Schermo

9 Settembre 2015

Il primo schermo è comparso nell’Ottocento ed era quello gigante dello spettacolo cinematografico. Poi è arrivato quello piccolo dell’apparecchio televisivo. E oggi viviamo circondati da schermi di tutte le misure, perché negli ultimi decenni gli apparecchi elettronici si sono moltiplicati, in quanto sono diventati sempre più piccoli, leggeri e facilmente utilizzabili in ogni momento della vita quotidiana.

 

 

Davanti agli schermi digitali, la mente umana tende a leggere i testi in maniera radicalmente differente rispetto a quello che faceva in precedenza. Se per molti secoli, infatti, gli esseri umani hanno letto grazie alla luce riflessa, che cadeva sulla pagina e da lì rimbalzava verso l’occhio, oggi la luce viene di solito proiettata dagli schermi direttamente verso chi guarda. E, data l’enorme quantità di tempo che le persone passano davanti agli schermi, negli occhi viene irradiata luce per buona parte della giornata, determinando prima di tutto delle conseguenze sul piano fisico. La luce degli schermi, infatti, tende a ridurre la frequenza dei battiti delle ciglia e a seccare i bulbi oculari. Parallelamente, la capacità visiva degli esseri umani tende a peggiorare e non è un caso che sia stato riscontrato che tra i bambini, i quali trascorrono molte ore davanti agli schermi, la quantità di miopi stia crescendo in maniera esponenziale.

 

Ma va anche considerato che con gli schermi elettronici ciò che avviene è che il dito che tocca la superficie dello schermo sembra essersi reso autonomo dall’individuo e dal suo corpo. Di solito, infatti, sfiora appena invece di toccare, perché la reazione dell’essere umano rispetto alla tecnologia dev’essere estremamente veloce. Siamo dunque di fronte a una forma di sensorialità soft, dove sono ridotti al minimo sia il coinvolgimento del corpo che quello della mente. La quale, per sentirsi realmente partecipe di una situazione, ha sempre avuto la necessità che la mano, primario strumento d’interazione con l’ambiente, afferrasse pienamente ogni cosa, in stretta connessione con il cervello, al quale mandava in continuazione gli stimoli che riceveva. Con gli schermi touch, invece, il contatto è soft e perciò il cervello interagisce, ma non percepisce, non elabora e dunque non sviluppa una vera riflessione. Mentre il dito diviene un’entità che forma un tutt’uno con lo strumento tecnologico per la comunicazione e opera in gran parte attraverso automatismi che sono imposti dallo strumento stesso e indipendenti dalla soggettività umana.

 

Nam June Paik, TV Buddha, 1974

 

Nell’antichità, gli esseri umani utilizzavano per comunicare dei supporti fissi che consentivano la permanenza nel tempo della scrittura. Tutto però si svolgeva sulla superficie di tali supporti e i messaggi erano strettamente legati al materiale che veniva di volta in volta impiegato (come la pietra o il legno). Con l’arrivo della stampa sono stati fatti dei notevoli passi in avanti dal punto di vista della leggerezza e della trasportabilità, ma la rigidità del legame esistente tra il messaggio e il supporto che lo veicola è rimasta in gran parte invariata. E così è stato anche quando sono comparsi strumenti come la fotografia e il cinema, che sono solamente in grado di fissare nel tempo degli eventi già accaduti, rendendoli disponibili per visioni ripetute.

 

Lo schermo elettronico permette invece di accedere a qualcosa che scompare rapidamente. Non solo viene di solito frammentato in più finestre, ma il contenuto di ciascuna di esse muta in continuazione. Il messaggio non è più costretto ad aderire completamente alla superficie del supporto che lo contiene e diventa estremamente libero, mentre nel contempo s’indebolisce la capacità tipica dei supporti fissi del passato di conservare nel tempo la memoria. Questa permane e anzi si rafforza all’interno degli apparecchi, ma è proprio il suo accumularsi e moltiplicarsi che ne rende difficoltosa la fruizione.

 

Gli apparecchi elettronici rendono inoltre possibile allo spettatore di muoversi in sintonia con lo schermo che sta guardando e di sfuggire alla costrizione di dover rimanere immobile all’interno dello spazio, come accadeva ad esempio con la televisione tradizionale. Chi guarda ha così la gratificante sensazione di essere costantemente in contatto con la realtà esterna e di poter esercitare un controllo su quella realtà stessa a cui lo schermo gli consente di accedere. Una realtà ridotta e semplificata alle dimensioni di qualcosa che può essere tenuto in mano, toccato e manipolato con estrema facilità.

 

Ciò è rafforzato dal fatto che gli schermi tattili contenuti in molti degli odierni strumenti tecnologici di comunicazione sono in grado di consentire di sperimentare una sensazione di fusione tra tali strumenti e il corpo dell’utente. Una sensazione cioè che rafforza notevolmente in quest’ultimo la sensazione di disporre di un elevato potere nei confronti della realtà sociale che lo circonda.

 

 

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