Calciorama: l'azzurro di Maradona, il viola di Baggio

4 Novembre 2022

In Cromorama (Einaudi 2017), un saggio straordinario, Riccardo Falcinelli a un certo punto scrive: «Il colore è spesso un'idea o un'aspettativa. Ovvero certe tinte diventano tutt'uno con gli oggetti che le indossano al punto che è difficile pensarli altrimenti», questo pensiero mi è ritornato in mente non appena ho cominciato a sfogliare (ancor prima che a leggere) il libro di cui ci occupiamo oggi: Calciorama, i colori della passione (Hoepli, 2022), di Osvaldo Casanova, Gino Cervi e Gianni Sacco. Il volume – coloratissimo e corredato da numerose e belle illustrazioni – racconta il calcio (la passione che genera), tra fatti molto noti e altri più piccoli ma altrettanto importanti, partendo dai colori delle maglie delle squadre.

Tutt’uno con gli oggetti che le indossano, scrive Falcinelli, e che oggetto sarebbe una maglia di calcio senza il suo colore? Sarebbe lo stesso oggetto, ne sarebbe un altro o, più verosimilmente, non sarebbe niente? Estendendo il campo della scienza a quello della fantasia dobbiamo addirittura domandarci: esisterebbe una squadra di calcio senza i suoi colori sociali? Risposte colme di buon senso magari propenderebbero per un sì, noi calciofili e sognatori scuoteremmo la testa e diremmo no! Una squadra è prima di ogni cosa il colore che la distingue dalle altre, il colore – così comincia più o meno questo libro – che da bambini ci colpisce e che ci spinge a tifare Fiorentina invece che Torino, Napoli al posto della Lazio, e così via. Tifiamo dapprima un colore, in seguito la squadra cui pertiene quel colore, poi un calciatore, poi via via gli altri. Ci innamoriamo di Maradona ma siamo azzurri, perdiamo la testa per i colpi di testa di van Basten ma siamo rossoneri, rimpiangiamo Gigi Meroni e Valentino Mazzola perché siamo granata, pensiamo a Di Bartolomei e a Bruno Conti ma siamo giallorossi.

«L’origine territoriale e linguistica (pavesi della bassa) di due degli autori di questo libro […] ci induce a segnalare, di sfuggita, un’eccezione cromatica universale: il colore tra-sü-de-ciuc (lett. rigurgito di bevitore smodato) che potrebbe riassumere tutte le sfumature di granata di cui abbiamo parlato. Ma si tratta di una tinta non codificata, indefinita […] Di tutto ciò potremmo scrivere un domani, qualora decidessimo di parlare dei colori delle terze o quarte maglie dei club di oggi (o solo della verniciatura delle utilitarie Fiat di ieri)».

E perché l’Olanda è arancione e, soprattutto, perché lo è la Pistoiese. Il bianco sulle maglie del Real Madrid. I motivi di tutte quante le righe, le rossonere, le nerazzurre, le bianconere, le biancorosse. Le declinazioni di tutti i vari celeste, dall’Argentina all’Uruguay alla Lazio. Il volume ricorda un almanacco, un albo illustrato, romanticamente disegnato come un album Panini in movimento, con le maglie stese tra le pagine ad asciugare i ricordi o a evocare un sentimento, una malinconia, una delusione. Perché è sempre di questo che stiamo parlando, d’amore, anche se il sentimento va appresso a una sfera che rotola.

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I capitoli sono venti e ognuno, manco a dirlo, muove da un colore. Il colore apre il campo al racconto di un fatto, di un gesto, di un gol (si capisce), di un piccolo movimento che un calciatore compie prima di una partita, come arrotolarsi le maniche di quella maglia colorata, vedi Valentino Mazzola prima di suonare la carica; oppure che un fenomeno compie durante una partita, per esempio i cambi di direzione di Cruijff che non abbiamo ancora capito, ma sappiamo che erano fatti in arancione e dopo con i colori del Barcellona.

Cervi, Sacco e Casanova sono bravi anche a trovare i momenti in cui i destini di una squadra sono cambiati per sempre, come nel caso del Napoli che cambia la prima volta con l’arrivo di Maradona nel 1984 e cambia di nuovo quando comprende il proprio destino. È il 3 novembre del 1985 e Maradona segna su punizione alla Juventus, il Napoli vincerà per 1-0 (e non batteva la Juve da tempo). La punizione leggendaria viene calciata da dentro l’area, la barriera è a cinque o sei metri, eppure la palla si infila sotto la traversa e per sempre alle spalle di Tacconi. Nessuna delle sciarpe azzurre presenti a Fuorigrotta quel giorno ha capito come sia stato possibile, non lo ha capito Tacconi, non lo ha capito nessun altro. Lo sa solo quell’uomo in azzurro con il 10 cucito sulla maglia, ovunque si trovi adesso.

«Un numero. Il 7. Una maglia. Rossa. Poi ci vuole qualcuno che la indossi. Qualcuno, però, che non si accontenti di infilarsela come un indumento sportivo qualsiasi, come un’ordinaria dotazione tecnica per eventi agonistici. C’è bisogno di qualcuno che la vesta in maniera diversa da tutti gli altri. In campo ma anche fuori, magari con una carica anarchica e non convenzionale. […] Per amor di sintesi: qualcuno che la porti in maniera divertente. Di più: entusiasmante. Per amor di sintesi della sintesi: qualcuno che se la metta addosso a Manchester, all’Old Trafford, ma anche in giro per il mondo, e sempre come un diavolo rosso. Un Red Devil. Lasciando una traccia. E facendo meraviglie».

La passione, il tifo, gli autori fanno avanti e indietro, e non mancano Gianni Brera, Sandro Ciotti, Gianni Mura, Giovanni Arpino con dei versi sul Toro. Immaginiamo, invece, che sia stata la mano di Gino Cervi, conoscitore profondo di poesia, che abbia piazzato tra un dribbling e una finta, una vittoria e una sconfitta, dei versi di Vittorio Sereni e di Umberto Saba. Le maglie che oggi cambiano ogni anno, la prima, la seconda la terza (che quasi sempre ricorda un pigiama), ma quando andiamo con la mente alla nostra squadra la pensiamo sempre nel colore primario.

E se c’è Paolo Rossi non può mancare Ezio Vendrame, non manca Sollier. Vendrame che non ha vinto nulla, che ha scritto non irresistibili poesie, ma che giocava benissimo e una volta ha scartato tutti i compagni di squadra per rimettere le cose a posto. E dopo Cantona e Pasolini, Zeman e Milla. Il calcio è una giostra colorata (lo era pure quando le immagini erano in bianco e nero) e i nostri autori lo sanno. In fondo, scrivendo e illustrando questo libro non hanno fatto altro che tirare fuori le maglie dagli armadietti, indossarle, accorgendosi che la taglia era ancora quella giusta. Naturalmente le pagine vanno a formare anche un piccolo racconto del Novecento che è passato dal pallone in tanti momenti cruciali, dalle guerre al dopoguerra, dai boicottaggi alla mano di Dio, che è il miglior schiaffo mai stato dato al governo Tatcher. Ma poi il barillete cosmico pochi minuti dopo, messa a posto la situazione politica va a segnare il gol più bello di sempre, che ogni volta che viene raccontato salta fuori dalle pagine. Succede anche in Calciorama e anche per questo ringraziamo.

Testi, inserti, disegni, l’indice dei nomi e delle illustrazioni, il tono approfondito e lieve degli autori rendono il libro un oggetto pieno di storie da scoprire o riscoprire, ma anche una cosa da mostrare agli amici che vengono a trovarci, aprire a caso tra un prosecco e l’altro, mostrando il viola perfetto con cui è illustrato Roberto Baggio.

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