L’umanità al bivio / Divenire terrestri
Oltre l’estrazione, per una vivibilità planetaria. Potrebbe essere questa la sintesi per descrivere l’intento e la forza che sprigiona il libro di Luigi Ferrajoli, Per una costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, Milano 2022. Un moto di esultanza prende già dal titolo e dalla copertina: finalmente un giurista di tale livello prende in mano la situazione! E ci invita a smetterla di essere terricoli per divenire finalmente terrestri, indicandoci una via decisiva per riuscirci, quella delle regole fondamentali, quelle istituenti, per tutti gli abitanti della Terra.
Ad essere chiamati all’impegno sono, naturalmente, coloro che sono i principali responsabili, non solo perché sono divenuti i principali distruttori della Terra, ma anche perché portano la responsabilità di specie di sapere di sapere, e non solo di sapere; di conoscere la conoscenza e non solo di conoscere; di pensarsi e non solo di pensare. Siamo tutti chiamati a farlo per noi e l’ecosistema di cui siamo parte, da cui la nostra stessa vivibilità dipende. La chiamata è a darci le regole di base per smettere di estrarre sempre di più le risorse dalla nostra casa senza preoccuparci della loro riproducibilità, e di abusare senza limiti della nostra capacità di farlo.
Dalla precisa analisi di Ferrajoli ci si sente collocati di fronte all’inatteso e all’impensato: una misura peculiare del suo contributo. Sia per la portata rivoluzionaria della sua proposta, tanto concreta quanto avanzata, sia per la restituzione e il rispecchiamento della nostra attuale condizione di crisi di vivibilità sul pianeta che ci ospita. È N. Katherine Hayles [L’impensato. Teoria della cognizione naturale, effequ, Firenze 2021], che ci pone di fronte all’impensato, evidenziando le funzioni delle forme inconsapevoli e inconsce del nostro pensiero e del nostro sentire, unitamente a un richiamo alla cognizione naturale che mette in rete il sistema vivente e che richiede di essere riconosciuta. Come ha evidenziato Enrico Redaelli occupandosi dei lavori di J. Butler e I. Stengers, siamo oggi nella condizione di possibilità e necessità di riconoscere la nostra alleanza con la natura di cui siamo parte. Che ciò si configuri come un processo impensato e inatteso è per molti aspetti paradossale. Da un lato evidenzia che essere parte di un sistema esige un investimento per rendersene conto, in quanto si crea la condizione di “non-vedere-di-non-vedere”. Dall’altro, rendersene conto è ansiogeno e può divenire angosciante per la complessità di quello che si scopre e il senso di impotenza che ne deriva di fronte alle responsabilità dei disastri da noi stessi compiuti. Quest’ultimo è uno dei rischi più grandi riguardo alla crisi ecosistemica: dal momento che i problemi che abbiamo creato sono talmente complessi e pervasivi, continuiamo come abbiamo sempre fatto, perché tanto non riusciremo ad affrontarli né tantomeno a risolverli.
Se esiste un’ecologia cognitiva planetaria, come sostiene N. Katherine Hayles, in base a una teoria della cognizione naturale, forse può fare da fondamenta per un processo costituente in grado di generare una coscienza planetaria.
Condividendo la considerazione di Luigi Ferrajoli, è possibile riconoscere che qualcosa di particolarmente importante sia cambiato per l’umanità con Hiroshima: da allora ci siamo resi conto della possibilità di autodistruzione. Le decisioni o le non scelte umane riguardo alle devastazioni ambientali possono essere alla base dell’autodistruzione. È stata questa consapevolezza che ha attivato un movimento di opinione diretto a promuovere una Costituzione della Terra. La prima assemblea costitutiva si è svolta a Roma il 21 febbraio 2020. Il libro di Ferrajoli, insieme all’impegno di Raniero La Valle e col sostegno di Michelangelo Bovero, è espressione evoluta di quell’inizio, insieme al sito. L’auspico è una rifondazione del patto di convivenza pacifica fra tutti i popoli della Terra, già stipulato con la Carta dell’Onu del 1945. Siamo a un nuovo crocevia della storia, scrive Ferrajoli, e i principali problemi planetari non sono nell’agenda politica dei governi nazionali e possono essere affrontati solo a livello globale. Disuguaglianze e crisi ambientale si fondono nella creazione di una situazione insostenibile, e la pandemia da Covid-19 ha svelato i nessi che legano la salute delle persone alla salute del pianeta.
Ne derivano due insegnamenti che necessitano di essere considerati cercando le condizioni per affrontare la situazione presente: il primo riguarda il ruolo vitale della sfera pubblica. Solo la sanità pubblica, come del resto accade per l’educazione, può garantire l’uguaglianza nel diritto alla salute; il secondo insegnamento è relativo all’importanza delle istituzioni di garanzia contro fenomeni dal carattere globale unitario, anche per far fronte all’“enorme e vergognoso divario tra paesi ricchi e paesi poveri”. Vi sono cinque emergenze che Ferrajoli individua, accomunate dal fatto che richiedono tutte un costituzionalismo oltre lo Stato: a) le catastrofi ecologiche; b) le guerre nucleari e la produzione e detenzione di armi; c) le lesioni delle libertà fondamentali e dei diritti sociali, la fame e le malattie non curate benché curabili; d) lo sfruttamento illimitato del lavoro; e) le migrazioni di massa.
Forse sarebbe opportuno considerare anche altre due emergenze altrettanto rilevanti per la libertà, la vivibilità e la giustizia sociale: la rivoluzione digitale e i suoi vincoli e le sue possibilità; e le relazioni uomo-donna, i codici affettivi e il loro pluralismo nell’espressione delle differenze e delle possibilità umane e nella ricerca della comune emancipazione.
Nell’ultimo mezzo secolo, mentre la popolazione mondiale è triplicata, il processo di distruzione degli ambienti naturali si è sviluppato in maniera esponenziale. La necessità di un nuovo costituzionalismo si rende urgente per garantire, “accanto ai diritti fondamentali, la cui logica individualistica e le cui garanzie soggettive li rendono inadeguati alla tutela di interessi collettivi, anche quelli che ben possiamo chiamare beni fondamentali perché vitali – come l’acqua potabile, l’aria, il clima, i ghiacciai e il patrimonio forestale –, sottraendoli al mercato e alla politica mediante l’introduzione di garanzie oggettive, come per esempio l’istituzione di un demanio planetario, in grado di assicurarne l’intangibilità” [Ferrajoli, p. 30]. Già E. O. Wilson aveva posto il problema della salvaguardia di “metà della Terra” come condizione per affrontare la crisi ecologica e di vivibilità e i rischi di autodistruzione per gli esseri umani [E. O. Wilson, Metà della Terra. Salvare il futuro della vita, Codice edizioni, Torino 2016].
A proposito delle guerre e delle minacce alla pace generate dalla produzione e detenzione di armi sempre più micidiali, Ferrajoli propone una garanzia costituzionale che dovrebbe consistere nella messa a bando di tutte le armi come beni illeciti. La violazione massiccia dei diritti umani è l’altra emergenza che una Costituzione della Terra deve affrontare. Si pensi solo alla esclusione di intere popolazioni dall’accesso ai vaccini. L’eliminazione della povertà dal mondo richiederebbe non più dell’1% del prodotto globale, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti. Il lavoro è, in base all’analisi di Ferrajoli, una delle emergenze più gravi, con l’avvento e la diffusione di nuove forme di sfruttamento e di schiavitù: sono almeno quarantacinque milioni, nel mondo le persone che vivono oggi in condizioni di schiavitù. Strettamente connessa al tema del lavoro e della vivibilità è l’emergenza migratoria. In essa si combinano le guerre diffuse, l’oppressione politica, la crisi climatica e ambientale e l’esclusione razzista con la relativa ostentazione ufficiale delle istituzioni che negano soccorso e accoglienza.
La natura e le caratteristiche di queste catastrofi sono inedite, in quanto non si possono configurare come crimini penalistici, ma allo stesso tempo non sono fenomeni naturali e sono violazioni massicce dei diritti fondamentali stipulati in tante carte costituzionali vigenti. Siamo di fronte a crimini tollerati o trattati con indifferenza e allora, secondo Ferrajoli, occorre allargare la nozione di crimine, introducendo il concetto di crimini di sistema. I tratti distintivi dei crimini di sistema sono due: “Il carattere indeterminato e indeterminabile sia dell’azione che dell’evento, di solito catastrofico, e il carattere indeterminato e plurisoggettivo sia dei loro autori che delle loro vittime, consistenti queste, di solito, in popoli interi e talora nell’intera umanità” [p. 45].
La seconda parte del libro è dedicata alla ricerca di un costituzionalismo globale come attuazione dell’universalità dei diritti umani, non senza porre una domanda critica e decisiva: come sia possibile che, in tempi come quelli attuali, di crisi delle democrazie nazionali, “un patto costituente planetario possa essere condiviso da 196 Stati sovrani e da quei nuovi sovrani irresponsabili e invisibili nei quali si sono trasformati i mercati?” A questo punto Ferrajoli mette in campo la sua profonda conoscenza del diritto e distingue tra due tipi di costituzioni possibili, una che chiama identitaria – espressione dell’identità e della volontà di un popolo –, e l’altra che in modo diametralmente opposto si configura come un sistema di vincoli e limiti rigidamente imposti a tutti i poteri, a garanzia del pluralismo politico e dei diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti – un patto di convivenza tra differenti e disuguali basato su un principio di eterogeneità.
Emerge così la prospettiva particolarmente coinvolgente di una costituzione delle differenze, cioè dell’uguale valore associato a tutte le differenze, quale presupposto del loro reciproco rispetto e del loro civile confronto, e perciò la difesa dei diritti di libertà, che sono tutti, in ultima analisi, diritti alla tutela e all’affermazione delle proprie differenti identità. Una Costituzione si propone tanto più legittima quanto più sono elevate, disuguali e conflittuali le differenze da tutelare. Emerge a questo punto un passaggio di particolare importanza dell’analisi di Ferrajoli, quando sostiene che il valore e la forza di una Costituzione delle differenze consiste “non già nel consenso delle maggioranze, ma nell’uguaglianza con essa stipulata di tutti i loro destinatari, ossia nella loro “égalité en droits”, come dice l’articolo 1 della Déclaration del 1979; la quale, possiamo essere certi, se fosse stata messa ai voti nella Francia di fine Settecento non sarebbe stata approvata che da un’infima minoranza” [p. 58]. Così come un paradigma costituzionale universale deve fare i conti con l’incompatibilità con la cittadinanza, in palese contraddizione col principio di uguaglianza, e con la pace, incompatibile con la sovranità degli Stati. “La sovranità, in breve, è di tutti”, scrive Ferrajoli, “o, che è lo stesso, non è di nessuno; così come la cittadinanza spetta a tutti o, che è lo stesso, non spetta a nessuno” [p. 61].
L’impotenza dei costituzionalismi nazionali è ricondotta da Ferrajoli soprattutto allo scarto tra i principi generali, quelli che fanno la grandezza dell’Onu, ad esempio, e la carenza delle scelte attuative e della creazione di istituzioni e funzioni globali di garanzia. Solo la combinazione di entrambe le componenti può portare alla forma giuridica di un ordinamento costituzionale universale, che è chiaramente federale: un costituzionalismo multilivello basato sul carattere prevalentemente federato delle istituzioni di governo e sul carattere in primo luogo federale delle istituzioni di garanzia, nonché su chiare separazioni tra le une e le altre. La cura di Ferrajoli giunge alla precisazione tecnica delle condizioni di una Federazione della Terra, individuando garanze primarie e secondarie e giungendo alla previsione di un demanio planetario, a tutela dei beni vitali, come l’acqua potabile, l’aria, i grandi ghiacciai e le grandi foreste, e la messa a bando di mezzi micidiali come le armi, a garanzia della pace e della sicurezza.
Nella terza parte del libro Ferrajoli propone quattro espansioni del paradigma costituzionale, occupandosi delle condizioni per sviluppare un costituzionalismo sovrastatale, un costituzionalismo dei mercati, un costituzionalismo dei beni a garanzia dei beni vitali e a protezione dai beni micidiali.
La vera utopia e il vero realismo dell’autore e del suo progetto, straordinario e anticipatore, si concretizza in un progetto di Costituzione della Terra, di cui elabora una bozza in cento articoli, che per il solo fatto che sia stata pensata da un essere umano deposita un senso di speranza nei nostri tempi difficili.
Sono ampie le attenzioni che la ricerca scientifica in diversi ambiti sta ponendo a quello che è il problema forse più grande che l’umanità sta affrontando e non sappiamo se ciò sia sufficiente e, soprattutto, se quella sensibilità si tradurrà in azioni concrete e in scelte diffuse. Siamo per molti aspetti come infanti di fronte al pianeta che abbiamo violato nei suoi equilibri ecosistemici, ma siamo infanti planetari che potrebbero iniziare a parlare linguaggi adatti al presente [cfr. U. Morelli, Noi infanti planetari, Meltemi, Milano 2017]. Alla ricerca della comprensione della situazione presente concorrono anche l’ingeneria gestionale, la pedagogia e la biochimica, come accade con il libro Antropocene e le sfide del XXI secolo, scritto da A. F. De Toni, G. Marzano e A. Vianello, Meltemi, Milano 2022].
È la cultura come fonte di progresso, di un progresso reinterpretato, la via per abitare l’Antropocene con le sue sfide, secondo gli autori. Una cultura della complessità, fondata su una sintesi tra approccio umanistico e approccio scientifico e posta al servizio di un umanesimo planetario che consenta di capire che il “noi” precede l’“io”. Viene da pensare che quel noi, prima ancora di essere riferito alla solidarietà possibile tra umani, esige un ampliamento di prospettive, oggi. Pur essendo la specie che, in ragione delle proprie distinzioni, può sapere di sapere ed essere cosciente di essere cosciente della propria condizione e dei problemi che abbiamo creato e stiamo vivendo, è sempre più chiaro che le nostre possibilità dipendono dal riconoscerci terrestri prima ancora che umani. Quel “noi”, quindi, ha bisogno di estendersi al sistema vivente di cui siamo parte e da cui dipendiamo. Come del resto è evidenziato nella prima parte del libro, in cui A. Vianello produce una rapida sintesi delle fasi dell’evoluzione della vita e della nostra evoluzione sul pianeta Terra. Ben fa Vianello a considerare la complessa vicenda dell’aggressività umana, distinguendo tra aggressività reattiva e proattiva. Siamo una specie aggressiva e in questo si riconosce sia la nostra disposizione ad avvicinarci ed approssimarci agli altri per amarci o ucciderci; sia la nostra sistematica e costante proattività nel rapporto con l’ambiente in quanto animali tecnologici.
Abbiamo in una certa misura tentato e tuttora tentiamo di contenere la nostra aggressività reattiva, perché non si trasformi in distruttività, anche se non sempre ci riusciamo, a livello individuale, di gruppo e collettivo. Essendo dotati di pensiero e comportamento simbolico, e trasformando il mondo in “oggetto simbolico”, ci siamo comportati e ci comportiamo all’insegna del “di più è meglio”, e solo in questi tempi di evidenze catastrofiche ci stiamo ponendo i problemi della riproducibilità delle risorse e della vivibilità, dei limiti dello sviluppo e della insostenibilità delle sue forme attuali. Le tappe dell’alterazione degli equilibri ecologici iniziano molto presto, nella storia umana, certamente dal Paleolitico, e sono basate tutte su comportamenti estrattivi senza limiti. Fino alla grande accelerazione dell’ultimo periodo con le sue esponenziali e distruttive conseguenze. Dinamiche esponenziali non possono essere né comprese né tantomeno trattate con approcci lineari. L’urgenza di cambiare paradigma sia interpretativo che operativo è impellente, come riconoscono sia Vianello che Marzano, nel libro, occupandosi quest’ultimo della sfida delle tecnologie digitali in rapporto alla crisi ecosistemica. La questione come si sa è molto dibattuta.
Da un lato il digitale è visto come una delle vie che, in una prospettiva di alleanza, può condurre all’innovazione in armonia con la natura; dall’altro si evidenziano i rischi di insostenibilità del digitale stesso, sia per le caratteristiche impattanti sul piano ambientale, sia per il rapporto con la libertà e le forme di controllo sociale ad esso connesse. Marzano analizza le principali sfide della rivoluzione digitale e cerca di presentarne le implicazioni che potrebbero corrispondere a una ricerca delle vie della sostenibilità. Per questo propone una nuova visione dei processi di automazione, in particolare per l’approccio human centered che si starebbe affermando tra i progettisti dei sistemi di automazione. Per questa via, nel libro, la mano passa a uno specialista dell’innovazione secondo un paradigma della complessità come Alberto Felice De Toni, che si occupa della sfida della sostenibilità.
L’autore pone in stretta relazione la centralità della tecnologia per l’economia con il problema cruciale dell’Antropocene, che egli identifica, appunto, con la sostenibilità. La constatazione, che è la stessa da cui parte Luigi Ferrajoli nel suo libro, è che l’umanità sia entrata in un nuovo periodo della sua esistenza, in cui sta alterando i sistemi fondamentali a causa di un crescente e distruttivo comportamento estrattivo rispetto al resto della natura di cui l’umanità stessa è parte. De Toni chiama in causa le imprese benefit e considera il nuovo orientamento degli stessi fondi di investimento, attenti alla sostenibilità, per affermare che la complessità del problema non può essere affrontata solo dagli Stati, ma richiede il concorso di tutti i soggetti, per cercare di trasformare i modelli di business tradizionali in modelli di business sostenibili. Come sostengono, a sei mani, gli autori nell’ultimo capitolo, scopo fondamentale è mitigare l’aggressività proattiva, generando una nuova visione di progresso, ponendo a priorità il “noi” e le comunità umane rispetto agli interessi egoistici. Quella mitigazione e quel cambiamento governati mediante una Costituzione planetaria, che rappresenta l’obiettivo concreto proposto da Luigi Ferrajoli.