Emily Dickinson, caccia all’impossibile

6 Agosto 2023
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Più che una biografia Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson scritto da Marisa Bulgheroni nel 2011 e ora ripubblicato per le edizioni del Saggiatore, appare un’affettuosa e illuminante incursione, simile a un romanzo, dentro la vita (segreta e meno segreta) della poetessa di Amherst. Scrive l’autrice, a fine volume: «Anch’io ho vissuto nelle pagine di questo libro. Ho attraversato la vita di Emily Dickinson, da clandestina, svelando la mia presenza fisica solo là dove era necessaria la mia parola di testimone. Anche per me è giunto il tempo di congedarmi dal lettore e di raccontargli, nell’uscire di scena, la mia vicenda di biografo “acchiappafantasmi”, che ha rinunciato all’“onnisciente” per inseguire di persona le ombre presenti nei luoghi di una vita, lasciandosi alle spalle archivi e biblioteche per farsi segugio in una caccia all’impossibile» (SS).

Il risultato di questo lavoro empatico e minuzioso è una biografia non tradizionale, benché ricca di dettagli intimi e reali sul personaggio, ma un intimo addentrarsi “nei sobborghi di un segreto”, considerando, commentando, illuminando di scorci nuovi, fra citazioni, poesie, lettere, testimonianze, la «potente soggettività lirica della poesia di Emily – celata nelle varie “maschere” e modulata in una pluralità di voci contrastanti» (SS). La vita monacale, le poesie mai pubblicate in vita, le osservazioni annotate sull’orlo di buste o di lettere, sono il segno di una esclusiva attenzione al suo imperscrutabile mondo interiore, annotato in carte sparse. Proprio in un frammento vergato su busta, versi appena abbozzati, neppure costruiti in poesia, annota Emily: «Fossero integri / i nostri sensi / Ma / anche se / è bene che non siano / del tutto a posto / Così intimi alla pazzia / così soggetti ad essa / esso / che / Avessimo gli occhi / nella testa – / e meno male – com’è prudente / che siamo ciechi – / altrimenti non potremmo / fissare la terra – il mondo / così totalmente / impassibili – /» (BP).

Questo auspicio di possedere un corpo non integro, di essere cieca, favorisce l’esasperazione di una veggenza interiore che, nelle sue 1800 poesie, si dipana come in un diario quotidiano di soprassalti e di percezioni. Bulgheroni scrive: «Non c’è, nel romanzo di Emily, la lunga pausa di un “tempo ritrovato”, in cui incontrare – come il protagonista della Recherche proustiana – i personaggi conosciuti nell’arco di una vita, imbiancati dalle nevi della vecchiaia, riuniti per un’estrema mascherata. Sarà lei a doverli inseguire oltre i limiti del tempo umano, nelle immensità siderali che le sembrano sconfinare nell’eterno, per rintracciarli, ognuno, in una stella – segno d’interpunzione cosmico che, come l’asterisco, segnalando un’assenza, la rende visibile allo sguardo» (SS). Tutto, della vita di Emily, è interpretato e re-interpretato dalla biografa in una personale cassa di risonanza, dove il minimo dettaglio, confermato da lettere e poesie, diventa il drammatico resoconto di una vita che, dopo i primi, fugaci entusiasmi per gioie adolescenti e amori fantasticati, sceglie il segreto dell’ascesi.

Bulgheroni si avvicina quasi in punta di piedi alla sua fine terrena: «Consapevole di abitare ormai una terra di confine, è lì che Emily si accampa, come se lì dovesse restare; non rinuncia a scrivere lettere, perché “una lettera è una gioia terrestre, e negata agli dei”; e poesie in cui l’estasi di essere temporaneamente durevole contende il passo all’attesa della morte: “Privatemi di tutto, ma lasciatemi l’estasi”. Se non scrive legge, avidamente come sempre» (SS).

L’autrice sembra assistere agli eventi della vita della Dickinson come una testimone invisibile, informata e non intrusiva, e proprio da questo punto di vista inizia a raccontare, dai luoghi dove la poetessa è vissuta, e non dai libri che ci parlano di lei. L’effetto è quello di vedere la vita reale e intellettuale di Emily dalla prospettiva di un cannocchiale rovesciato che evidenzia cortocircuiti e incandescenze, sottolineando l’inesorabile sfida della sua vita breve e segreta a ogni normale esistenza terrena. «Le sue lettere, – scrive Bulgheroni – brevi o brevissime, porteranno, fino all’ultimo, il segno di un’indomabile energia nell’elettrico tracciato di una stenografa dell’anima. Ma neppure lei – che ha scelto di vivere nel perpetuo presente dell’isolamento – è immune dagli assalti del passato: nei suoi flussi e riflussi il tempo le riporta le amiche e gli amici di altre stagioni, simili a viaggiatori che, scampati alle bufere dell’esperienza, bussino alla sua porta, spettrali come vento, ansiosi di irrompere e dii essere riconosciuti nei loro corpi sgualciti, di riconoscere in lei, immobile, le stigmate della vita» (SS).

Ancora in Buste di poesia Emily scrive un breve appunto: «In questa / breve vita / che dura solo / meramente / un’ora / quanto – quanto poco – è / in nostro potere» (BP). Bulgheroni insegue, attraverso le sue parole, catturate dalle lettere e dai versi, il ritmo segreto di una vita che sfugge a ogni gabbia esterna. Leggendo il libro, le voci della biografa e della poetessa sembrano intrecciarsi in una felice identificazione, plasmando un caleidoscopio di osservazioni dove la voce di Bulgheroni è lo specchio della voce stessa di Emily. Noi non stiamo leggendo la biografia di un artista ma il poema di un’identificazione, come se il critico volesse tenere stretto il poeta in un abbraccio lungo quanto è lungo il libro.

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Ascoltiamo il paragrafo “Una polare ritrosia”, nel capitolo Donna in bianco: «Se le prime testimonianze sull’abitudine di vestire di bianco risalgono al 1867, una leggenda familiare ci informa che già nel 1868 Emily tende a confinarsi in casa. Nel settembre di quell’anno, quando la nuova chiesa congregazionista voluta da Austin viene aperta ai fedeli, esce di notte – bianco fantasma – accompagnata dal fratello e, nella bruma leggera, raggiunge un varco aperto alla vista lungo la siepe del giardino per contemplare la grigia guglia accampata nel cielo cinereo. Dopo le tempeste emotive del 1862, dopo le battaglie contro la cecità, una quiete incorporea è calata sulla vita di Emily, che si lascia sprofondare nella solitudine, quasi addestrandosi alla notturna strategia compositiva del ragno, che per lei è “fisionomia dell’immortalità”. Le sue poesie – lei sola lo sa –. hanno la resistenza delle ragnatele – “arazzi invadenti”, “teorie di luce” che si innalzano “estreme”, minacciate dalla scopa della massaia, ma indistruttibili all’origine, nel corpo dell’artista, che “dipana” instancabilmente il suo “filo di “perla”.

La tecnica di osservazione della propria poesia, che Emily perfeziona in questi anni comporta una continua distruzione dei manoscritti corretti che la sua stessa mano strappa, dopo averli ricopiati nella nuova versione per legarli in fascicoli… Quella reclusione che, secondo alcuni biografi, è motivata dall’impossibilità di controllare, in pubblico, i sintomi dell’ansia, del panico, dell’agorafobia, risponde paradossalmente, a una necessità fisica dell’artista: abitare nel profondo di sé, alle radici della lingua, nel cuore dell’analogia» (SS). 

Abitare nella finzione (quanto reale?) di una esistenza remota dal mondo dei vivi è il dovere che Emily si autoimpone scrivendo e che Bulgheroni scava braccando le sue parole. In una celebre poesia Dickinson lo scrive (la traduzione è mia): «Io sono Nessuno. / Chi sei tu? Nessuno anche tu? / Allora eccoci in due! / Non dirlo! Potrebbero spargere la voce! / Gran peso essere Qualcuno! / Volgare – come una rana che per tutto giugno / gracidi il suo nome a un pantano in estasi di lei!»

La vita di Emily è più complessa di quanto non potrebbe sembrare: la sua scelta di assoluto isolamento arriva solo alla fine di tempestosi entusiasmi ed effimeri amori per creature alle quali si appassiona, con la mediazione di poesie, sogni, lettere, rari incontri. Sono note tre misteriose lettere firmate Margherita e rivolte a un non individuato Maestro, datate 1861. Si tratta, come precisa la biografa, di “tre minute, la prima a matita, le ultime due a penna, ricopiate e spedite a un destinatario che rimane tuttora sconosciuto. Sono pagine superstiti di una corrispondenza più vasta o finzioni epistolari? Frammenti di un discorso amoroso che turbina in immagini rutilanti per ripiegarsi su se stesso...» (SS). L’interrogativo resta aperto. Emily vigila sempre perché l’enigma della sua vita più intima resti avvolto in un mistero per il quale non ci sono risposte ma solo ipotesi. «Come il testo delle sue poesie, fitto di varianti, così il testo della vita di Emily autorizza diverse possibilità di lettura, ognuna delle quali s’impone con la stessa perentorietà. E come, per il critico, è arduo accordare una preferenza a questa o a quella variante, là dove il poeta sceglie di non “scegliere”, così il biografo, nell’atto di preferire un’ipotetica versione a un’altra, è assillato dal dubbio che la sua protagonista abbia voluto, anche qui, lasciare ad altri la scelta senza dichiarare la propria» (SS).

Bulgheroni, in questa biografia atipica ed empatica, trova le parole definitive per descrivere a noi lettori il fenomeno “Emily”: «Lo si voglia murare in un corpo lesbico o eterosessuale, asessuato o verginale, in un corpo orfano o materno, trasgressivo o monacale, Emily sfugge ai tanti travestimenti che si cuce – e le cuciono – addosso – perché abita il corpo come un carcere incantato, dove ogni metamorfosi è possibile ma revocabile, ogni esperimento è permesso ma non è mai definitivo. La sua energia amorosa non conosce barriere di sesso, di età, di opportunità. Torna il magico nel corporeo e il sacro nel magico» (SS). La biografia di Emily Dickinson, nella prospettiva di Bulgheroni, è un abisso fitto di lacune che le sparse notizie su di lei, evocate da lettere e ricordi, non rischiarano, come lampàre accese su un mare che resta nero. Solo Emily può mostrarci la propria vita a modo suo, dentro una tempesta, un’eruzione, di cui è lei stessa vittima e attrice: «Vulcani più vicini / un gradino di lava ogni momento / mi sento di scalare / un cratere posso contemplare / Vesuvio in casa» (SS). A conclusione della mia breve nota, mi piace rileggere una sua lettera a Higginson del febbraio 1863, dove vede la “guerra come un luogo obliquo”, un destino ineluttabile a cui solo la parola può opporsi con la sua magia: «Mi sarebbe piaciuto vederla prima che divenisse improbabile.

La guerra, a me, sembra un luogo obliquo… Ho scoperto che lei se ne era andato per caso, come scopro che se ne sono andati i sistemi e le stagioni dell’anno e non ne trovo la causa – ma suppongo che sia un tradimento del progresso che, al suo passaggio, distrugge… Se lei dovesse sperimentare l’immortalità prima di ricevere questa lettera, chi mi informerà dello scambio? Se lei potesse, con onore, evitare la morte, la supplico, signore – sarebbe un grave lutto per il suo gnomo» (SS). Noi lettori invece non siamo in lutto ma in uno stato di gioia: le parole del libro hanno riportato a noi la presenza luminosa e misteriosa di Emily Dickinson: “la cadenza di un passo incombente –” l’aprirsi di una porta”.

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Libri consultati

Marisa Bulgheroni, Nei sobborghi di un segreto. Vita di Emily Dickinson, Il Saggiatore, Milano, 2023 (sigla SS)

Emily Dickinson, Buste di poesia, Archinto, Milano, 2016 (sigla BP)

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