Valerie Solanas: fanculo anche il teatro!

6 Settembre 2024

Dappertutto nel mondo i Teatroni mettono in scena i Testi, presentandosi così come i santuari del buon senso teatrale contro gli accampamenti di avanguardisti che mettono in scena cose strane e poco interessanti per il Grande Pubblico. Però è bene sapere che esistono molti testi importanti che i Teatroni e i Registoni mai metteranno in scena, testi di autori noti o meno noti con un aspetto che li rende intrattabili: pungono, fanno male, portano alla luce un troppo umano irriducibile a qualsiasi discorso e impaginazione registica, dunque sono condannati senza appello dalla mesta idea di attualità oggi trionfante. A titolo di esempio ecco uno di quei testi che invece farebbero appagare in tutti i sensi gli operatori e spettatori di un teatro all’altezza del nostro tempo. Si intitola Up your ass, che tradurrei non letteralmente con In culo a te ma con un cordiale Vaffanculo! (sull’esclamativo si può discutere). Lo ha scritto Valerie Solanas, nata nel 1936 sotto il segno dell’Ariete e morta nel 1988 dopo anni da emarginata, mendicante e prostituta, ricordata dai più per aver tentato di uccidere Andy Warhol nel 1968 e assai meno per essere l’autrice del corrosivo Scum Manifesto (1967), manifesto da intendere appunto nella tradizione delle grandi avanguardie novecentesche, dai surrealisti a (almeno) Antonin Artaud, nonché come un controcanto di “umorismo apocalittico” (Deborah Ardilli).

Solanas lo aveva ciclostilato e lo vendeva lei stessa per strada, facendolo pagare un dollaro agli uomini e venticinque centesimi alle donne. Il termine Scum si tradurrebbe come “feccia, gentaglia” e secondo l’autrice definiva precisamente come le donne sono state ridotte dalla società patriarcale, al tempo stesso evocandole come soggetto sociale rivoluzionario.

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Annotazioni dell’autrice alla prima edizione inglese di Scum Manifesto.

Parlare di lei dopo tanti anni è facile, averci a che fare doveva essere tutt’altra cosa. Eppure leggendola è impossibile non provare simpatia per una donna che Warhol definiva disgusting dyke, lesbica schifosa, e Paul Morissey, regista e altro animatore della Factory, “una patetica pezzente, una mentalmente debile”, insomma una povera stronza, una persona senza talento e dall’aspetto ripugnante. Non è possibile qui soffermarsi sullo straordinario romanzo della sua vita, tra l’altro oggetto delle accurate pubblicazioni citate. Ci limiteremo a evocarne il fantasma, nella speranza che possa apparire a molti e promuovere la conoscenza di questa figura appartenente alla progenie maledetta di Villon e di Artaud, di Rimbaud e Dostoevskij e tanti altri. Certo, lei è stata meno prolifica nella scrittura, ma bisogna ricordare che dopo la prigione e diverse reclusioni psichiatriche (dichiarata incapace di intendere e di volere e gratificata di una diagnosi di “schizofrenia paranoide”, una delle invenzioni più creative della psichiatria, oltre che in preda a una comprensibile depressione) ha avuto una vita miserrima, una vita che è un romanzo picaresco dai risvolti drammatici, un’epopea grottesca, un vicenda femminile ancora tutta da scrivere di cui è utile ricordare almeno alcune tappe.

La sua vita maledetta, o sfortunata se preferite, ovviamente comincia assai presto, con un padre molestatore e a seguire un patrigno che la odia. A quattordici anni inizia a identificarsi come lesbica, a quindici ha una figlia, forse del patrigno o addirittura del padre, che verrà allevata dalla famiglia come fosse sua sorella. L’anno seguente ha un figlio con un marinaio; il neonato viene ceduto a una famiglia che in cambio le finanzia gli studi. Negli anni seguenti ha ancora qualche fidanzato, ma si manifesta sempre più come lesbica e gliela fanno pagare. Dopo la laurea in psicologia è costretta ad abbandonare il master a causa della selezione sessista. Nel 1961 si trasferisce nel New Jersey e inizia a scrivere il copione Up your ass. La drammaturgia è il suo primo interesse e l’anno seguente, ormai abitante del Village, propone il testo a vari teatri e produttori, che non di rado le fanno i complimenti ma si guardano bene dal metterlo in scena. Una grande e pesante macchina da scrivere sarà la sua compagna fissa fino agli ultimi giorni. Nel 1965 deposita Up your ass e lo invia a Andy Warhol, prima di conoscerlo personalmente. Alloggia in vari alberghi del Village e infine al Chelsea, dove scrive Scum Manifesto. Nel 1966 incontra Warhol e comincia a frequentare la Factory, in cui è e si sente un corpo estraneo. Warhol è spaventato dal copione teatrale, la evita e infine le dice di aver perduto il testo; lei gli chiede insistentemente la restituzione e un congruo risarcimento. Nel 1967 il “Village Voice” pubblica una prima versione di Scum Manifesto, mentre Valerie cerca attori per mettere in scena Up your ass e partecipa a una trasmissione televisiva durante la quale il conduttore la insulta e la provoca; lei infine cerca di prenderlo a sediate e la cosa finisce nel peggiore dei modi. In settembre è cacciata dal Chelsea per morosità: a trent’anni è ridotta in miseria, dorme sui tetti, mendica, si prostituisce e cerca, con poca fortuna, di vendere copie di Up your ass a dieci dollari. Warhol non le riconoscerà un compenso neppure per la sua partecipazione a I, a Man, film in cui impersona una lesbica che si sottrae al rapporto con un uomo arrapato e insistente. Nell’agosto aveva firmato con l’editore Maurice Girodias il contratto per un romanzo autobiografico, ma all’inizio del 1968 gli propone (senza esito) di sostituirlo con Scum. Il 3 giugno spara a Andy Warhol e il suo caso occupa le prime pagine dei giornali fino al 5, quando viene assassinato Robert Kennedy. Al processo rifiuta gli avvocati e viene rinchiusa nel suo primo ospedale psichiatrico, poi in quello femminile di Elmhurst, famigerato per gli abusi sulle detenute. L’astuto Girodias in agosto pubblica Scum Manifesto tagliandolo e intitolandolo S.C.U.M., acronimo di Society for Cutting Up Men (Società per far fuori gli uomini). Quando, in dicembre, viene rilasciata su cauzione, chiede invano a Girodias di pubblicare un’edizione corretta di Scum, magari aggiungendovi le doverose Confessioni di uno stronzo. È minacciosa anche il pavido Warhol, al quale chiede soldi, lavoro e di ritirare la denuncia. Il risultato è che nel gennaio 1969 viene di nuovo arrestata per minacce e in maggio richiusa in un ospedale, dove tra l’altro le asportano utero e ovaie senza il suo consenso. A giugno arriva una condanna a tre anni. Ancora carceri e ospedali fino al maggio 1971 quando evade da un ospedale, ma viene catturata in giugno, alla vigilia della fine della detenzione. In agosto simula il proprio rapimento e rivolge a destra e a manca richieste di riscatto spropositate. È arrestata più volte per molestie e minacce e nel 1972 è definitivamente fuori gioco. Tra le varie disavventure degli anni seguenti vi è anche una quadriennale relazione con un uomo, a New York. Nel 1975 è la sorella a farla ricoverare, poi comincia un va e vieni tra New York e la Florida. Vive con un sussidio dell’assistenza sociale. Nel 1976 lavora per un po’ alla rivista “The Lesbians Are Coming”, nella quale pubblica lettere in cui accusa di plagio diverse femministe radicali. Nel 1977 la casa editrice di Girodias fallisce e i diritti di Scum tornano a lei, che riesce finalmente a farlo pubblicare correttamente, ma le vendite sono scarse e la sua paranoia si aggrava. Da quel momento le notizie su di lei sono scarse, certo è che passa gli ultimi tre anni della sua vita nella piccola stanza 420 al Bristol Hotel, nel quartiere degli emarginati di San Francisco. Il 25 aprile 1988 ritrovano il suo corpo senza vita ricoperto di vermi.

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Andy Warhol ostenta le ferite procurategli da Valerie Solanas.

Valerie Solanas ha lasciato soltanto questi tre testi, anche loro torturati da chi avrebbe dovuto capirli, ma era un essere di scrittura. Quando è morta era richiusa con la propria macchina da scrivere e centinaia di pagine scritte che la madre ha fatto bruciare. Tutto il suo percorso biografico, medicina e giustizia comprese, autorizza a considerarla come Vincent van Gogh e Antonin Artaud una “suicidata dalla società”. Degno di nota è il fatto che avesse rinunciato a scrivere un romanzo autobiografico, che sarebbe stato a dir poco drammatico, e preferito mantenere un tono di commedia o di farsa, ovvero una chiave comico-grottesca.

Nel corso del tempo in molti le hanno reso omaggio, da intellettuali femministe come Carla Lonzi ad artisti come Demetrio Stratos, per restare all’Italia, però sempre privilegiando Scum, mai valorizzando (a parte la recente eccezione del volume del volume curato da Stefania Arcara e Deborah Ardilli che qui si segnala) ciò che sta all’ombra dei suoi picchi polemici come le affermazioni del tipo «il maschio è una femmina mancata, un aborto ambulante, abortito già a livello genetico. Essere maschio è essere tarato, limitato nella sensibilità. La virilità è una malattia congenita, i maschi sono emotivamente storpi». Soprattutto nessuno fino a oggi ha mai letto con cognizione di causa la sua opera teatrale. Di Scum Manifesto ci si può – volendo – liberare in fretta: il delirio androfobico, l’ansiogena antropologia negativa, gli aspetti insostenibili e le contraddizioni di quel manifesto che invoca l’avvento di un mondo tutto al femminile (ma, per carità, non matriarcale) è facile ricondurli sotto il titolo della provocazione. Persino una femminista appuntita come Carla Lonzi, pur dichiarando la propria simpatia per Solanas, diminuisce il senso di quel testo all’“odio per gli uomini”, mentre in realtà, come dice bene Stefania Arcara, il manifesto non propone l’eliminazione dei maschi ma dei loro privilegi: si tratta di “abolire il sistema binario e gerarchico dei generi”. Un messaggio talmente nuovo e difficile non poteva che essere “detto” tra mille infiammabili contraddizioni.

D’altra parte oggi è facile, oltre che giusto, rivalutare Scum Manifesto come la motivata espressione di temi femministi e universali lontani dall’essere risolti (e men che meno pensando alla mancanza di un analogo processo di autocoscienza nel campo maschile), soprattutto l’idea dominante secondo cui le donne conquistano la libertà diventando come gli uomini. Comunque sia, non è questa la sede per affrontare il tema e nemmeno abbiamo lo spazio per trattare la questione di una visione grottesca del mondo contemporaneo; ci limiteremo dunque a formulare l’invito a riprendere in mano questi testi considerandoli come espressioni artistiche del miglior novecento radicale, o almeno come indice sommario di temi non affrontando i quali la nostra vita rimane ostaggio di una economia e di una ideologia che ignorando le istanze del femminile condannano l’umanità tutta a trascinarsi in una triste mediocrità (nei casi più fortunati).

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Primo manoscritto di Up Your Ass.

Quella di Valerie Solanas non sarà forse una verità scientifica, ma certamente è una verità culturale e poetica con la quale vale la pena di confrontarsi. Se Scum è ancora oggi e per tutti l’occasione di uno straordinario esercizio spirituale, una tappa di autocoscienza e una persino spassosa occasione di co-scienza, la intensità terrificante e al tempo stesso affascinante della visione del mondo di Valerie si manifesta con una vitalità sorprendente e dischiudendo altre prospettive in Vaffanculo! Se in Scum abbiamo una sintesi ideologica, in Vaffanculo! c’è la trasfigurazione ritmico-musicale della percezione del mondo. Perché una cosa è dire al mondo cosa pensi di lui (Scum), un’altra rappresentare l’intima esperienza che ne fai (Vaffanculo!). Sono due modi dell’espressione collegati ma diversi: l’artista è capace di gestirli separatamente mentre attinge alla medesima sorgente. Solanas lo fa in un “grottesco americano” che dopo sessant’anni ci parla ancora di presente e futuro, come può confermare qualsiasi lettura accompagnata da un minimo di autocoscienza, soprattutto da parte maschile.

Vaffanculo! è ambientato gli anni sessanta americani, ma il paesaggio umano che vediamo in azione non è molto diverso da quello di oggi, come da uomo posso testimoniare sotto giuramento. Accadono le stesse cose, si deve prendere atto di quanto poco siano cambiati da allora a oggi il maschio e la femmina ‘normali’, anche se bisogna tenere conto che ciò che viene rappresentato non è un affresco sociale e sociologicamente interpretato, o forse lo è, ma impregnato di cose che si pensano e non si dicono e che sono leggibili nei comportamenti. Puro teatro grottesco. Quindi non è un testo che necessiti di essere attualizzato, va rispettato e semmai integrato con il breve racconto Come conquistare la classe agiata. Prontuario per fanciulle, suo solo altro scritto edito. Però, lo sappiamo, ogni messinscena è una riscrittura. Per Vaffanculo! ci vorrebbe anzitutto un Tony Kushner, il versatile autore di Angels in America anche sceneggiatore per Spielberg (Munich) o adattatore del Dybbuk e altri testi yiddish come il fiabesco romanzo teatrale Stelle vagabonde di Sholem Aleichem. Kushner è un autore che non ‘attualizza’ o riscrive ma semplicemente ricorda di vivere oggi e in questo mondo, tant’è che il suo è un tocco leggero percepito soltanto dagli addetti ai lavori. In Italia l’autore che più si avvicina a Kushmer è il fin troppo versatile Luca Scarlini, autodefinitosi senza tema di esagerare “scrittore, drammaturgo per teatri e musica, narratore, performance artist», prefatore di In culo a te”.

Riassumere Vaffanculo! è come riassumere una sinfonia, ma tant’è. Diciamo intanto che vi sono due grandi “personaggi”, a tutti gli effetti figure mitiche. La protagonista Bongi Perez, ovviamente alter ego di Valerie Solanas è una giovane spiritosa, lesbica, spietata castigatrice delle dinamiche di potere uomo-donna, che batte il marciapiede con un vasto catalogo di prestazioni che dovrebbero servire a spillare soldi agli uomini infoiati concedendo loro meno sesso possibile. Le sue battute folgoranti fanno da contrappunto a un mondo perfettamente riconoscibile. La partitura drammaturgica ha un deciso andamento musicale: oggi Bongi dovrebbe essere interpretata da una rapper poetica e sfrontata almeno quanto Madame o comunque da una straordinaria attrice ventenne o poco più. La messa in scena dovrebbe correre veloce, senza sottolineare il testo anzi restituendolo come un varietà rocambolesco, una sfilata della variopinta fauna con cui Bongi si trova a interagire sul marciapiede di periferia di una grande città che funge da passerella di drag queen, marchettari più o meno sfigati, attempati lascivi, brillanti intellettuali allo sbando, un bambino che si è riempito il pisello di colla, casalinghe disperate e ragazze deficienti che si fingono emancipate. Di ognuno di essi Bongi, con umoristica e scanzonata puntualità, rivela idiosincrasie, paradossi e contraddizioni, senza dimenticare l’assurdità dei comportamenti assunti dalle donne succubi del modello patriarcale per compiacere gli uomini.

Altra protagonista è l’Insegnante, figura da teatro greco antico che ha un assolo tutto per sé con il quale impartisce a una classe di giovani donne una lezione di “Economia domestica creativa” offerta dall’Istituto per il matrimonio e la famiglia: “Ognuna di voi ragazze, suppongo, aspira a essere una futura Perfetta Casalinga Americana [...] una casalinga di successo deve avere rocce al posto del cervello [perché] il matrimonio è un divertimento che si ricava dal dovere e dal sacrificio” e persino “fottere non è compito da affrontare con leggerezza”. La lunga memorabile lezione, crudele ed esilarante, tratta anche della “fornicazione basilare” raccomandata soprattutto alle mogli (“Potresti limitarti semplicemente a farti scopare?”).

Tutti gli altri personaggi, in effetti burattini di grandezza naturale, possono essere interpretati da pochi attori con travestimenti e maschere, in un gioco teatrale veloce, costellato di incidenti e sorprese, una performance molto gratificante per gli interpreti. E come può finire una tale farsa? Dirò soltanto che lascia con la netta sensazione che se non siamo su quel marciapiede è soltanto perché abbiamo realizzato il nostro fallimento esistenziale in altri luoghi. 

Vaffanculo! è stato rappresentato una sola volta a San Francisco, nel 2000, da una compagnia di sole donne (il che mi sembra francamente riduttivo), segno che ancora oggi costituisce una pietra d’inciampo

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Valerie Solanas con il giornale che dà la notizia del ferimento di Warhol.

Certo, il senso di un testo è quello che gli si attribuisce, ma è incontestabile che qui, in chiave comica e quasi subliminale, emergano temi di enorme rilievo. A un’affermazione come “i maschi se lo mettano in culo tra loro, così ci lasciano in pace” Solanas fa seguire il detto degli antichi padri della gnosi: “Perché continuare e riprodurci?”. E questo è soltanto un esempio tra i tanti possibili di sapienza nascosta e persino inconsapevole. Questo per dire che i testi di Solanas non sono soltanto latori di un bisogno di rivolta, sono la ricerca di una possibilità di trascendimento, come accade in Jack Kerouac, ad esempio, e naturalmente ciò avviene attraversando di continuo il confine del paese di delirio e follia, con il rischio di esserne catturati. Solanas però, a differenza di molte teoriche e studiose femministe poi sopravvenute, non scade mai nel turpiloquio gratuito e si rivela una colta e attenta lettrice, come dimostra contraddicendo chi la paragonava a Genet e definendo Sartre e la De Beauvoir “due palloni gonfiati sopravvalutati”.

In ogni caso, anche la controcultura queer degli anni sessanta era dominata dagli uomini. Autori come Kerouac, Burroughs, Ginsberg e diversi altri, pure considerati pericolosi sovversivi, hanno ricevuto riconoscimenti accademici e di ogni tipo; e molti uomini importanti hanno commesso reati ben peggiori di Solanas senza fare un solo giorno di galera. Lei invece, in tutti i momenti chiave della sua vita, è stata duramente punita per il solo fatto di essere donna e lesbica.

Come accennavo, tremendum et fascinans sono, nell’opera di Solanas, al di là della sovraeccitazione comunicativa, due elementi cardine intimamente intrecciati tra loro. Nei suoi testi filosoficamente e ideologicamente blasfemi, se pur lontani da qualsiasi tentazione religiosa, il mysterium della vita contemporanea si presenta con le vesti del numinoso, certo più un sacro più affine a quello della Grotte Chauvet che a quello di Giotto, un sacro rivelatore di esperienze estreme, razionalmente indeducibili e concettualmente inesplicabili di fronte alle quali si prova una sensazione di smarrimento, restandone atterriti e insieme affascinati perché si riconosce o si presagisce che quelle esperienze sono anche le nostre; erano sepolte nella nostra coscienza e ora fanno pensare alle rivoluzioni mancate e ancora necessarie. Questo mistero è terrificante perché costringe chi lo incontra a prendere atto dell’incapacità di vivere come in fondo a sé stessi ognuno vorrebbe, ed è affascinante perché ci fa scoprire forze che agiscono in noi e delle quali non dovremmo o vorremmo essere succubi: è il carattere universale dell’esperienza religiosa. Di fronte al mistero così rappresentato, una musica dei corpi, si scopre il bisogno di imparare nuovi canti e nuove danze, insomma di “sfondarlo” e almeno tentare il proprio trascendimento. Tra questi due poli si verificano tutti i successi e tutti i fallimenti della vita vera, quella che si consuma nella cultura “bassa” delle passioni, degli istinti, della malattia e dell’amore, non in quella “alta” delle idee, funzionante per verba: la necessità di trasumanare ci mette contro l’organizzazione sociale in cui viviamo e che fa di tutto per tenercene lontani.

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Cartolina autografa inviata a Marcella Campagnano.

Valerie Solanas viene storicamente prima e filosoficamente dopo il nostro presente immediato. Frequentare la sua opera, a questa distanza, può essere soltanto un gioco, ma bisogna stare attenti a non perdere il filo. Se Andy Warhol era un campione della decadenza, ovvero si adattava al mondo com’è smerciandogli il proprio originale talento, Valerie Solanas, al contrario, cercava il divertimento (è questo significato del suo “Sono una rivoluzionaria, non una pazza”). Oggi si può essere rivoluzionari in altri modi, come, al di là delle prime apparenze, suggeriscono Scum e soprattutto Vaffanculo! 

Letture consigliate: 

Valerie Solanas, Trilogia SCUM – Tutti gli scritti, a c. di Stefania Arcara e Deborah Arditti, VandA, Milano 2018.

Valerie Solanas, In culo a te, a c. di Nicoleugenia Prezzavento, pref. L. Scarlini, VandA, Milano 2018.

B. Fahs, Valerie Solanas – The Defiant Life of the Woman Who Wrote Scum (and Shot Andy Warhol), The Feminist Press, New York 2014.

C. Lonzi, “Mito della proposta culturale”, in La presenza dell’uomo nel femminismo, a c. di M. Lonzi, A. Jaquinta, C. Lonzi, Scritti di rivolta femminile, Milano 1978.

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