Becoming. La mia storia / La doppia e tripla coscienza di Michelle Obama
Perché dovremmo occuparci delle memorie di Michelle Obama, Becoming. La mia storia (ed. or. New York, Penguin Random House; tr. it. di Chicca Galli, Milano, Garzanti, 2018)? Già, perché dovremmo occuparci di un testo supercommerciale, di un successo editoriale programmato per l'uscita contemporanea in trenta lingue (30!) il 16 novembre, quali le memorie della First Lady degli Stati Uniti (FLOTUS in gergo) nel periodo 2008-2016, e forse, chissà, ancora First Lady in un futuro non lontano? Proprio per questo. Perché siamo di fronte a un libro pianificato per influenzare l'opinione pubblica, dal momento che sarà acquistato in milioni di esemplari sul pianeta, anche se molto meno letto. Tanti lo regaleranno a Natale, anzi tante, si dice, perché sarebbe un libro per donne, scritto da una donna mediatica, famosa, prominente, alta, slanciata, bella, elegantissima. E afro-americana.
La doppia coscienza
Michelle Robinson Obama si confronta, come capita di dover fare a ogni afro-americano, con la doppia coscienza. Si tratta di un concetto e di un termine coniato alla fine dell'Ottocento dal sociologo afroamericano W.E.B. Du Bois, che indica la condizione esistenziale delle persone che si sentono americani ma avvertono anche di appartenere alla comunità nera discendente dagli schiavi e sottoposta allo sguardo razzista, dal quale non possono evitare di sentirsi osservati. M. O. pare essere riuscita, a leggere la sua storia, a far sì che le sue due coscienze non vengano a conflitto e neanche risultino soffocate l'una dall'altra, mentre riconosce e racconta la sua esperienza di persona di colore e cittadina americana. Ma M. O. ha una coscienza in più: quella di una donna sottoposta allo sguardo patriarcal-razzista o dei suoi residui. E su questo punto M. O. si giostra elegantemente, nel libro, tra rivendicazioni di parità da una parte, e dall'altra adeguamento a ruoli quali la parte più tradizionale, chiamiamola così, che ci si aspetta che una donna osservi, anche se si trova in posizioni di potere. Essere figlia e moglie ma soprattutto madre. Preoccuparsi del corpo, dei corpi di lei, dei suoi cari, della nazione americana, facendo sì che siano sani, slanciati, attivi; che si alimentino adeguatamente con cibo sano e non con cibo spazzatura, che facciano moto. Mi preoccupo del corpo perché sono soprattutto corpo.
Il corpo della First Lady
Questo è infatti il messaggio che traspare dal libro di M. O., a partire dalla copertina e dalle dediche. La prima la rappresenta col volto circondato da capigliatura non-afro, illuminato da un gran sorriso e retto da una mano dalle unghie lunghe e curatissime, come tutto l'aspetto; ma soprattutto con una spalla scoperta e come ammiccante. In fondo si potrebbe adattare a questo libro l'incipit degli Essais di Montaigne (si parva licet, etc.): «Questo, lettore, è un libro sincero». Mi presento come corpo di donna, sembra voler dire M. O. dalla copertina, e nell'interno mantengo la promessa. Dalle dediche poi il messaggio viene ulteriormente rafforzato, dal momento che in primo luogo viene la famiglia d'origine, padre, madre, fratello, che la vide nascere e crescere in un quartiere di Chicago; poi viene il suo staff di donne; poi gli «amori della sua vita», ovvero le figlie, di cui continuamente nel testo si ribadisce che sono la sua principale motivazione e ragione di vita. E alla fine, ma soltanto alla fine, Barack, con la promessa fattale di offrirle, nella vita, un viaggio interessante.
La politica mi nausea
Un viaggio che è stato da lui percorso sui sentieri della politica, lungo i quali è stato da lei accompagnato ma che M. O. non ha mai né amato né condiviso. Questo è uno dei messaggi espliciti emanati dal testo: la politica non fa per me, dichiara più e più volte la ex First Lady, mi dà la nausea, non è un posto per brava gente (no place for good people). La politica non si concilia con la famiglia e per questo e per gli altri motivi accennati non è un'arena nella quale abbia voglia di combattere: «I am not a political person»; «I have no intention of running for office, ever». Chiaro chiarissimo. Non avremo una Michelle Obama presidentessa degli Stati Uniti (POTUS, in gergo); forse per la terza volta First Lady, chissà. Certo che i riferimenti alla capacità del marito sono tanti e frequenti, alcuni quasi patetici, tipo quando dichiara che Barack ha smesso da tempo di fumare e che la sera a letto mormora le preghiere.
Espliciti sono anche i messaggi che affermano che la colonna sonora della sua vita è data dallo sforzo e dall'impegno. Nella traduzione italiana si perde la citazione dell'incipit, dove il «sound of striving» che la accompagna dall'infanzia si associa immediatamente, nella mente del lettore, al «sound of silence» della melodia di Simon e Garfunkel («Hello darkness, my old friend...»), creando il piacevole effetto retorico del riconoscimento. Sforzo e impegno da assumere da parte della persona che insieme all'incoraggiamento, all'amore, all'interesse e alle alte aspettative di genitori e educatori determinano, spiega M. O., il successo e la riuscita della persona stessa, come nel caso suo.
Una ragazza nera che parla – le fa notare una cuginetta quando M. O. ha appena dieci anni – «come una ragazza bianca», pronunciando le parole per intero e senza mangiarsi il finale e usando correttamente la terza persona del verbo, e questo perché glielo hanno instancabilmente insegnato i suoi genitori, in una famiglia nera della classe media di Chicago dove si curava oltre alla dizione, l'educazione musicale e l'attenzione alla responsabilità individuale.
Messaggi forse inconsapevoli
Ben poco di questo libro sembra lasciato al caso della libera memoria della sua autrice. E probabilmente anche paragoni e metafore non sono sfuggiti allo staff che l’ha aiutata a mettere insieme queste memorie (più di trenta persone comprese nei ringraziamenti finali). Che siano studiate o spontanee, un messaggio comunque le sue similitudini lo emanano, proprio in virtù del fatto di uscire da un sistema di riferimenti popolare. Non sono immagini convenzionali e ancor meno provenienti dall'ambito tutto sommato ristretto del linguaggio politico condotto a base di lotta, conflitto e naviganti nelle tempeste, guidati da stelle e fari. Le similitudini usate da Michelle Obama provengono piuttosto da un apparato di immagini fiabesco: Barack, viene detto più volte, è «un unicorno», per la stravaganza e unicità del suo nome e del suo comportamento; è «una pentola di rame lucida», come la pentola delle monete d'oro alla base dell'arcobaleno, che continua a essere splendente (shiny) nonostante le tracce del fuoco e gli ammaccamenti dovuti all'età (tornate a usarla, dunque...). Altre immagini sembrano uscite direttamente dai cartoni animati, come i politici, da lei visti (prima di conoscere Barack, ovviamente) quali «tartarughe con la corazza e la pelle come cuoio che si muovono lentamente, mosse da interessi privati». E soprattutto quella di lei che, mentre conduce la durissima campagna elettorale del marito non mostrando segni di fatica, si sente «un cigno che scivola sull'acqua mentre sotto pedala energicamente con le zampe».