Terra Alta / Javier Cercas in noir
La letteratura genera letteratura. Questo è particolarmente vero per un autore come Javier Cercas, che sin dall’inizio della sua attività di scrittore s’aggira negli spazi che s’aprono dentro le pagine dei romanzi da lui letti e chiosati, dove ogni storia contiene in potenza altre storie, per cui l’autore finisce sovente per citarle e impiegarle nella propria narrazione. Forse non a caso il romanzo generativo della letteratura spagnola, e mondiale, è il Don Chisciotte, in cui il personaggio principale sembra partorito da uno sbadiglio dei libroni cavallereschi con cui il Cavaliere della Mancia s’è riempito il cervello, come ha scritto Michel Foucault. Il romanzo del romanzo non nasce con la postmodernità, ma è il risultato stesso dell’attività del narrare come dimostrano due capolavori del passato quali Le mille e una notte e L’oceano dei fiumi dei racconti.
I tre primi romanzi di Cercas (Il movente del 1987, Il nuovo inquilino del 1989 e La donna del ritratto 1997) costituiscono in qualche misura l’antefatto di questo nuova opera, Terra Alta (Guanda, tr. it. di Bruno Arpaia, p. 375), che ne riprende alcuni meccanismi narrativi, e al tempo stesso mette a frutto il lavoro di scrittura delle opere successive come Anatomia di un istante, L’impostore e Il sovrano delle ombre, libri inclassificabili in bilico tra il saggio e il racconto, l’auto-fiction e la storia collettiva, usciti tra il 2009 e il 2017, opere che hanno fatto di Cercas uno dei maggiori autori europei contemporanei. Melchor Marín, il protagonista di questo poliziesco, ha anche lui un proprio libro-guida: I miserabili di Victor Hugo. L’ha incontrato nella prigione in cui è rinchiuso, attraverso la mediazione di un assassino-scrittore, il Francese, ne ha fatto la propria Bibbia, lo strumento per leggere la realtà intorno a lui e soprattutto sé stesso: libro chiave di volta del proprio destino.
Il romanzo fluviale di Hugo è citato, letto, commentato, usato come strumento d’incontro con gli altri, in particolare con la donna di cui s’innamora, Olga, una bibliotecaria, e poi quale cornice entro cui situare l’intera storia di questo personaggio, che come una pallina di un flipper rimbalza tra i vari pulsanti provocandone il continuo movimento interno del racconto. Tutto comincia con orrendo delitto nella casa di un importante imprenditore catalano, nel paese delle Terre Alte, una delle comarche che compongono la Catalogna, nella zona interna di questa regione spagnola, terra abbandonata e insieme suggestiva. In una parola: una provincia. Comincia con un dialogo serrato il romanzo e poi si riavvolge il nastro della storia passata rivelandoci la vera origine di questo poliziotto che incarna in sé la doppia personalità di due dei personaggi principali dei Miserabili: Jean Valjean, il detenuto redento e divenuto un uomo di successo, e Javert, il poliziotto che lo insegue e lo vuole smascherare. Cercas è senza dubbio affascinato dai personaggi bordeline, sia in senso umano che politico, dalle personalità ambivalenti, che contengono dentro di sé i due poli opposti del bene e del male: lo attirano come narratore, perché, fatte le dovute differenze, così sono molti suoi personaggi. Cercas ama descriverli e trovare le ragioni recondite delle loro scelte, spesso del tutto istintive, impulsive e irriflesse, scelte che li perdono, o invece li salvano. Così appare Melchor che da ragazzo difficile s’è messo nei guai con la giustizia e diventa, grazie all’illuminazione ricevuta dalla lettura dei Miserabili, un agente di polizia.
Non sarà una vera redenzione, ma solo una trasformazione, che spiega la ragione del suo accanimento nella ricerca dei colpevoli dell’omicidio del proprietario della Graficas Adell, della moglie e della loro domestica, omicidio efferato. Melchor è un uomo che ha una ferita originaria, che non si rimarginerà mai, anche questa segnata da un delitto, quello della madre, una prostituta il cui assassinio truculento resterà, nonostante le sue ricerche, senza colpevoli. Uomo senza padre, Melchor è prima di tutto orfano di sé stesso. Senza guida e senza bussola, la troverà nella letteratura, senza diventare lui stesso il personaggio d’un romanzo, come invece accadeva nei primi tre libri ai protagonisti del suo autore. Qui c’è uno scarto rispetto a quelle atmosfere postmoderne degli inizi, quando Cercas cercava con intelligenza e sensibilità la propria vocazione nella letteratura. Un autore che ha molti talenti è spesso costretto a faticare molto per trovare la propria strada, perché i talenti, strumento indispensabile, spesso risultano un dono avvelenato per le innumerevoli potenzialità che offrono. Tuttavia nell’arco di due decenni Cercas ha trovato una propria strada narrativa, a partire da I soldati di Salamina (2001), e ha fatto tesoro del suo stesso scrivere senza mai riposare sugli allori. La sua inquietudine, resa evidente dalle storie che racconta, è stata messa ottimamente a frutto.
La vendetta è il principale motore delle azioni di Mechor Marín, una vendetta che a tratti sembra acquietarsi e trovare, come per ogni borderline, ragioni per una profonda bontà. Istintivo, irriflessivo e intuitivo, lo sbirro ed ex carcerato Melchor metterà in moto la storia facendo accadere con la sua sola presenza vicende delittuose o almeno producendole senza volerlo. Terra Alta è una macchina narrativa quasi perfetta, che gira alla medesima velocità dall’inizio alla fine, con una serie di agnizioni successive che svolgono gli eventi contenuti in potenza nella storia stessa. Ogni particolare o dettaglio è contenuto infatti nelle pieghe del plot, a partire dall’ambientazione del poliziesco, il piccolo paese di questa sotto-provincia catalana dove tutto si svolge, salvo i vari feedback barcellonesi. Cercas ha inserito la sua storia noir dentro il contesto dell’indipendentismo, e soprattutto l’ha iscritta nel contesto d’una piccola società paesana dove tutti conoscono tutti e sono andati a scuola con tutti. Questi due temi – la vendetta e il piccolo paese – sembrano tornare ossessivamente in quasi tutti i libri di Cercas. La vendetta è il modo attraverso cui lo scrittore declina la storia della Spagna dalla guerra civile ad oggi, in una continua alternanza di azioni e controazioni, che rimontano a un passato che non passa mai: una storia divisa e mai acquietata.
Dentro il tema della vendetta, o almeno della piccola vendetta paesana, sembra iscriversi la stessa storia dell’indipendentismo catalano, che fa da cornice a questo nuovo romanzo, mentre il paese era ancora il tema dell’ultimo romanzo-saggio di Cercas, Il sovrano delle ombre, imperniato sulla figura di suo congiunto, uno zio, giovane falangista combattente nella tremenda battaglia dell’Ebro, fiume che attraversa proprio le Terre Alte: il paese come società chiusa, microcosmo dove crescono e agiscono odi e amori, tradimenti e decisioni irreversibili. Lo scrittore, pur avendo vissuto in Catalogna a lungo, dopo il trasferimento dall’Estremadura, sua terra natale, come racconta nei suoi libri, è egli stesso figlio della società stretta dove è maturata l’adesione al fascismo falangista inteso come forma di conservazione della propria identità, fede nel passato e nelle tradizioni. Terra Alta è un giallo con continui colpi di scena, costruito attraverso un movimento pendolare tra passato e futuro. Le pagine rivolte all’indietro, dove la voce narrante ci mette al corrente delle vicende passate di Melchor Marìn, le condensa e le commenta, sono probabilmente le più belle del libro, anche se ciò che fa funzionare la storia, le dà slancio e forza, è il motivo noir, le indagini del protagonista e soprattutto i suoi continui scacchi. Il tema del fallimento percorre il romanzo: lo scacco e l’odio si mescolano creando nell’anima del protagonista una miscela esplosiva, che tiene la trama in continua tensione. Melchor è segnato dalla vita, di più: marchiato a fuoco. La violenza lo abita come reazione al mondo, la medesima violenza cieca che costituisce uno dei fondamenti del mondo stesso, seppure saldamente imbrigliata dentro le istituzioni e le forme che la società s’è data per impedire ogni possibile deflagrazione.
Seguendo la lezione degli scrittori americani della hard boiled school, di Ellroy in primis – ma nel romanzo c’è pure la presenza di Sciascia e di altri scrittori europei –, Cercas realizza un noir che tiene insieme i suoi vari talenti e le differenti anime della propria opera e, come nei suoi precedenti romanzi, cerca in Terra Alta di tenere aperte porte e finestre su altre realtà. Quello che la sua narrativa sembra rifiutare è in effetti l’immersione in mondi chiusi e claustrofobici. Cercas vuole sempre aprire su un altrove, che è, insieme all’opposto – la chiusura in spazi e luoghi ristretti – la sua doppia vocazione di scrittore profondamente spagnolo e insieme profondamente europeo, e ovviamente internazionale.
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