Il libro era lì

19 Marzo 2014

Dove stai leggendo questo articolo? Stampato su carta, sul visore del tuo computer oppure un iPad? Come saprai si tratta di tre situazioni molto diverse, anche se sui tre supporti le parole che stai leggendo saranno sempre le medesime. Com’è possibile? Parecchi anni fa Marshall McLuhan ha riassunto tutto questo in uno slogan efficace: “il medium è il messaggio”. Voleva dire che a dominare era il “mondo della struttura e della configurazione”. Le parole sono diverse a seconda del medium su cui le leggi.

 

“Segmenti di attenzione specializzata si sono trasferiti in un campo totale”, scriveva nel 1964 l’autore della Galassia Gutenberg, per spiegare il cambiamento avvenuto con l’era elettronica già annunciato all’inizio del XX secolo dal cubismo. Ecco, proprio quella frase semioscura diventa comprensibile se consideri il supporto su cui leggi queste frasi (ammesso che tu sia un lettore digitale): il campo totale.

 

Chiaro? Non abbastanza. Allora prendi in mano il libro di Andrew Piper, giovane studioso di letteratura tedesca alla McGill University in Canada, intitolato Il libro era lì (Franco Angeli), che ha come sottotitolo: La lettura nell’era digitale. Lo puoi scaricare su un supporto elettronico e cominciare a metterlo alla prova. Faccio un riassunto, anche se così lo riscrivo o, se vuoi, lo condivido con te. Il tema della “condivisione” non ti sarà sconosciuto, dal momento che anche tu, come molti, condividi quotidianamente su Facebook i tuoi pensieri e le tue immagini, le tue letture e le tue scoperte.

 

Noi lettori – tu compreso – siamo diventati dei produttori di contenuti a pieno titolo. Di più: partecipiamo alla “co-creazione del valore”. Henry Jenkins ci ha scritto sopra un libro, Cultura convergente (Apogeo): si chiama “produso” (produzione tramite l’uso) o “wreading (writing + reading). Partiamo dalle tesi di Piper sul libro elettronico. Le elenco: 1) il libro elettronico, a differenza del libro tradizionale, tiene le cose fuori di sé; 2) la lettura digitale è sempre centrifuga; 3)il testo che si espande è diventato il nuovo standard; 4) la pagina digitale non è una finestra ma una porta. Ce ne sono altre, ma mi concentro su queste.

 

Primo punto: noi non possiamo toccare la sorgente delle lettere sullo schermo (il disco fisso elettromagnetico) senza distruggerla, mentre il libro è tutto lì, tra le nostre mani e possiamo anche stropicciarlo, farci delle “orecchie”; i testi digitali non si possono “sentire”. Secondo punto: nel Settecento i critici dei giornali dicevano: ma perché vi interessa leggere cosa succede in Svezia o in Polonia? Oggi sappiamo che tutto è diventato vicino.

 

Di più: centrifugo. Meglio: oggi l’esterno è definitivamente dentro. Dentro il nostro computer (il medium che uso ora per scrivere: scritto l’articolo con un clic lo faccio arrivare sul tavolo della redazione e con altri clic andrà in pagina, su carta, e anche on line, dove tu ora lo puoi leggere sul tuo supporto elettronico: niente è fuori, tutto dentro). Dice Piper: la proprietà transitiva domina il mondo. Ha ragione (non è il primo a dirlo: Baudrillard negli anni Ottanta). Terzo punto: è una conseguenza del precedente. Invece di usare la proprietà transitiva (il prefisso inter: internet, interdisciplinare, intermediale, parole obsolete) oggi siamo dentro, e abbracciamo. Dentro, ma espandendoci: leggere è un movimento centrifugo. I testi si estendono a dismisura, non c’è più neppure il libro a contenerli: sono ipertesti. Se navighi nel web, come suppongo, lo sai bene. Quarto punto: la pagina digitale non somiglia a una finestra.

 

Questo era il vecchio mondo. Il tablet su cui tu puoi leggere queste parole è solo un portone, un portale di passaggio. Lo dice anche Vanni Codeluppi in un recente libro (L’era dello schermo, Franco Angeli). Cita McLuhan e Baudrillard (“Si entra nella propria vita come si entra in uno schermo”). Secondo una ricerca, dice Piper, “più tempo passiamo a leggere su uno schermo, meno tempo passiamo a leggere ogni singola porzione del testo”: lo schermo induce a cogliere l’insieme, non le singole parti che lo compongono.

 

Il giovane autore del Libro era lì è un apocalittico? Né apocalittico né integrato (ce l’ha insegnato Eco, non è più tempo di aut aut, ma di et et). Anzi, tutto il libro – leggere per credere – è un continuo rimbalzare tra libro cartaceo e libro digitale, per spiegare cosa dà l’uno e cosa offre l’altro. E non fa conti finali con + e - . Vuole capire. Cosa? Lo dice bene N. Katherine Hayles: “il testo elettronico è un processo, non un oggetto”. Di nuovo McLuhan. La novità radicale con cui confrontarsi è questa: i testi digitali non sono mai lì, al contrario del libri. Sono evocati mediante computazione e interazione, da un essere umano o da una macchina. Sono oggetti dinamici, non statici, a differenza del libro su carta.

 

L’idea fondamentale l’ha avuta Alan Turing: tradurre la scrittura dallo spazio bidimensionale della pagina a stampa alla linea unidimensionale del nastro. Nastri: ecco dove leggiamo. Inoltre viviamo tutti appesi agli algoritmi, che è il centro delle procedure computazionali di oggi. Lo sapevi? Una delle questioni che Piper solleva è: dove-siamo? Quando navighiamo on line, non c’è nessuna relazione fisica tra ciò che abbiamo visto e il luogo in cui l’abbiamo visto. Per questo non è facile ricordare le parole che si leggono sul visore del libro digitale: non abbiamo più uno spazio fisico o mentale in cui collocare le idee che incontriamo nel nostro girovagare (sei centrifugo, lo sapevi?).

 

Le prossime ricerche, dice Piper, sui media s’interrogheranno proprio su questo: relazioni ecologiche tra spazio virtuale e spazio della vita quotidiana. Con l’algoritmo, parola di origine araba, la lettura è diventata “un’interazione intermittente con processi algoritmici”. Conclusione: l’albero, non quello da cui viene la carta, ma inteso come forma del sapere, è una reliquia del pensiero. Siamo entrati nell’epoca del “campo” (“configurazione”, dice McLuhan), della società basata sulla “differenziazione funzionale”. Difficile? Il resto nel web.

 

Questo testo è precedentemente apparso su La Stampa

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