Antropologia del presente / Il ritorno della portinaia

1 Luglio 2018

C’era una volta la portinaia. E c’è ancora. Ma è molto cambiata: ha altre fattezze, altre funzioni, tutt’altro senso. Nel bel tempo andato – quello che grosso modo esiste solo nell’immaginario popolare e mediatico, sempre in cerca di dubbie età dell’oro – la portinaia era una figura al tempo stesso misera e mitica, mitica perché falsamente misera: chiusa nel suo impenetrabile gabbiotto dal quale fuoriusciva odor di cavoli e di un unto imprecisato e penetrante, la portinaia gestiva, fondandola, la comunità dell’edificio di cui stava a guardia. Tutto il viavai dal portone era controllato tanto distrattamente quanto minuziosamente: lei sapeva tutto di tutti, e faceva finta di nulla, salvo poi spettegolarne col primo venuto, sia esso residente in loco o in numeri civici là accanto. Il segreto era la sua arma vincente: acquisendone a più non posso, era pronta a venderlo al miglior offerente, nella migliore strategica occasione. 

 

Il suo ruolo era insomma molto chiaro, e prescindeva dalla sua funzione sociale apparente: più che occuparsi dall’edificio, dal punto di vista fisico, s’occupava semmai dei suoi abitanti, diffondendo e inventando su di loro rumors d’ogni sorta, indiretto ma fondamentale strumento di coesione di gruppo. Da qui l’intesse dei detective, Maigret in testa, che diligentemente usavano le portinaie come informatori di prima mano per le loro lunghe investigazioni, badando bene, però, a ribaltare il contenuto delle loro delazioni e denegazioni. Da qui l'attenzione un po’ snob dei filosofi, che vedevano nel loro continuo spettegolare l’esempio più cogente dell’inautentica chiacchiera di heideggeriana memoria. E da qui, pur tuttavia, l’interesse profondo degli etnografi: provenendo generalmente dai più disparati luoghi della provincia profonda, le portinaie erano portatrici sane – in città – di tradizioni folkloriche molto antiche, e dunque di credenze, rituali, leggende, attitudini che, se messe tutte insieme, costituivano agli occhi dello studioso di cultura popolare un patrimonio inestimabile. Renée Michel, protagonista dell’Eleganza del riccio, racchiude un po’ tutte queste cose: e ha fatto fortuna.

 

 

Poi però il gioco è finito, un po’ per sciatta spendig review, un po’ per cupo disinteresse nei confronti di cotanto cultural heritage. Chi ha preso il posto delle portinaie? Presto detto: i citofoni, nelle loro svariate forme e funzioni. Siano essi con lunghe liste di cognomi o con anonimi elenchi di numeri, con supporto video o meno. Il citofono è un eroe del nostro tempo, lustro, potente, orgoglioso. Attore sociale non umano, sostituisce egregiamente il portiere del palazzo, fa da barriera e da filtro meglio di lui, senza quella scocciatura delle sue pruriginose maldicenze e dei suoi piccini rimbrotti. Col citofono il palazzo diviene enclave iperprotetta, mala imitazione di quelle guardie giurate che, nella megalopoli sudamericane, difendono, mitra al collo, gli abitanti da narcos stacciuti e strafatti di passaggio. L’unico attore umano che a lui s’accompagna è il tizio – spesso ignorato migrante – che una volta ogni tanto pulisce l’androne e le scale per poi scomparire frettolosamente. La tanto sospirata socievolezza (cfr. Jane Jacobs) viene meno. 

 

Ma il citofono ha un difetto: per usarlo – anche malamente (si ricordi il bambino di quel film di Nanni Moretti, che pretendeva mielose canzoncine dal malcapitato di turno) – occorre essere in due, come gli amanti, come i carabinieri. Può accadere che nessuno senta la chiamata, che nessuno sia in casa, di modo che lo squittire dell’apparecchio resti, tristissimo, senza alcuna risposta. E quando a citofonare è il postino, si sa, sono guai. Edicolanti, salumai, barbieri, baristi vicino casa si sono a lungo prestati, non senza controdono, a gestire la posta in mancanza di meglio, e cioè della portinaia. Generando tutto un traffico di buste e pacchetti, ricevute e cartoline, firme false e relativi mugugni.

 

Ma poi, ancora una volta, tutto è cambiato: è arrivata Amazon, coi suoi numerosi avatar, e ha rimescolato le carte. L’acquisto on line reclama il ritorno in massa del portiere dell’edificio, strumento indispensabile per il suo corretto operare. “Assicurarsi che ci sia qualcuno, all’ora indicata, per ricevere il plico”, raccomandano caldamente i siti di vendita su internet, perché sanno bene che alla seconda o terza coda all’ufficio postale per ritirare il predetto plico, nessuno si servirà più di loro. L’immaterialità della rete avrà pure abolito la fisicità del negozio, dei commessi che provano a imbonire i clienti, degli scaffali che espongono le merci. Ma non hanno mai potuto essere del tutto privi di una qualche forma di concretezza. 

Messe da canto le leggende metropolitane circa i minidroni che s’appresterebbero a utilizzare, le vendite on line esigono, oltre ai giganteschi tir che sfrecciano nelle autostrade e i loro relativi guidatori-armadio, il recupero ostinato e contrario delle portinaie d’una volta. Ma, appunto, con altre fattezze, altre funzioni, tutt’altro senso. Almeno per adesso. Provate a dare un’occhiata ai prezzi degli affitti degli appartamenti: cambiano di molto se l’edificio in cui si trovano è dotato di portiere. E non sto parlando della rata condominiale, ovviamente più esosa, ma proprio della pigione: “riscaldamento autonomo, ascensore, aria condizionata, portierato attivo”… e scattano duecento euro in più. Valore economico che corrisponde, molto semplicemente, a una domanda sociale in crescita.

 

Ecco un fenomeno antropologico relativamente nuovo, assai utile per mettere a tacere gli immancabili, corrucciati apocalittici che ingenuamente vedono nel gigantesco espandersi del web una progressiva cancellazione delle relazioni umane. Più si diffonde la vendita on line di tutto e di più – dischi, libri, vestiti, accessori, tablet, tagliaerba, tricicli, orologi, lampade, occhialini da nuoto, giù giù fino alla cena giapponese e ai sonniferi per il nonno –, più ci saranno portinaie pronte ad accogliere postini sorridenti con ticket da firmare, spedizionieri internazionali che non sanno dove parcheggiare il camion, ragazzini in scooter che consegnano la pizza, e fors’anche droni che un qualche dannato linguaggio dovranno pur parlare. C’è da immaginare che vedremo via via sparire citofoni e videocitofoni; c’è da sperare che questi nuovi portieri potranno presidiare il loro gabbiotto ventiquattr’ore al giorno, con appositi turni e tanto lavoro in più per tutti; c’è da star certi che il cicaleccio ritornerà, grazie a Amazon e Fedex, e con esso un po’ più di onesto e retto conversar cittadino. 

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