Dispaccio #9. Di monaci e zombie
Per ogni evenienza, prima di entrare nel cono d’ombra del prossimo inverno politico, sarebbe bene leggersi Knowledge. How to rebuild our world from scratch (2014) di Lewis Dartnell, ma la verità è che siamo già fuori tempo massimo: sarebbe come andare in armeria dopo l’apocalisse zombie, cioè dopo la Caporetto cognitiva che ha piegato il Bel Paese. Un tempo gli zombie erano metafora del consumismo capitalista, oggi sono diventati marionette della narrazione antropocenica delle élite, ma gli zombie restano comunque zombie: sono lenti, stupidi e soprattutto puzzano.
La metafora è ovvia, anche se continuiamo a comprare i loro romanzi e a credere alle loro millanterie, quello che però dobbiamo sapere è che gli zombie non possono morire e vanno in giro per anni a impestare l’aria. L’unica cosa da fare è non mettersi sottovento. Quello che occorre, insomma, è un nuovo lockdown volontario, non contro pandemie, guerre o maree di calore ma per proteggerci dal collasso dei sistemi culturali, politici e immaginativi che ci ha investito. Non esiste un libro per “informarsi” su tutto questo, c’è solo un patchwork di saperi, tattiche e scenari, e anche se esistesse un manuale di sopravvivenza complessa nessuno ormai se lo leggerebbe.
La realtà è che a portata di mano non ci sono scrittori in grado di ispirare una generazione, non ci sono leader politici disposti a difendere i più deboli e a pensare in lunga durata, ci sono pochissime esperienze sociali in cui si possa coltivare un immaginario alternativo. In ogni caso, l’Italia culturale è stata traghettata verso l’orlo del mondo da un equipaggio di poser e intellectual yet idiot, ed è tempo di salvare il salvabile: “le comunità monastiche di sopravvivenza saranno acquartierate in luoghi alti, perché in un’epoca insicura sono più facilmente difendibili, […] potrebbero essere costrette a vivere per tempi piuttosto lunghi nella clandestinità […].
Una continuità culturale efficiente potrà essere assicurata solo se in una sequenza ininterrotta di individui si riprodurranno abitudini, capacità, padronanza di nozioni, interessi e tradizioni di tipo costruttivo […]. Gli aggregati umani si degradano, le decisioni dei potenti li spingono verso la instabilità e non avrebbe senso il tentativo di invertire queste tendenze con una semplice diffida rivolta alla società e ai governi. Solo le esortazioni ai singoli possono avere conseguenze dirette e limitate”. Era il 1971. Roberto Vacca, mezzo secolo fa, stava lanciando un sasso nel nostro adesso-qui. Aveva ragione? Per quel che mi riguarda, nel monastero, mi occuperei di epica e saperi brassicoli.
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