Avventure, storie, immaginario / Il libro della neve

25 Dicembre 2019

La neve, come è noto, si compone di un numero infinito di cristalli, ognuno diverso dall’altro: è bella, fragile e pronta a svanire quando la si tiene nella mano, potente e pericolosa quando si accumula nei declivi e tra le alte cime. Nulla come il mutare della neve e dei ghiacciai rende il senso della bellezza che fugge via, della velocità del tempo che passa.

A prima vista quest’opera di Brevini appare come il libro ideale da donare in dicembre, magari a Natale, e certo lo è, per la ricchezza di storie e citazioni letterarie, artistiche e alpinistiche, e per le magnifiche immagini di paesaggi innevati, fotografati o dipinti. Ma quest’opera è molto di più, è un motore di ricerca che stimola la curiosità e il desidero di approfondire autori e luoghi, storie recenti o antichissime. 

Le vicende evocate sono così tante e interessanti da aprire due diverse vie di lettura: seguire l’ordine delle pagine e dei capitoli, cercando di non perdersi tra tutte quelle nevi, memorizzando le vicende che ci appaiono più coinvolgenti, oppure aprire il libro a caso e seguire la storia che si dipana davanti agli occhi. Il mio consiglio è di seguire la prima volta l’ordine delle pagine e poi di tenere il libro a portata di mano, riaprendolo a caso quando ci viene voglia di evadere in un mondo di avventura, di intelligenza, e anche di natura incontaminata.

 

Quo vadis, Sciatore nel Trentino di Franz Lenhart, 1946.


È un libro che nasce dalla letteratura e dalla storia, dall’arte e dallo sguardo dei grandi fotografi, ma anche dalla conoscenza diretta dell’autore, docente di letteratura italiana all’Università di Bergamo ma anche alpinista ed esploratore di grande esperienza. Brevini racconta infatti anche i suoi viaggi nei ghiacci dell’Artico, la morte per valanga evitata per un soffio, grazie alla sua abilità di sciatore e a tanta fortuna, e la sua caduta in un crepaccio nel ghiacciaio della Tribolazione: “…stavamo risalendo la seraccata verso i 3.600 metri e il vento, che aveva soffiato nei gironi precedenti, aveva cancellato i segni dei crepacci. Quando ci fui sopra, il ponte di neve si sbriciolò e io precipitai nella voragine per 15 metri, l’equivalente di cinque piani di una casa. Rimasi appeso alla corda, ondeggiando nel vuoto con gli sci ancora ai piedi. Appena mi riebbi dallo spavento, cominciai a guardarmi intorno, affascinato dalla misteriosa stratigrafia del ghiaccio. Poco dopo però, con i primi brividi di freddo, giunsero anche le domande: Cosa ci faccio io qui dentro?”.

Le bufere sono evocate dall’Anabasi di Senofonte, dai racconti La tormenta e Padrone e servitore di Tolstoj, dal capitolo Neve di La montagna incantata di Thomas Mann, dal racconto La ragazza celeste-cielo (L’avventura di uno sciatore) di Italo Calvino e dalle ultime disperate pagine del diario dell’esploratore artico Robert Falcon Scott.

 

Gli animali delle nevi sono raccontati con precisione di zoologo e abilità narrativa, sempre accompagnati da riferimenti letterari e storici: gli orsi polari, un tempo dominatori dell’Artico e oggi insidiati dai cambiamenti climatici, il leggendario leopardo delle nevi, reso celebre dall’omonimo libro di Peter Matthiessen, le renne della Lapponia, protette da un ambiente ancora integro e selvaggio ma minacciate dalle auto e dall’inquinamento, anche nucleare, sino allo Yeti, l’abominevole uomo delle nevi, di cui non è mai stata appurata la reale esistenza, nonostante persino Messner abbia dichiarato di averlo incontrato. 

Tra le storie di neve non potevano mancare quelle di Mario Rigoni Stern: la neve ghiacciata della steppa, durante la ritirata di Russia, e le dolci nevi dell’altipiano dei 7 Comuni, diverse per consistenza e persistenza, ognuna con il suo nome cimbro.  La neve esiste oltre le nostre vicende umane ma ha spesso fatto da sfondo a tragedie terribili come la Guerra bianca ma anche la gioia di escursioni all’aperto, con gli sci o con le ciaspole, o del calore di un fuoco acceso, mentre il vento soffia fiocchi di neve contro le finestre. Leggendo il libro di Brevini tornano alla mente certe pagine di Dino Buzzati: "Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo." (da Gli inviti superflui).

 

Neve a Mukojima, Notturno di Kawase Hasui, 1931.


Inevitabile il lungo capitolo dedicato a sci e sciatori: dal grafito di uomo con sci rinvenuti nell’isola norvegese di Rødøy, risalente a circa 4.000 anni fa, al telemark, lo sci a tallone libero, dalla traversata con gli sci della Groenlandia di Fridtjof Nansen, nel 1888, ai giorni di neve di Hemingway, sino agli sci usati da Primo Levi prima di Auschwitz. Brevini racconta il coraggio e il desiderio di meraviglia degli scialpinisti, le salite con gli sci avvolti nelle pelli di foca e le discese volanti da altissime cime, il senso della distanza e il desiderio di silenzio dei fondisti, ma anche l’impiantistica distruttiva che sventra boschi e montagne, per sciatori di bocca buona, privi di empatia per la natura, la devastazione edilizia a Cervinia e a Sestriere, le follie attuate e quelle, per fortuna, fermate del tutto o in parte, come il collegamento Ceresole – Valsavaranche o quello per la Svizzera traversando la Val Ferret, o ancora, l’idea di collegare Piemonte e Val d’Aosta rovinando il piano dell’Azaria in Val Soana e l’alta valle di Champorcher.

 Un libro così ricco di notizie e informazioni, così denso di storie, provoca un effetto paradossale, spinge a scoprire oltre e di più, e a ricordare altri libri e altre storie. Ad esempio, il dipinto di Charles Thévenin a pagina 194, raffigurante l’ascesa dell’esercito di Napoleone al Passo del Gran San Bernardo, con il fusto di un cannone incassato in un tronco e trascinato da decine di uomini, mi riporta alla mente la geniale trovata del comandante dell’artiglieria Marmont, letta anni fa in I marescialli di Napoleone, di David Chandler: “scavare tronchi d’albero in forma di truogolo per deporvi i pezzi da otto e i mortai” così da renderne più agevole il trasporto in salita. 

 

Cacciatori nella neve, Peter Brueghel il vecchio, 1956.


Brevini ricorda anche la neve degli inverni di guerra, tra le alte vette dell’Adamello e delle Dolomiti, quando il numero dei morti per valanga superò quello dei morti in combattimento: ad esempio, i 272 soldati travolti e uccisi nel massiccio della Marmolada, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1916. A volte le valanghe non precipitavano per forza naturale di trascinamento, ma erano causate da colpi di mortaio o di artiglieria sparati contro gli alti coltri nevosi, sopra le truppe del nemico, come una terribile arma di sterminio aggiuntiva.

Le valanghe cadute nel secolo scorso hanno spento la vita di alpinisti sconsiderati e di altri invece esperti, come Toni Gobbi e Gigi Panei, di montanari e di soldati, ma anche di uomini al lavoro. Brevini ricorda infatti la strage di Mattmark, in Svizzera, dove nel 1965 morirono 88 operai, molti dei quali italiani, impegnati nella costruzione di una grande diga. Una tragedia dell’emigrazione prevedibile a fronte delle condizioni critiche del ghiacciaio dell’Allalin in quei giorni, dovuta, ancora una volta, ad ansia di profitto e negligenze di ogni tipo.

 

Bambini che giocano nella neve, Hankou, Cina, marzo 1938, Robert Capa, International center of photography, Magnum Photos.


L’arte e la neve, un binomio che rappresenta una delle meraviglie di questo libro: tra le illustrazioni, se è prevedibile trovare Brueghel il vecchio, Turner, Monet, Coubert, Segantini e Chagall, lo è meno scoprire la Venezia sotto la neve di Ippolito Caffi, la Casa nella neve con abeti di Gabriele Münter e il misterioso Neve a Mukojima. Nottturno, di Kawase Hasui. E tra le foto, ecco il gioioso Bambini che giocano nella neve di Robert Capa e l’Ascensione al Monte Bianco, dei fratelli Bisson. Infine le illustrazioni, dal simpatico orso bianco con gli sci opera di Franz Lenhart al ridicolo Mussolini sugli sci e a petto nudo, nella copertina dell’Illustrazione italiana del 7 febbraio 1937.

 

Di Franco Brevini avevo letto l’intimo e doloroso Il ponte dell’Erfolet, il suo diario alpinistico Alfabeto verticale e l’enciclopedico L’invenzione della natura selvaggia; in questa sua ultima opera ho ammirato la consueta ricchezza di stimoli e di conoscenza, la stessa illuministica curiosità del passato e del domani, con in più, la nostalgia per un mondo di ghiacci e di neve che sta svanendo sotto l’incalzare dei cambiamenti climatici e dell’avidità autodistruttiva dell’uomo. Il primo capitolo si intitola proprio Dove sono le nevi di un tempo? Già, dove? Sono divenute storia, memoria, avventure di coraggio e di passioni da raccontare ai nostri figli, finché ci regge il cuore. 

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