Arte e desiderio a Palazzo Te / Giulio Romano e il piano sequenza
Sul coperchio della scatola Baci Perugina da 257 grammi due innamorati si baciano sotto un cielo stellato. L’influsso delle stelle sembra avere una relazione con il desiderio dei due innamorati, come suggerisce il termine latino “de-sidere” (dal quale discende il nostro “desiderare”), composto dalla preposizione “de”, che indica il moto dall’alto verso il basso, seguita da “sidere”, ablativo di “sidus – stella”.
“Oh se potessi toccare la mano di Neobule!” esclama Archiloco nel frammento 118 West, citato da Plutarco di Cheronea nel contesto di una discussione sulla natura della lettera “E” contenuta nella formula di consultazione oracolare (L’E di Delfi, in Dialoghi delfici. Adelphi, Milano 1983, p. 139). Archiloco canta l’amore con immagini di forte erotismo e Plutarco lo cita portando l’attenzione in modo colto ed elegante sul rapporto fra Eros e divinazione. Nella letteratura greca, già a partire da Omero (Odissea 291s.) e dagli Inni (H. Ven. 155ss.), l’espressione “toccare la mano” indica i preliminari di un amplesso.
L’Eros al quale Plutarco si riferisce nei dialoghi pitici non è quello sensuale di Archiloco ma quello virtuoso di Platone. Il delirio d’amore, che strania dalle normali regole di condotta innalzando l’anima verso le stelle, è contiguo a quello poetico, mistico e profetico. Il sentimento dei due innamorati che si baciano sotto il cielo stellato, nella confezione dei Baci da 257 grammi, conserva questa contiguità con il delirio profetico? E quello dei soggetti erotici, ispirati all’arte antica e ai testi classici, che coabitano e talvolta anche s’intrecciano con quelli astrologici negli affreschi dipinti da Giulio Romano e bottega a Palazzo Te?
Realizzato in un arco di tempo che corre dal 1524 al 1534, Palazzo Te fu eretto da Federico II Gonzaga come “tempio” dedicato alla sua amante Isabella Boschetti (Gian Battista Intra, Il Palazzo del Te presso Mantova e le sue vicende storiche, in Archivio Storico Lombardo, XIV, 1887, pp. 65-84).
Riferimenti alla passione di Federico per Isabella sono inseriti in modo sia implicito che esplicito nell’intreccio fra temi erotici e astrologici affrescati sulle volte e le pareti del palazzo. L’impresa dello zodiaco, affrescata nella Camera degli Imperatori, rappresenta il pianeta Venere in rotazione intorno alla terra mentre interseca la costellazione del Toro, segno zodiacale di Federico. L’immagine è corredata dal motto “in eodem semper – sempre nello stesso posto”. L’immagine e il motto s’interpretano reciprocamente per significare la costanza dell’amore di Federico nei confronti di Isabella
Le immagini erotiche affrescate sulle volte e le pareti di Palazzo Te svolgono anche una funzione politica, spiega Barbara Furlotti nel saggio Eros e immagini alla corte di Federico II Gonzaga, pubblicato nel catalogo della mostra Giulio Romano. Arte e desiderio in corso a Palazzo Te (fino al 6 gennaio). Maggiore è l’ardore amoroso dell’uomo, maggiore è anche il suo coraggio: “alla guerra [le donne] fanno li omini senza paura ed arditi sopra modo”, scrive Baldassare Castiglione, zio di Isabella Boschetti, nel suo Il Cortegiano pubblicato nel 1528. In questo testo Castiglione elogia l’amore in chiave virtuosa, ma in molte delle immagini affrescate nelle sale di palazzo Te e in quelle rappresentate nelle opere ivi esposte l’erotismo assume un aspetto indecoroso spogliandosi – è proprio il caso di dire – di riferimenti colti ed eruditi.
La mostra invita a riflettere sul rapporto fra visione e desiderio nella cultura del Cinquecento, con riferimento al rovesciamento dell’immaginario poetico dell’amore cortese petrarchesco. All’idea dell’amor cortese, nei primi decenni del Cinquecento, si oppose una forte corrente anti-petrarchista che si manifestò nei versi burleschi e sfacciati delle composizioni poetiche “burlesche”, nelle novelle e nelle commedie che ebbero gran successo di pubblico, riferisce Guido Rebecchini nel saggio Lo sguardo, i sensi. Giulio Romano e l’arte erotica del Cinquecento pubblicato in catalogo (pp. 20-21). Nel 1520, Giulio Romano e Marcantonio Raimondi pubblicarono una serie di incisioni di soggetto pornografico, probabilmente ispirate a fonti antiche, alla quale Pietro Aretino associò dei sonetti usando un linguaggio privo di inibizioni. Queste incisioni, riprodotte in differenti media, inclusi disegni, bronzetti e decorazioni su maiolica, ebbero grande fortuna e continuano ad averla considerando la folla che stipa la sala dove si trovano esposte, bloccando il flusso dei visitatori verso le altre sale.
A fatica riesco ad avvicinarmi al Baccanale inciso da Raimondi, che suscita la mia curiosità per la metamorfosi antropomorfica, zoomorfica e fitomorfica (i segni grafici che rappresentano i capelli e i velli sembrano suggerire forme arboree o vegetali) delle figure, nel contesto di un passaggio dall’immagine scolpita a quella incisa che la rappresenta (l’incisione richiama la tipologia del rilievo su sarcofago e nella composizione sono anche inserite delle erme). Questo passaggio porta alla luce il rapporto che la scrittura ha con questi altri medium. Alla radice etimologica del termine “scrittura” troviamo infatti “incisione”, “scavo”, “solco”, che il nero dell’inchiostro tipografico invade prima di essere trasferito a stampa sul foglio.
L’intelligenza visiva dell’incisione di Raimondi, che pone il problema dello sguardo che si forma attraverso lo scambio fra medium diversi nel segno di un erotismo colto e intellettuale, non è da meno dei Due amanti dipinti da Giulio Romano. I corpi dei due giovani sembrano risplendere di luce propria grazie alle sapienti velature di colore e a un contrasto di complementari, esaltato dal rosso delle due pantofole lasciate ai piedi del triclinio. L’intelligenza visiva di questo capolavoro è anche nello sguardo perso degli amanti, che comunica la vertigine del desiderio erotico e, al tempo stesso, quella della forma eccentrica nell’arte manierista, che trova uno dei suoi vertici nella Camera dei Giganti.
Che sorpresa quando si entra per la prima volta in questa sala, inserita nel percorso di visita! La meraviglia e il divertimento caratterizzano la cultura di corte di quel tempo: un mondo irreale punteggiato da feste e spettacoli, spiega Ernst Hans Josef Gombrich in Il palazzo del Te. Riflessioni su mezzo secolo di fortuna critica: 1932-1982 (Quaderni di Palazzo Te, luglio-dicembre 1984. Edizioni Panini, Modena 1984, p. 20). La Camera dei Giganti suscita meraviglia tanto quanto la costruzione figurativa dei Due Amanti, che supera il limite della pittura per raggiungere un effetto teatrale. I dipinti a tema erotico esposti negli spazi privati avevano spesso una coperta che veniva rimossa per mostrare l’opera. Possiamo immaginare quale poteva essere l’evento pre-cinematografico al quale si poteva assistere. Scoprendo un po’ alla volta il dipinto, come in un piano sequenza, si potevano vedere i due amanti impegnati nei preliminari e poi, in un crescendo della tensione, ecco apparire una vecchia che si affaccia da una porta infilando nell’occhiello della serratura il dito medio, allusione all’atto sessuale in procinto di compiersi. Serrature e chiavi, padelle, forni, comignoli, lance e pennelli appartengono a un linguaggio in codice dell’erotismo.
In Palazzo Te i soggetti erotici, mascherati dietro l’apparenza di una storia mitologica e giustificati come traduzioni in immagini di invenzioni letterarie e poetiche, si moltiplicano di sala in sala, accompagnando il percorso espositivo ricco di opere, fra le quali disegni di Rosso Fiorentino, di Perino del Vaga, della bottega di Raffaello e, naturalmente, anche di Giulio Romano. La mostra non esplora il rapporto fra l’erotismo e l’oscurità che vorremmo penetrare con l’aiuto della luce delle stelle, non esplora il campo semantico del “de-sidera” da cui siamo partiti, ma offre una buona occasione per ammirare le opere esposte attraverso un’accurata lettura critica. Offre anche l’occasione per visitare il complesso architettonico di Palazzo Te, allo studio del quale Gombrich dette nel 1984 un importante contributo (vedi il testo citato in precedenza), mettendo in luce le problematiche dell’interpretazione storico-artistica.
Gombrich ritiene che la sua interpretazione del Manierismo come sintomo di un conflitto non risolto sia stata influenzata dall’ambiente freudiano con il quale entrò in contatto, ma anche dall’arte dei suoi tempi: dai conflitti non risolti del Cubismo con il Neoclassicismo, emersi nel corso degli anni in cui Picasso inserì nella sua opera suggestioni neoclassiche (p. 18). Nel suo esprimere un giudizio sul passato ogni storico dell’arte esprime impliciti giudizi anche sul presente. Il presente dell’arte influisce sull’interpretazione storica ristrutturando il passato, mentre il passato irradia verso il presente gettando un ponte verso il futuro, sostiene la storica dell’arte Paola Mola nei suoi saggi (fra questi segnalo Avatar e il Laocoonte pubblicato nel catalogo della mostra Wildt. L’anima e le forme, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2012). Vale per tutti l’esempio di Giorgio Vasari che inventò il Rinascimento come storia fiorentina perché era allievo di Michelangelo, indirizzando di conseguenza molto del Manierismo.
Giulio Romano si trova esattamente al centro di questa distorsione del tempo, che è anche una distorsione dello spazio. Vasari ricorda la sua visita a Palazzo Te accompagnato dal “capricciosissimo ed ingegnoso” Giulio che, per realizzare la Camera dei Giganti, “fece murare le porte, le finestre, ed il camino di pietre rustiche a caso scantonate, e quasi in modo scommesse e torte, che parea proprio pendessero in sur lato, e rovinassero veramente: e murata questa stanza così stranamente, si mise a dipingere la più capricciosa invenzione che si potesse trovare, cioè Giove che fulmina i Giganti”. A questo “rovinare” che rovescia e confonde nello spazio così come nel tempo dobbiamo rassegnarci perché fa parte della nostra cultura.
La visita alla mostra e al palazzo ci aiuta a capire meglio il nostro tempo, anche attraverso il confronto con forme del desiderio diverse dalla nostra, come illustrano gli affreschi realizzati da Giulio Romano e bottega nella Camera di Amore e Psiche. Queste opere hanno sollecitato diverse interpretazioni: da quella neoplatonica di Frederick Hartt a quella di Egon Verheyen, che considera questi dipinti come semplici esaltazioni visive dell’amore e della sensualità. Uno di questi rappresenta Giove, in aspetto di serpente, che seduce Olimpiade, madre di Alessandro Magno e moglie del re Filippo II il macedone. Secondo una leggenda riferitaci da Plutarco, il vero padre di Alessandro sarebbe stato lo stesso di Giove. In questo affresco pare che Giulio Romano abbia rappresentato senza alcuna censura l’amplesso di Federico e della sua amante Isabella (legittimamente sposata con Francesco Cauzzi Gonzaga di Calvisano), rispettivamente nei panni di Giove e Olimpiade. Dalla loro relazione nacque infatti nel 1520 un figlio al quale diedero il nome di Alessandro.
Visito la sala seguendo le tracce letterarie lasciate dalla lettura di Plutarco nel Cinquecento. Molti anni fa visitai Delfi portando con me il volumetto Adelphi curato da Dario del Corno. Leggendo Plutarco salivo lungo la Via Sacra colpito dal parere espresso da Nicandro a proposito della misteriosa lettera “E”, uno dei simboli sacri del santuario oracolare di Delfi, che andrebbe inteso come “εἰ”, da interpretare nel valore della particella interrogativa “se” posta all’inizio della formula di consultazione dell’oracolo: “se” sarò vittorioso, “se” mi sposerò”. Questa particella esprime una connotazione desiderativa, oltre che interrogativa: “Oh se riuscissi! dice chiunque prega” (L’E di Delfi, p. 139). Nel testo di Plutarco questa espressione è seguita da un’invocazione che (come abbiamo avuto modo di rilevare in precedenza) nella letteratura greca ha un senso erotico: “Oh se potessi toccare la mano di Neobule!”.
I due innamorati Perugina interrogano le stelle colore argento stampate su fondo blu, ma solo nella confezione classica da 257 grammi. Nelle altre confezioni gli innamorati sono spariti. Restano solo le stelle, senza abbraccio, bacio e desiderio, se non quello che spinge all’acquisto.