Giovanni Muzzarelli / Italia mia, il tuo sì lungo pianto
Giovanni Muzzarelli, poeta rinascimentale, a causa della sua morte tragica (venne assassinato a trent’anni, in circostanze misteriose, nella rocca malatestiana di Mondaino, di cui era governatore) è noto più per le leggende fiorite sulla sua vicenda che non per i suoi meriti letterari. Tuttavia vale la pena ricordarlo anche per questa dolente canzone sulla sorte dell’Italia.
Italia mia, il tuo sì lungo pianto,
coi sospir molti e gravi,
racqueta omai, poi che ‘l secondo Giove,
cui son del ciel commesse ambe le chiavi
con l’onorato manto,
perché ristauro a’tuoi danni ritruove,
e per te stessa prove
quant’era ogn’altro d’onor tal men degno,
lieto ti porge l’una e l’altra mano.
E perché incerto e vano
infino ad or tornato è ogni disegno,
a lui senza altro ingegno
pòi ritentar umìle
scoprir le tue profonde indegne piaghe,
sì che, cangiando stile,
risaldi ogni tuo vizio, e ‘l danno appaghe.
I duri oltraggi e tanto l’altrui ferro
tinger col proprio sangue
puoi obliar, e quel comun disnore
per cui molti anni ogni buon’opra langue,
perciò che, s’io non erro,
pieno gran tempo d’un bel sdegno il core,
il saggio almo pastore
la notte e ‘l giorno a sollevarti intende.
Però con quel vigor ch’anco ti resta,
così dogliosa e mesta,
poscia che di tal man soccorso attendi,
prendi partito, prendi,
e ogni contraria voglia,
onde al ciel non potean giunger tuoi prieghi,
in un voler s’accoglia,
tal che il gran padre al tuo chiamar si pieghi.
Perché dal dì chi a mille altre ruine
lascia aperta la strada,
quando il popol roman fece Alarico
Affliger con la fame e con la spada,
mai sentenze divine,
per farti il mondo d’ogni parte amico,
cangiando l’odio antico
ne la tanti anni sospirata pace,
non ti dieder più saggio ed umil padre;
il qual, senza altre squadre
che de’santi costumi onde al ciel piace,
u’‘l mal sente vivace,
ch’occupato ha ogni luogo,
va disperdendo con mirabil cura,
perché da l’aspro giogo
possa il collo ritrar lieta e sicura.
Dunque, sian l’acque de’ correnti fiumi,
già sì vermigli e lenti,
dolce cristallo; il suo pregio natio
rivestan le campagne, sì che, spenti
i fier primi costumi,
sol tenga il mondo di valor desio;
e di rubesto in pio
si muti ogni voler, e d’ogni intorno
sudi di mèl,come gia il secol d’oro,
ogni dorato alloro;
e dal già tanto desïato corno,
di gentil copia adorno,
sì vaga primavera,
sì dolce autón, sì largo onor trabocchi,
che poi, com’altri spera,
incontro ogni sventura indarno scocchi.
Quinci tanta dolcezza si distilli,
che gli animi sì crudi,
cui lungo odio civil cotanto gira,
tosto sian giunti, d’impietate ignudi,
al loco onde partilli
gran tempo ingiusto sdegno od altrui ira;
ché già di Cipro spira
l’alta regina, e move dal bel seno
un sì caldo piacer e sì dolce aura,
che ‘l mondo tutto inaura
e di soave amor cuopre il terreno,
a’più protervi il freno
stringendo, sì ch’omai
la strada d’ogni onor si trovi aperta,
e dopo tanti lai
in dolce pace ogn’odio si converta.
Signor, i’parlo a voi, poi che presente
in ciascun loco sete,
empiendo ogn’or di vostra alta virtute
quanto il sol scalda, e ‘l ciel, come vedete,
d’alzarvi non si pente,
perché ferma da voi certa salute
aspetta, e che si mute
il suo stato sì oscuro e sì doglioso
Italia, che la sua fosca ed amara
voce tanto rischiara
al vostro onor, ed al suo mal riposo
promette alto e gioioso,
più che l’usato lieta.
Dunque aprasi il camin, che tanto serra
Marte superbo e vieta,
e segua pace eterna omai la guerra.
Ch’altri lauri Babel e chiunque alberga
fra il Nilo e l’Eüfrate
tesse, per adornarvi ogn’or la chioma;
di che tanto vi stringa alta pietate,
che da vendetta s’erga
de le sue gravi offese e molte Roma
e chi da voi si noma,
sì che cometta a più lodati inchiostri
nuovi trionfi e poetando scriva
ciascuno, e con più viva
vena, dopo mill’anni altrui dimostri
in parte gli onor vostri,
e di cotanta gloria
si dia materia sempre a nuovi versi,
e sian di voi memoria
Turchi, Medi, Caldei, Tartari e Persi.
Se ‘l tuo poco ornamento,
Canzon, non ti togliesse il gir in parte
ov’è chi Italia e tutto il mondo onora,
direi che, uscendo fuora,
il Vatican cercassi a parte a parte,
pregando che di Marte
l’alto furor s’estingua,
sì che si svegli, onde movesi solo
ogni più chiara lingua,
ornando il nome ch’io celebro e colo.
Edizione di riferimento: Giovanni Muzzarelli,Rime, a c. di G. Hannuss Palazzini, Arcari, Mantova 1983