Jheronimus Bosch e un altro Rinascimento

29 Dicembre 2022

Una creatura con orecchie di cane e becco da uccello trasporta una lettera pattinando, un’altra con gambe umane e corpo di volatile trattiene un rettile o forse un anfibio con il suo lungo becco a spatola. Questi esseri ibridi popolano le opere del pittore fiammingo Jheronimus Bosch, affastellandosi sulla superficie pittorica con sorprendenti salti di scala e apparizioni enigmatiche. Nel Giudizio finale di Bruges un roditore cavalcato da un demone con naso a forma di piffero trasporta suore e frati nudi in due panieri. 

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Jheronimus Bosch, Giudizio finale, 1500 circa, olio su tavola, Musea Brugge, Groeningemuseum, Bruges © Lukas - Art in Flanders, ZW/Bridgeman Images.

Siamo negli stessi decenni in cui trionfa la maniera moderna, vale a dire il Rinascimento maturo, l’età in cui Raffaello Sanzio ricompone le disiecta membra dell’arte classica con “tanta grazia, studio, bellezza”. Come si spiega il migrare di queste immagini bizzarre e sconcertanti dalle Fiandre verso la Spagna e l’Italia del Cinquecento, dove le arti figurative raggiungono il loro apice conquistando “retta misura, disegno perfetto, e grazia divina”, per usare le parole di Giorgio Vasari? Lo spiega lo storico dell’arte Bernard Aikema relativizzando il modello storiografico di tipo parabolico-evolutivo proposto da Vasari, che attribuisce al Rinascimento un’identità tosco-romana. 

Dopo la mostra Dürer e il Rinascimento tra Germania e Italia, dedicata all’influenza esercitata dallo stile all’antica dell’arte rinascimentale sulla cultura visuale della Germania del sud, Aikema ripropone al vasto pubblico la tesi di un “Rinascimento alternativo” con la mostra milanese Bosch e un altro Rinascimento, curata insieme a Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi (Palazzo Reale, fino al 12 marzo 2023). Secondo i curatori l’opera di Bosch (1450 circa - 1516) è la prova dell’esistenza di un Rinascimento diverso dagli altri. A tale diversità lo storico dell’arte Eugenio Battisti diede il nome di “antirinascimento”, rinvenendo nella cultura visuale del XVI secolo forme espressive antitetiche al classicismo (L’antirinascimento, Feltrinelli,1962). Tuttavia non tutte le espressioni alternative di Rinascimento sono anticlassiche. Numerose sono le varianti irregolari e bizzarre del modello classico, spiega Aikema nel saggio Jheronimus Bosch, l’“antirinascimento” e il mondo mediterraneo, pubblicato in Bosch e l’altro rinascimento (a cura di Aikema e Cremades, 24ORE Cultura, Milano 2022, da non confondere con il catalogo della mostra Bosch e un altro Rinascimento), un libro che fa il punto sull’opera dell’artista fiammingo con ben diciotto saggi di autori diversi e un ricco repertorio iconografico. 

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Jheronymus Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, 1500 circa, Olio su tavola, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga © DGPC/Luísa Oliveira.

Il classico dell’artista fiammingo non è da cercare nella misura e nella proporzione, ma nell’interesse per le espressioni oniriche, fantastiche e bizzarre dell’antico. Nel 1518 Aldo Manuzio pubblica il trattato di Artemidoro di Daldi sui sogni e ancor prima (nel 1499) aveva dato alle stampe il romanzo allegorico Hypnerotomachia di Poliphili di Francesco Colonna, ispirato alle Metamorfosi di Apuleio in cui Lucio, il protagonista del romanzo, è trascinato dalla sua curiosità in una serie di peripezie. In questa opera letteraria dell’antichità la curiosità di Lucio si coniuga al fantastico. 

Il fantastico emerge dall’antico anche attraverso le grottesche, una forma decorativa di origine classica riscoperta intorno al 1480 da alcuni pittori che si calarono nelle cavità della Domus Aurea, tra i primi Pinturicchio, Filippino Lippi e Luca Signorelli. Nel secondo decennio del Cinquecento Raffaello riconfigurerà in modo organico questo sistema decorativo. La mostra Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche (Domus Aurea, fino al 2 aprile 2022) documenta l’incontro tra la bizzarria di questa forma decorativa e la “grazia” dell’Urbinate elogiata da Vasari. 

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Domus Aurea Stanza di Ettore e Andromaca, Parco Archeologico del Colosseo, Roma / Nicoletto Rosex detto Nicoletto da Modena, Pannello ornamentale con grottesche, 1507, bulino, Istituto Centrale per la Grafica, Roma.

L’interesse per l’onirico e il fantastico nel XVI secolo si combina anche alla curiosità scientifica suscitata dai viaggi di esploratori e mercanti, e all’accumulo di oggetti stravaganti nelle Wunderkammer in voga all’epoca. Da notare che il gabinetto delle curiosità di Margherita d’Austria includeva un dipinto di Bosch, o forse anche due (Paul Findlen, Lo scrigno dei sogni: Jheronimus Bosch e le Wunderkammer, in Bosch e l’altro rinascimento, pp. 125-126). 

Le varianti del modello classico “offerte dal bizzarro, dall’irregolare, dal curioso si presentano come prodotti della fantasia”, una facoltà che Aikema riconduce alla fortunata definizione data da Aristotele in Poetica (Jheronimus Bosch, l’“antirinascimento” e il mondo mediterraneo, p. 37). Ramon Llull (Raimondo Lullo) ne fornisce una variante che sembra aderire bene alle rappresentazioni allucinate e perturbanti di Bosch. Nel dialogo Disputatio clerici et Raymundi phantastici, scritto nel 1311 da Lullo, un chierico e un laico discutono sul ruolo svolto dalla phantasia, che l’autore distingue in naturale e morale. Quella morale a sua volta si suddivide in “retta ed assennata (discreta)” e “deviante (obliqua) e dissennata (indiscreta)”. C’è da chiedersi se la phantasia obliqua “per la quale l’intelletto condiziona il suo intendimento attraverso disposizioni manchevoli” non abbia un rapporto con quella che suscita le sconcertanti visioni di Bosch. Nell’olio su tavola Le tentazioni di sant’Antonio del Prado, una creatura ibrida composta da elementi architettonici e particolari anatomici animali sta per colpire con una mazza un suino assiso ai piedi del frate. Una “phantasia dissennata” che minaccia la quiete del santo raccolto in preghiera? Bosch viveva in un mondo che “non era né totalmente medievale né completamente intriso dello zeitgeist del Rinascimento, ma univa elementi di entrambi”, annota ancora Findlen nel saggio Lo scrigno dei sogni: Jheronimus Bosch e le Wunderkammer (p. 122). 

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Jheronimus Bosch_Le tentazioni di sant’Antonio, 1500-1525 circa, olio su tavola, Madrid, Museo Nacional del Prado © Archivio fotografico, Museo Nacional del Prado, Madrid.
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Bestiario di creature ibride tratte dalle opere di Jheronimus Bosch. Pannello esplicativo.

Queste visioni sono sconcertanti anche per il loro disordine compositivo. Una pittura per accumulo, per certi versi analoga a quella di Pisanello criticata da Leon Battista Alberti. Uno stile dissolutus che Alberti non avrebbe esitato a riconoscere anche nella pittura di Bosch, se avesse potuto conoscerla. Nell’opera dell’artista fiammingo la mancanza di compositio sembra trovare una corrispondenza con la cosiddetta letteratura maccheronica del XVI secolo, apparentemente caotica. Nella letteratura italiana della prima del secolo si trovano anche esempi di virtuosismi linguistici “chimere, gofferie, arguzie, filastrocche, castelli in aria, saviezze, aggiramenti, e lambiccamenti di cervello, fanfalucole, sentenze, bugie, girelle, ghiribizzi, pappolate, capricci […]”, che sembrano trovare a loro volta corrispondenza in alcune opere eseguite alla “maniera di Bosch” (Aikema, Jheronimus Bosch, l’“antirinascimento” e il mondo mediterraneo, pp. 45-46). La classicità di Bosch non è dunque quella di Alberti e di Vasari, che peraltro liquida l’artista fiammingo come autore di “fantastiche e capricciose invenzioni che sarebbe cosa fastidiosa a volere di tutte ragionare” (Vita di Marcantonio Bolognese e d’altri intagliatori di stampe, in Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Parte terza, edizione Giunti del 1568).

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Veduta della mostra. Sezione Jheronimus Bosch e il fantastico.

La mostra a Palazzo Reale racconta un altro Rinascimento con un ricco repertorio di opere, alcune delle quali dovranno essere restituite prima della chiusura della mostra (Assalto a un elefante turrito e Scena con elefante saranno visibili fino al 29 gennaio, Meditazioni di san Giovanni Battista e La Visione di Tundalo fino 12 febbraio). Il progetto espositivo si articola in dieci sezioni di cui la prima Jheronimus Bosch e il fantastico è dedicata agli “inferni”, ai “mostri” e ai “sogni” (così il cronista veneziano Marcantonio Michiel definisce le opere del pittore fiammingo). Tra queste l’impressionante Trittico delle tentazioni di sant’Antonio e il Trittico dei santi eremiti. Notevole anche Meditazioni di san Giovanni Battista

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Jheronimus Bosch, Trittico dei Santi Eremiti, 1495-1505 circa, olio su tavola, Venezia, Gallerie dell’Accademia © Archivio fotografico Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Nelle sezioni successive le opere di Bosch si disperdono tra quelle di altri maestri fiamminghi, italiani e spagnoli per confronti su temi diversi. La mostra mette in evidenza la discordanza tra questa vasta produzione grafica e pittorica e la narrativa del Rinascimento come fenomeno italocentrico e classicista; esplora gli aspetti onirici e magici nella pittura del XVI secolo; porta l’attenzione sulle visioni apocalittiche; documenta la fortuna iconografica dei temi boschiani grazie alla stampa come mezzo di divulgazione e al sostegno degli Asburgo, dinastia che nel Cinquecento dominava sull’Europa; rileva il nascente esotismo e la fortuna iconografica dell’elefante nell’opera di Bosch.

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Ricostruzione di una Wunderkammer con oggetti provenienti da diverse collezioni / Riproduzione dell’automa diabolico della Collezione Settala.

L’esposizione si chiude con la sezione Bosch, la curiosità e il collezionismo enciclopedico, che ospita alcune ricostruzioni di camere delle meraviglie o Wunderkammer, con una riproduzione dell’automa diabolico della Collezione Settala. Findlen rileva un rapporto tra i trittici dipinti da Bosch e i gabinetti delle meraviglie, che assecondano il fascino provato dalla società del tempo per i fenomeni curiosi e sconcertanti. Secondo lo studioso, il pittore fiammingo concepisce il trittico come un mobile realizzato per contenere una collezione (Lo scrigno dei sogni: Jheronimus Bosch e le Wunderkammer, pp. 124-125). 

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Karmachina - Multimedia Design Studio, Tríptiko. A vision inspired by Hieronymus Bosch, concerto multimediale, 2019.

Alla fine del percorso espositivo i visitatori possono assistere alla proiezione dell’animazione Tríptiko. A vision inspired by Hieronymus Bosch, una rielaborazione digitale dei temi boschiani realizzata da Karmachina - Multimedia Design Studio con musiche di Fernweh. L’animazione ricompone le immagini boschiane in configurazioni dinamiche e caleidoscopiche, che modificano radicalmente la modalità di ricezione visiva dell’opera di Bosch. L’artista fiammingo costringe lo spettatore a spostare il fuoco d’attenzione da un punto all’altro dei suoi quadri alla ricerca di infiniti dettagli. Le sue sono opere da esplorare nel tempo. Tríptiko sposta il tempo dell’esplorazione nell’animazione, converte la partecipazione attiva in una ricezione passiva di configurazioni dinamiche e talvolta anche psichedeliche, rivelando la distanza che separa il nostro modo di vedere da quello degli artisti del XVI secolo. 

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Pieter Stevens il Giovane, Le tentazioni di sant’Antonio, fine XVI secolo, olio su tela, Fondation Glénat, Grenoble. Particolare.

Nell’olio su tela Le tentazioni di sant’Antonio, esposto nella sezione Il sogno, Pieter Stevens il Giovane (alcuni sostengono Jacob Isaaczoon van Swanenburg) dipinge delle creature bizzarre che a noi ricordano quelle di un cartoon. Come le avrà immaginate o fantasticate Stevens, che le ha tratte dalla cultura figurativa di matrice boschiana? Come immaginava o fantasticava Bosch? L’immaginazione è una facoltà diversa dalla fantasia, la prima ha un rapporto con l’esperienza cognitiva, la seconda con l’attività inconscia. In quale rapporto stanno fantasia, immaginazione e creatività? L’opera dell’artista fiammingo solleva una serie di problemi che restano aperti.

In copertina, Bottega di Jheronimus Bosch, La visione di Tundalo, 1490-1525 circa, olio su tavola, Madrid, Museo Lázaro Galdiano © Museo Lázaro Galdiano, Madrid.

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