quelle che sembrano onde elettromagnetiche e affacciata su fosche acque stagnanti, riporta alla natura plutonica e demoniaca delle sirene, componente presente sia nel racconto di Andersen sia nel mito classico e nelle leggende a esso legate, come mette in luce Carla Ida Salviati in La tua voce per un happy end (in Raccontare destini, Einaudi): le sirene, grandi cacciatrici di annegati, naufraghi e marinai dannati, amano far scomparire i maschi nelle profondità marine.

 

 

Insomma, è la deformazione, a partire dal nome, Dismaland – l'aggettivo dismal è traducibile con tetro, triste, deprimente, luttuoso, funesto, osceno – , in cui Disneyland è stato distorto, il principio che governa l'estetica dell'intera installazione del più noto e al tempo stesso ignoto artista inglese: da parco di divertimento a parco del pervertimento. Un'operazione non indolore, se come recitano le avvertenze all'ingresso: "Sono severamente vietati coltelli, bombolette, droghe illegali e gli avvocati della società Walt Disney". Il tutto potrebbe apparire banale: opere d'arte realizzate come denuncia, facile e scontata, delle mitologie imperanti e delle catastrofi a esse riconducibili. Ma in effetti scontato a ben vedere Banksy non lo è, benché come tale il suo 'parco dello smarrimento' sia stato aspramente criticato da una parte della stampa britannica.

 

Dismaland, mappa

 

Secondo le cronache disneyane, il progetto di Disneyland, da un certo momento in poi, ossessionò Walt Disney al punto da portarlo a disinteressarsi di quanto l'aveva condotto al successo: cartoni, film, fumetti. Per Disney il progetto di Disneyland aveva lo stigma dell'immortalità: la sua costruzione non avrebbe mai avuto termine, si sarebbe evoluta costantemente, migliorandosi, adattandosi, espandendosi, in questo superiore a qualsiasi altro prodotto della casa, costretto a concludersi e quindi a invecchiare. «Il parco significa molto per me, è qualcosa che non sarà mai finito, qualcosa che potrò continuare a sviluppare, a moltiplicare, ad allungare. […] Voglio qualcosa di vivo qualcosa che continui a crescere», affermò in un'intervista, come riporta Franco Fossati in Walt Disney e l'impero disneyano (Editori Riuniti).
 

Disneyland Paris, Francia

 

Nato dal suo amore per gli automi, le macchine e le costruzioni in scala ridotta, passione comune ad alcuni terrifici personaggi di Hoffmann, Disneyland prese forma nell'intuizione, precorritrice dei tempi, di un parco dei divertimenti di nuova concezione creato affinché gli adulti potessero tornare piccoli insieme ai bambini. Un luogo in cui il divertimento non si identificasse più con singole attrazioni, ma con la possibilità di accedere a un mondo immaginario realizzato organicamente hic et nunc, nella realtà, e rispondente unicamente a leggi proprie. Un luogo di regressione dove la materializzazione del sogno e dei desideri della classe media americana – che fu sempre il target di riferimento di Disney – consentisse di precipitare nell'incoscienza della realtà. A Disneyland, quanto ha a che vedere con questioni o problematiche sociali, politiche, economiche, vale a dire ciò che è complesso e reale, non ha corso: “Un'idea sottile,” sosteneva Disney, “per quanto brillante, è destinata a non essere capita dal pubblico”. Quanto Disney sia riuscito a centrare l'obiettivo lo dimostrano i numeri: in tutto il mondo sono gli adulti il pubblico numericamente più consistente dei parchi. Come suggerisce Marc Augé in Un etnologo a Disneyland (in Disneyland e altri non luoghi, Bollati Borighieri), il “bambino re” a Disneyland diventa “bambino pretesto” utilizzato dall'adulto per accedere alla finzione.

 

Disneyland Tokyo, Giappone.

 

Su questa progressiva e rigorosa manovra di separazione dalla realtà operata da Disney nell'edificazione del proprio mondo, la dice lunga Disney World, a Orlando, vera e propria città-stato edificata in Florida, come scrive Codeluppi, ottenendo “uno stato di sovranità senza precedenti sul territorio acquistato. Una sovranità di tipo amministrativo, poliziesco, fiscale che consente all'azienda una totale libertà persino rispetto ai controlli sull'uso dell'ambiente”. A Orlando è stato esaudito, post mortem, anche l'ultimo sogno di Walt Disney, quello di creare una vera e propria comunità di umani uniti dal desiderio di vivere nel mondo Disney. Realizzata nel 1995 all'interno del parco, Celebration, che conta 20 mila abitanti, è, come scrive Jeremy Rifkin in L'era dell'accesso (Mondadori), la celebrazione di uno stile di vita più che un quartiere residenziale. Così si esprime l'opuscolo che la descrive:

C'era una volta un posto in cui i vicini di casa si salutavano nella quiete dei tramonti d'estate. Dove i bambini seguivano le lucciole. E i dondoli sotto il portico erano un riparo dalle preoccupazioni della vita quotidiana. Il cinema proiettava cartoni animati il sabato sera. L'emporio consegnava la spesa a domicilio. E c'era quella maestra che aveva sempre visto in voi qualcosa di speciale. Vi ricordate quel posto? Forse è quello dove siete cresciuti. O forse ve l'hanno solo raccontato. Ma era un luogo magico. Aveva la magia della piccola città americana.

 

Disneyland Hong Kong, Cina

 

Costruita in sei stili diversi – mediterraneo, coloniale, vittoriano, classico, costiero, francese – e divisa in aree destinate a diverse categorie umane, fra golfisti, single, pensionati, famiglie etc., la comunità è soggetta a norme come non stendere il bucato a vista, dipingere le case del colore previsto dal regolamento, tagliare l'erba del prato alla stessa misura, e persino non lasciare la casa per più di tre mesi. Ordine, pulizia, sicurezza, cortesia sono le regole pilastro che Celebration ha ereditato dai parchi Disney, a tal punto distintive della loro identità che ovunque nei sondaggi di gradimento risultano essere le caratteristiche più apprezzate dal pubblico, persino rispetto alle costosissime e ipertecnologiche attrazioni. L'impeccabile facciata dei parchi Disney è assicurata, oltre che da una manutenzione ferrea e costante, da un sistema di sotterranei che consente al personale di servizio di nascondere la propria presenza in tutte le situazioni in cui non è parte del protocollo dello spettacolo.

 

La dark side di Disneyland, a stare alla leggenda, nasconderebbe oltre a chilometri di gallerie destinate all'invisibile manovalanza che si occupa di far vivere il corpo artificiale delle attrazioni, il corpo congelato, e in attesa di resurrezione, del fondatore dell'azienda, posto, ça va sans dire, nelle segrete del castello della Bella Addormentata nel bosco (in Deconstructing Disney. Eleanor Byrne e Martin McQuillan). E va ricordato che se Walt Disney fu acclamato come genio del cinema da altri geni come Clair, Wells, Wilder, Ėjzenštejn, nel celebre romanzo LA Confidential di James Ellroy il suo riconoscibilissimo alter ego, Ray Dieterling, cartoonist nonché fondatore di Dreamland, vi figura come anima nera e perversa incombente sulla città, responsabile della morte di un figlio e della corruzione dell'altro.

 

Celebration, Orlando, Florida

 

Quanto l'intrattenimento faccia parte delle nostre abitudini e modelli i nostri comportamenti lo mette in luce indirettamente Banksy nell'intervista che si trova sul sito di Dismaland, quando riferisce che all'inaugurazione del parco la gente si aspettava che le installazioni, in quanto parte di un “parco di divertimenti”, per quanto fosco, “facessero qualche cosa”. Nessuno, riflette Banksy, va a vedere Henry Moore pensando che le sue statue 'facciano qualcosa'. Per quale ragione, dunque, quando si visita un'installazione di arte contemporanea sotto forma di parco dei divertimenti la gente si dovrebbe aspettare davvero un parco dei divertimenti, pur trovandosi a pescare paperelle di plastica coperte di petrolio, a spiare cadaveri di principesse, a guidare un autoscontro con la morte o a pilotare una barca carica di migranti?

 

 

 

Dismaland

 

Se una simile aspettativa potrebbe sembrare assurda, in effetti non lo è. Ed è forse questo il senso profondo di un Bemusement Park, progettato per non offrire alcun appiglio a chi lo visita, e per indurre uno stato di spaesamento non tanto davanti alle opere esposte, quanto alle personali reazioni che si provano davanti a esse. Banksy sembra avere compreso una cosa fondamentale del nostro tempo: senza il supporto di una comunicazione che segnali come utilizzare qualcosa, che si tratti di arte, merce, intrattenimento, o quant'altro, le persone sembrano disorientate di fronte alla possibilità di stabilirlo autonomamente.

 

La definizione di Bemusement Park è perfetta: allo spaesamento chiamato in causa trascina l'ambiguità di tutte le componenti in gioco. Ambiguità dell'arte contemporanea che costantemente sovverte i linguaggi e oppone al bisogno di rassicurazione del pubblico la propria irriducibilità a un senso definitivo; ambiguità del sistema Disney, impeccabile macchina dell'intrattenimento fondata su un costante pervertimento della realtà; ambiguità del pubblico di massa consumatore in pari misura di finzione e di realtà, appassionato di evasione e turismo macabro; ambiguità dei media dispensatori equanimi di sogni ed efferatezze, speranze e catastrofi, in una spirale di contraddizione che annulla ogni possibile attitudine alla ricerca di significato.

 

 

 

Dismaland
 

Dismaland distorce tutti i principi cardine di Disneyland: è un luogo sporco, degradato, fatiscente, allestito per creare l'impressione di un ambiente avvelenato e morente. La pochezza della finzione è sempre a vista, grazie a strutture volutamente rozze, mal congegnate, precarie e camuffate in qualche modo. Dismaland è un cantiere semi abbandonato dell'orrore quotidiano. Personale e visitatori vi si aggirano senza sapere bene come affrontarlo, perché non vi è spazio per l'ironia, per il divertimento, ma neppure per l'adesione a una cultura o a un'estetica alternativa. Dismaland è popolare non perché vi sia stata bandita ogni “idea sottile”, ma perché vi si accede per poche sterline, al contrario di quanto accade nei parchi Disney, in cui l'alto prezzo d'ingresso è da sempre lo strumento per selezionare il pubblico.

 

 

 

Dismaland

 

Nonostante il pervertimento a cui è stato sottoposto, la prova del nove della forza di Disneyland è che a Dismaland vengono portati i bambini. Afferma Banksy nella sua intervista che non bisognerebbe mai sottovalutare il modo in cui questi rispondono alle esperienze e sanno farsi carico di quel che vedono, senza deprimersi, ma anzi reagendo con coraggio. E aggiunge:

«Perché i bambini dovrebbero essere immuni dall'idea che, per mantenere il nostro standard di vita altri bambini devono morire intrappolati in stive di imbarcazioni sul fondo del Mediterraneo? Gli adulti possono essere convinti che l'acquisto di pomodori biologici sia sufficiente a salvarsi l'anima, ma se questa mentalità passerà alla prossima generazione non avremo buoni genitori.»

Il palloncino nero “I am an imbecile” scongiura il loro avvento.

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